venerdì 28 settembre 2007

Le ultime dalla Birmania

Come si poteva facilmente prevedere, gli uomini forti al potere a Rangoon sono passati all'azione. Blindati, fucili e scarponi contro una massa di civili inermi ma coraggiosi (loro sì sono veramente uomini forti), contro i monaci buddisti scalzi, armati soltanto della loro forza spirituale.
L'esito di questa crisi non è facilmente prevedibile; pare che all'interno della giunta militare ci siano dei disaccordi.
Tuttavia il potere abusivo ed infame della Birmania ha amici potenti; la Cina innanzitutto, che ha rapporti di business importanti con il Myanmar.
Pechino ipocritamente ha raccomandato moderazione, preoccupata com'è di salvare la faccia di fronte alla comunità internazionale, alla vigilia delle Olimpiadi.
Più sincero è stato il regime di Putin: ha detto all'Onu che la crisi è un affare interno della Birmania.
Tanto per mettere in chiaro che quando si tratta di reprimere il dissenso (e il potere russo è specialista in questo), è bene che ognuno pensi a fatti suoi.
Il caso di Anna Politovskaja, la giornalista scomoda ammazzata un anno fa a Mosca, lo dimostra. Oltre ai civili, ci rimettono i giornalisti; un reporter giapponese è stato freddato in strada senza tante cerimonie, abbiamo visto le immagini.
Negli alberghi c'è la caccia ai rullini fotografici, ai taccuini, ai pc portatili; come sempre, le dittature hanno paura della forza della parola, della testimonianza diretta.
Quindi i giornalisti sono vittime predestinate: spesso li critichiamo, ma molti di loro interpretano con coraggio e coerenza la missione della stampa.
Quella di raccontare, di portare alla luce i fatti, di inchiodare il colpevole alle sue responsabilità. Senza la libertà di stampa non c'è democrazia.
Anche di questo hanno paura i militari del Myanmar, e per questo tanti giornalisti muoiono in ogni parte del mondo.
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Facce da culo


Non se ne può più.
Oggi guardavo il tiggì. Quale? che importa, le differenze sono pressochè nulle. Il tema del servizio era, manco a dirlo, la fibrillazione in corso nella maggioranza.
E manco a dirlo, è stata chiamata in causa la trimurti del centrodestra; nell'ordine Pionati (UDC), Gasparri (AN) e Cicchitto (Forza Italia). Il dream team del fronte berlusconico.
Pionati, la faccia da pretino triste, recitava il suo sermone, l'occhiuto Gasparri denunciava l'attaccamento alla poltrona di Prodi & Co (ma senti chi parla) mentre Cicchitto, la velina forzitaliota, eseguiva con diligenza il compitino profetizzando la crisi irreversibile del centrosinistra.
Ad ogni avvenimento i giornalisti, microfono alla mano, rincorrono sempre gli stessi personaggi, che si abbandonano sempre alle stesse affermazioni strumentali. E' il trionfo della superficialità.
Mancava solo Bonaiuti, uso di fronte alle telecamere alle pose declamatorie, teatrali; l'omino portavoce di Berlusconi quando era al governo, che annuiva con la testa ad ogni frase del capo.
In un moto perpetuo, come i cagnolini finti che campeggiavano sul lunotto delle auto di una volta.
Schifani invece è finito in ombra, chissà perchè...era così simpatico. Quando parlava sembrava di avere di fronte un robottino caricato a molla.
Vere facce da culo a denominazione di origine incontrollata..insopportabili e purtroppo intramontabili. Vogliono apparire migliori dei loro avversari, proprio ciò che non sono.
Marco Travaglio, nel suo ultimo libro "La scomparsa dei fatti" sottolinea come i giornalisti, quando si occupano di politica, si limitano a raccogliere una sfilza di dichiarazioni contrapposte, da Tizio a Caio a Sempronio. Un rosario ammorbante, da malditesta.
E si tratta sempre dei soliti agit-prop, di lacchè che a causa della loro innata mediocrità non riescono a nemmeno a produrre affermazioni dotate di un minimo di originalità.
L'analisi dei problemi, il racconto di quanto avvenuto finisce relegato in secondo, se non in terzo piano. E' un modo, per l'appunto, di far scomparire i fatti. A beneficio delle opinioni, o meglio della propaganda di partito.
Non che dall'altra parte le cose vadano meravigliosamente; lì il ruolo di portavoce del partito di solito è affidato al suo stesso segretario.
Con eccezioni di rilievo, quali ad esempio Cento dei Verdi che sente il bisogno di dire la sua su tutto, spesso senza esprimere nessun concetto interessante.
E' una politica che si parla addosso, ostinatamente autoreferenziale, da sbadiglio. E intanto il paese va a fondo.
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mercoledì 26 settembre 2007

Rob Halford, vita in nero

Rob Halford da Birmingham.
Con il passare del tempo assume un'aria sempre più inquietante, vampiresca. Rob Halford come Nosferatu.
Cantante dotato di grande estensione, di una voce calda ed inconfondibile, a 56 primavere raggiunte è ancora in grado di tenere il palco senza cedimenti, lanciando acuti che suscitano brividi alla spina dorsale. Grida di guerra.
Ma soprattutto è una figura carismatica, la bandiera universale dell'heavy metal senza compromessi. La perversa musa ispiratrice di altri interpreti del genere.
Esattamente come la sua band, gli energetici Judas Priest, che hanno dato l'imprinting al suono di molti altri gruppi più giovani; loro, insieme ai Black Sabbath, hanno gettato i semi da cui sono nati i figli più degeneri dell'heavy: speed, trash e death metal.
Rob Halford è un uomo controcorrente, sempre fuori dagli schemi; nel 1998, durante un'intervista ad MTV ha fatto outing, come si suol dire.
Rivelando al pubblico metal, notoriamente machista, la sua omosessualità, che gli altri membri dei Priest hanno sempre conosciuto.
Una confessione non semplice, in un mondo abituato alle gesta di rockstar sciupafemmine e a sentir celebrare in tante canzoni le gioie dell'amore eterosessuale. Ma l'affetto che lo circonda ha prevalso.
E' un uomo che predilige le tinte forti; non solo per le scelte artistiche, ma anche per il look provocatorio, sempre in bilico fra il sado-maso e la ieraticità di un devoto alla causa del rock.
I Judas Priest hanno dato non pochi grattacapi alla censura; le Washington Wifes, associazione di mogli dei parlamentari americani, volevano censurare i loro pezzi, sempre molto espliciti in materia di sesso.
Sono stati anche coinvolti in un procedimento giudiziario (risolto a loro favore) che li accusava di aver spinto al suicidio due giovani, a causa di messaggi subliminali contenuti nel brano Better By You, Better Than Me. La solita vecchia storia.
Dopo l'uscita del granitico Painkiller (1991), vero monumento e canto del cigno del genere heavy, ha intrapreso la via solista con risultati onorevoli, passando attraverso vari progetti culminati nell'intenso doppio dal vivo Live Insurrection (2001).
Dopo, il ritorno ai Priest, che orfani del loro leader non erano più gli stessi.
Rob Halford ed i Judas Priest rappresentano un'idea della musica fatta di coerenza, sincerità, trasporto verso il pubblico e vera trasgressione.
Tutti elementi pressochè sconosciuti ai "posers" del carrozzone rock di oggi. O no?
Un genuino defender of the faith, come recita uno degli inni che i Priest hanno consegnato alla storia della musica.
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lunedì 24 settembre 2007

Foto ricordo da Auschwitz

Davvero una bella foto.
Ritrae un gruppo di SS e di ausiliarie operanti ad Auschwitz, durante una gita nell'estate del 1944.
L'uomo al centro è il dr. Mengele, il responsabile di atroci esperimenti su cavie umane, finito chissa' dove.
Gli altri non hanno la stessa lugubre fama. Comunque, hanno l'aria di chi se la spassa alla grande.
A destra c'è perfino un simpatico pennellone (per così dire) munito di fisarmonica, la giovialità un pò stolida tipica di tanti tedeschi, che sicuramente avrà passato la giornata a suonare allegre melodie popolari.
E le signorine...carucce, le tipiche brave ragazze. Un giorno di svago anche per loro, per riprendersi dal duro lavoro, dalle responsabilità di aguzzine della sezione femminile.
Tutto questo avveniva mentre, a poca distanza, lavorava a pieno ritmo il campo divenuto simbolo dello sterminio degli ebrei nella seconda guerra mondiale.
Il campo più efficiente fra tutti; si calcola che solo ad Auschwitz sia stato gasato circa un milione e mezzo di persone.
L'altro giorno la Digos ha condotto un'operazione nel varesotto, diretta contro un partito nazionalsocialista dichiaratamente ispirato alle idee di Hitler, che grazie al voto di un pugno di miserabili è riuscito addirittura ad eleggere un consigliere comunale.
Il suo "segretario" ha ottenuto qualche minuto di insperata popolarità in TV, affermando che lo stermino degli ebrei è un'invenzione e che tutti i belligeranti avevano i campi di concentramento.
Verrebbe da scuotere il capo, o magari sorridere come quando si guardano le peripezie del partito nazista dell'Illinois nel film Blues Brothers, però...
Il presidente iraniano Ahmadinejad sostiene la stessa cosa e minaccia ad intermittenza Israele; a S. Anna di Stazzema, luogo di un feroce eccidio di civili compiuto dalle SS in quella stessa estate del'44, ignoti hanno dipinto una svastica su un cassonetto dei rifiuti. Li stanno cercando, forse non hanno guardato dentro il cassonetto.
L'antisemitismo resiste al tempo; è una bestia oscura, alimentata nei secoli dai pregiudizi, dall'ignoranza e dagli interessi politici di re e papi cattolici.
Da questo punto di vista, non giovano davvero le recenti affermazioni di papa Ratzinger, che ha ribadito che il cattolicesimo è l'unica vera fede. Tutte le altre quindi sono deviazioni.
Quest'uomo apparentemente mite, incensato dai media nostrani come un fine intellettuale, mentre in realtà è fautore di un pensiero debolissimo, dimentica che l'ebraismo è molto più antico, il cristianesimo è una sua derivazione.
Fra papa Ratzinger ed Ahmadinejad c'è una grande distanza, ma forse non è così abissale.
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domenica 23 settembre 2007

L'autunno di Fidel Castro

E così Fidel è riapparso; prima intervista rilasciata alla tele cubana dopo i ben noti problemi di salute, che hanno fatto temere per la sua vita.
Una sorta di apparizione mariana, per chi lo ama, la conferma invece che questa iattura resiste a dispetto degli acciacchi, per chi lo odia (in primis molti cubani).
Prima o dopo il Lider Maximo passerà a miglior vita; ma il suo declino fisico appare senza fine. Mi ricorda un bel libro di Gabriel Garcia Marquez, L'autunno del patriarca.
E' ambientato in un paese immaginario del Sud America, schiacciato dal regime di un dittatore senza nome, conosciuto solo come il Patriarca; in fondo che importanza potrebbe avere il nome? I dittatori sono tutti uguali.
Violento e spietato, avido di potere all'inverosimile, abile nello sfuggire ai tranelli dei suoi rivali, il Patriarca invecchia ma non muore, fino a raggiungere una decrepitezza inverosimile, soprannaturale.
Quando Fidel morirà sicuramente sarà compianto da schiere di ammiratori, anche in Italia; non è mai mancato chi, a sinistra, lo ha difeso e considerato un campione del terzo mondo, dei reietti che non chinano la testa e si oppongono al capitalismo, all'arroganza imperialista degli USA.
Della misera condizione di vita dei cubani (vista con i miei occhi anni fa) di solito non si parla; se lo si fa è per attribuirne la colpa all'embargo statunitense, senza ammettere che dipende anche dall'organizzazione economica collettivista, di scuola marxista - leninista, che già vent'anni fa era decrepita come il Patriarca di Garcia Marquez.
Sulle modalità con cui Fidel gestisce il potere, sulla repressione del dissenso, sulla polizia presente ad ogni angolo che terrorizza la gente, neanche un accenno.
Fidel piace a Diliberto, leader maximo di una scheggia del comunismo italico, come a Gianni Minà, che macchia il prestigio e la competenza di giornalista che non gli vogliamo disconoscere con l'inaccettabile simpatia per un tiranno, che vive in una bella villa mentre i cubani si arrangiano in stamberghe.
Ma l'Italia è fatta così: la sinistra è inquinata dai rigurgiti di un pensiero che fu, che lungi dall'essere materia per gli storici viene tenuto in vita artificialmente.
Nei prossimi giorni, a Parma, si terrà la mostra Mai dire Mao, con tanto di locandina che raffigura quest'altro illustre dittatore a fianco del comico (ma a me non ha mai fatto ridere) Piero Chiambretti che tiene in mano il libretto rosso del timoniere. Che tristezza.

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United States Of Paranoia

Nemico pubblico è un film di qualche anno fa, con Will Smith e Gene Hackman.
E' una spy story, nella quale Will Smith è un procuratore che finisce accidentalmente in grossi guai.
Oggetto dell'intrigo è un progetto di legge, che dovrebbe limitare notevolmente la privacy dei cittadini in nome della sicurezza nazionale.
Un film abbastanza inquietante, perchè vi si vedono all'opera servizi segreti deviati che braccano il malcapitato con l'ausilio di gingilli tecnologici in grado di localizzarlo pressochè ovunque. Quando si dice che il cinema racconta la vita...
In questi giorni, negli Stati Uniti sono esplose forti polemiche, a causa dell'attività dell'antiterrorismo, accusato di schedare in modo discutibile milioni di cittadini americani.
Esiste un enorme database, nel quale vengono raccolti dati personali di viaggiatori, americani residenti all'estero e, cosa ancor più preoccupante, i dati di stranieri che entrano in contatto con loro.
Diverse persone, dopo indagini e ricorsi, sono rimaste sbigottite nello scoprire quante informazioni sono state archiviate sul loro conto.
Se un amico statunitense è venuto a trovarvi in Italia, i vostri dati potrebbero essere stati ingoiati da questo solerte cervellone, in grado di far impallidire l'Hal 9000 di kubrickiana memoria.
Nella mitica Langley, scenario di tanti romanzi per lettori di bocca buona dello scrittore Tom Clancy, potrebbero sapere il vostro indirizzo e numero di telefono, se a Natale siete andati ad Amsterdam o se avete comprato un dvd porno con la carta di credito.
Il governo di Bush, il cow boy texano autoproclamatosi leader indiscusso del mondo libero nella lotta al terrorismo islamico, si giustifica dicendo che dopo l'11 Settembre è necessaria una vigilanza strettissima e capillare.
Le associazioni dei diritti civili, assieme a qualche parlamentare, ribattono che questa attività tentacolare mina pesantemente le basi della democrazia.
In effetti, se si consente che uno stato possa raccogliere una miriade di informazioni sui cittadini, senza norme di garanzia, senza alcun controllo esterno ed indipendente, senza alcun limite temporale, tutto diventa possibile.
Il Grande Fratello diventa realtà. C'è anche da chiedersi con quale diritto le autorità USA trattengono dati di non cittadini americani, che non sono sottoponibili alle leggi americane, al di fuori delle eccezioni riconosciute dal diritto internazionale.
Ma la task force di cow boy guidati da John Waine - Bush se ne infischia: basta ricordare i sequestri illegali avvenuti negli ultimi anni in giro per il mondo. E' la guerra baby...
Il paese dei diritti civili sta diventando gli Stati Uniti di Paranoia; per contrastare il terrorismo, forse tutto ciò non è necessario.
L'altro ieri ho visto un'intervista ad una paffuta signora americana, sorridente e quindi non "desperate", come le casalinghe della omonima serie TV.
La simpatica signora, che conosce l'arabo alla perfezione, ha un hobby: setaccia Internet a caccia di siti islamici e sostiene che gli estremisti, nella loro superbia e vanità, annunciano puntualmente ciò che hanno in mente di fare.
Chissà cosa stanno facendo a Langley; magari si chiedono perchè la scorsa settimana siete andati in pizzeria con il vostro cugino di New York o forse stanno traducendo, vocabolario alla mano, questo post per sapere se ho perso la biricoccola e sono diventato un seguace di Bin Laden.
Traducete anche questo allora: andate a cagare.
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mercoledì 19 settembre 2007

Sir Robert Plant


Robert Plant, leggenda vivente del rock. E' difficile scrivere qualcosa su un tale, gigantesco personaggio.
Potremmo dire, prima di tutto, che a quasi 40 anni dall'esordio discografico con i Led Zeppelin (era il 1969, un esordio col botto, di quelli che hanno cambiato la musica), Sir Robert è ancora artisticamente vivo. Un miracolo.
Cantante, o meglio artista appassionato e curioso, sensibile alla sperimentazione ed alle contaminazioni, dopo lo scioglimento dei Led Zep nel 1980 ha sempre ricercato nuove strade.
Un percorso di esplorazione delle tante possibilità della musica, secondo alcuni con risultati contraddittori, ma se non altro non si è mummificato, non è diventato la caricatura di se stesso (chi ha detto Rolling Stones?).
Percy, come lo chiamavano i suoi compagni negli anni gloriosi dei Led Zeppelin, è un senatore del rock, l'appellativo Sir gli calza bene; è vissuto in mezzo al glamour ed agli eccessi delle rockstar, senza però autodistruggersi come altri suoi colleghi.
Anzi, col passare degli anni ha assunto atteggiamenti sempre più sobri, signorili, decisamente british.
Ma soprattutto è un uomo capace di rimescolare le carte. Con complici sempre diversi. Quello che sta avvenendo con gli Strange Sensations, il nuovo progetto in cui ha coinvolto musicisti giovani e virtuosi come John Baggott (ex Portishead e Massive Attack).
Un ottimo album nel 2005 (Mighty Rearranger) ed uno nuovo che dovrebbe essere pronto nel 2008. Infaticabile Plant, senz'altro non è più capace dei vocalizzi di un tempo, ma l'entusiasmo, l'amore, è intatto.
Chi come me lo ha visto dal vivo a Pordenone nel Novembre 2005 può confermare.
Sir Robert è, nello scenario complessivamente desolato della musica di oggi, un ponte. E' un vero "Mighty Rearranger" che avverte la necessità, quasi l'urgenza di ricapitolare la grande lezione che parte dal blues, passa per il rock ed arriva al crossover di oggi.
Un lungo viaggio che inizia dai maestri blues come Willie Dixon e Robert Johnson e attraversa le tendenze di un trentennio.
Provare, per credere, Dreamland (2002) o la raccolta Sixty Six To Timbuktu (2003).
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martedì 18 settembre 2007

Liste civiche dei Grilli? No grazie


Lo dico: nonostante la simpatia per le battaglie civili di Beppe Grillo e dei Grilli, non mi convince l'idea di formare liste civiche per le elezioni comunali.
Io penso che il movimento d'opinione nato dal V Day deve restare un aggregatore trasversale, capace di legare persone di età, cultura e reddito diversi, differenti posizioni politiche, origine etnica e collocazione geografica diversa.

In altre parole, a mio parere questo è un movimento di cittadini, che li lega per esercitare una pressione costante sulla classe politica, su questioni specifiche (come ad es. la legge elettorale o le fonti di energia alternative).
In nome dei principi fondamentali della democrazia che in Italia è quotidianamente vilipesa e che sta a cuore a tutti i cittadini normali, a sinistra come a destra.
Se invece si trasforma in una federazione di liste (che mi pare l'evoluzione più logica) diventa esso stesso parte o partito ed è quindi destinato a dividere, non ad unire.
Infatti, il consenso sul V-Day si sta già sfarinando in una pluralità di opinioni e distinguo.
Prima ancora che venga proposta una piattaforma comune: e quale poi?
Questo è un punto essenziale. Altrimenti si resta allo spontaneismo, agli entusiasmi di gruppi di volenterosi, che magari su uno stesso problema, a Monza e a Palermo assumono posizioni del tutto contrastanti.
E chi coordinerà la nascente federazione? Come si vede, si finisce inevitabilmente per ricadere nella forma - partito.
Invece, il movimento a cui penso deve mobilitarsi con proposte precise ed articolate sui principali temi "in agenda", come fino a qui si è fatto.
Pungolando i politici con tutti gli strumenti possibili, come quelli dell'e-democracy o democrazia elettronica. E' una modalità organizzativa più semplice ma soprattutto più efficace, perchè la politica tradizionale non potrebbe mai manipolarla.
Lasciamo che i partiti facciano i partiti. La Costituzione italiana dice che i partiti devono concorrere, con metodo democratico, a determinare la politica nazionale (art. 49).
A noi il compito di vigilare e premere affinchè sia così: per arrivare, finalmente, ad una democrazia normale.
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giovedì 13 settembre 2007

Politica e antipolitica

L'antipolitica nasce dalla cattiva politica. Già questa considerazione basterebbe per chiudere la bocca a quanti, nei palazzi del potere o nei media, criticano l'iniziativa di Beppe Grillo e dei circoli dei Grilli. Non dimentichiamo questi ultimi, perchè il successo della mobilitazione è in buona parte merito loro.
Scendere in piazza e manifestare contro una classe politica di inetti e di corrotti è già di per se un atto politico. Una presa di distanze e di posizione.
La sottolineatura di un disagio fortissimo rispetto ad un sistema dei partiti di cui si avverte la distanza siderale rispetto ai numerosi problemi della società italiana.
Ma tutto ciò ovviamente non basta; la bellezza del gesto deve essere seguita da una proposta, per fare in modo che questo movimento sia politico in senso pieno. E la proposta a quanto pare c'è.
Occorre modificare le regole del gioco per allontanare i parlamentari condannati e per consentire all'elettore di esprimere una preferenza: perchè mai non dovrebbe?
Meglio una legge elettorale ributtante, di stampo sovietico, che ha generato liste bloccate decise dalle segreterie nazionali, come quella varata dal Berlusca?
Infine, occorre modificare le regole del gioco per porre fine al fenomeno dei professionisti della politica; in Italia si è battuto ogni record, visto che ci sono esponenti dei partiti con quattro, cinque legislature alle spalle. Tempo mal speso, visto che la loro produttività è molto bassa.
Negli USA vige il limite dei due mandati presidenziali e mai nessuno si sognerebbe di eliminarlo: chi ha scritto la costituzione americana ha dimostrato saggezza, perchè stare troppo al potere è deleterio, logora, anche se Andreotti pensa il contrario.
Il sasso nello stagno è stato gettato; ai promotori dell'iniziativa spetta ora il compito di andare avanti fino a raggiungere l'obiettivo. Ai cittadini che hanno a cuore la democrazia il compito di sostenerli.


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Jack e Meg White, l'attrazione del vintage


Jack e Meg White, il matrimonio rock, forse celebrato davanti a Lucifero in persona.
Jack e Meg profumano d'antico, di vintage e tuttavia riescono a far esplodere gli altoparlanti di energia pura, giovane e selvaggia.
Molto di più e meglio di celebrati manichini di plastica come Lenny Kravitz, il newyorkese che ha perso la purezza molto presto e tuttavia col vintage ed i favolosi settanta continua a giocare.
I due coniugi vengono da Detroit, città che trasuda musica; la città dei martellamenti, del punk embrionale degli Stooges di Mr. Iguana - Iggy Pop o degli MC5, la città da cui sono partite le geniali provocazioni di Alice Cooper.
Ma è anche terra di raffinatezze e dolcezze, della Motown Sound con tutti i suoi giganti, a cominciare da Marvin Gaye, Aretha Franklin e Stevie Wonder.
Una città fatidica per tutti: i Kiss, altri illustri newyorkesi, le hanno dedicato il cavallo di battaglia Detroit Rock City.
I coniugi White però al richiamo della dolcezza preferiscono quello acido del rock sgolato e feroce.
Undici anni di matrimonio e di carriera condivisa con il marchio White Stripes, preso a prestito dal chewing gum.
E loro sono proprio come la gomma americana, che si attacca tenacemente sotto il banco di scuola o la scarpa: all'inizio non se li fila nessuno, gli anni novanta sono appannaggio dei discotecari, e dei sermoni in musica (spesso pallosi) dell'Hip Hop, ma restano aggrappati al loro sogno.
Alla fine riescono ad attrarre l'attenzione e ad accumulare consensi, e dal debutto del '98, con l'album The White Stripes, si arriva al recente Icky Thump. Ormai sono affermati e celebri, perfino nelle curve degli stadi, che hanno preso dall'attacco del brano Seven Nation Army il famoso Po Po Po celebrativo della vittoria dell'Italia ai mondiali.
Ritorno alle origini, alle radici: in loro blues, folk ed hard rock si mescolano continuamente. Una ricetta antica ma sempre efficace e piacevole. Se ne sentiva davvero il bisogno.
Lunga vita al rock'n'roll, lunga vita ai White Stripes.
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lunedì 10 settembre 2007

V Day V Day...che successo!

Eh già, il V Day è stato un successo!
Anche chi non lo ha gradito non può di certo affermare il contrario; a meno che non si voglia negare che il sole sorge ogni giorno...cosa possibile data l'estrema varietà delle opinioni che circolano fra gli esseri umani.
Alcune considerazioni.
- Il V Day ha dimostrato le enormi potenzialità di Internet, che ben lungi dall'essere il mondo del virtuale, e quindi del falso, oggi è una grande agorà estremamente efficace nel mobilitare le persone attorno ad un obiettivo politico.
- Internet vince e la televisione, soffocata dal duopolio Rai - Mediaset perde. La disinformatija all'italiana aveva messo il silenziatore all'evento ma, come spesso accade, alla fine ha dovuto parlarne. Eccome.
- Consola vedere che nella società italiana, apatica ed inebetita da troppi anni, esiste ancora una coscienza democratica pronta a lottare. L'importante è che questo patrimonio non si disperda. Una rondine non fa primavera.
- Le reazioni dei nostri politicanti sono state varie, ma le più singolari e gustose sono state quelle di Bossi e di Casini. Il primo ha detto che non bisogna alimentare l'antipolitica: proprio lui. Il secondo ha perso un'occasione per tacere, vista l'arroganza dei suoi commenti. Il solito babbeo di scuola democristiana. Chissà che un giorno non sia costretto a chiedere asilo politico al Vaticano.
- Il V Day non è stato il trionfo dell'antipolitica, ma al contrario ha rappresentato un atto politico di grande rilevanza: è stato una mobilitazione di molti cittadini che vogliono tornare ad essere protagonisti e titolari della democrazia e non subire più, nel silenzio e nella rassegnazione, le umiliazioni a cui ci sottopone la classe politica.
Quindi, bravo Beppe e bravi tutti coloro i quali hanno partecipato.
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venerdì 7 settembre 2007

Birmania, una dittatura dimenticata


Mi ha colpito, negli ultimi giorni, l'assenza dai telegiornali di un accenno, anche minimo, alla grave crisi politica che attanaglia la Birmania.
D'accordo, fra emergenza criminalità, la morte di Pavarotti ed altro, c'erano molte notizie da dare...però non parlarne proprio dimostra che l'Italiotta in cui viviamo ha decisamente bisogno di sprovincializzarsi. Anzi, di liberarsi.
Chi non legge i quotidiani o non naviga in rete a caccia d'informazione, o magari di controinformazione, sprofonda nella bambagia in cui ci ha ficcato il sistema Rai - Mediaset.
Sì, colpisce la differenza con i media stranieri (come BBC o CNN), pronti invece a dare risalto a moltissime notizie da tutto il mondo: fosse anche una crisi di starnuti del segretario dell'Onu o il campionato nazionale di bocce australiano.
Comunque, la situazione in Birmania è precipitata; questo disgraziato paese da molti anni è sotto la morsa di una dittatura militare che non solo lo ha privato della libertà, ma lo sta facendo letteralmente morire di fame, più o meno come la Corea del Nord.
La dieta tipo del birmano consiste in un piatto di riso con foglie di tè crude, per non consumare troppo gas.
Effetto di un razionamento dei generi alimentari abbinato ad uno spaventoso aumento del prezzo di combustibili e benzina (+ 500%). In un paese ricco di fonti di energia.
Diritti civili negati, arresti e desaparecidos, corruzione spaventosa, elezioni rimandate di continuo: la signora Suu Ki, premio nobel, da 17 anni è ai domiciliari perchè nel 1988, alla testa del suo partito, ha osato vincere le elezioni.
I militari golpisti hanno persino cambiato nome al paese, tempo addietro: non si chiama più Birmania ma Myanmar. Forse un estremo tentativo di nascondersi agli occhi del mondo.
Non che ce ne sia bisogno: l'Europa tace, gli USA balbettano ogni tanto una protesta che somiglia a un raglio d'asino.
La Cina invece assicura apertamente la sua protezione, per via degli interessi economici che la legano al regime birmano. Fra dittature ci si intende sempre...
L'ultimo aggiornamento: i monaci buddisti, spalleggiati dalla popolazione, hanno cominciato una pubblica protesta che monta sempre di più.
Chissà se i birmani riusciranno a togliersi le manette; se accadrà sarà solo per merito loro. I presunti democratici si girano dall'altra parte.

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mercoledì 5 settembre 2007

Azioni collettive, una battaglia di civiltà

Quanti sanno che in questo periodo si parla di una questione che potrebbe avere un effetto rivoluzionario per i diritti dei cittadini?
Alla camera infatti è iniziato l'iter di un disegno di legge governativo sull'introduzione delle azioni collettive.
Le azioni collettive sono uno strumento grazie a cui gruppi di cittadini possono ricorrere al giudice insieme, costituendosi in gruppo di interesse, nel caso di illeciti commessi a loro danno. Naturalmente previa verifica, da parte del giudice, della reale esistenza di un interesse a stare in giudizio contro qualcuno.
Pensiamo alle truffe degli ultimi anni, come il caso Parmalat o dei bond argentini. Se esistesse l'azione collettiva, i danneggiati avrebbero potuto andare in giudizio insieme, con un'assistenza legale unitaria, invece di ingolfare i tribunali con azioni individuali.
Risultato: tempi ridotti, possibilità più concrete di ottenere risarcimenti adeguati ed un formidabile potere di pressione sul truffatore, che spesso è una grande azienda e in partenza si trova in vantaggio.
L'azione collettiva è conosciuta da lungo tempo nei paesi anglosassoni come "Class Action" e viene praticata dalle associazioni dei consumatori con successo. Molte imprese senza scrupoli hanno pagato caro i loro comportamenti illegali.
Tuttavia il rischio è, come sempre in Italia, che uno scopo meritevole venga vanificato.
Il progetto del governo prevede che solo una lista di associazioni autorizzate possano stare in giudizio e che una volta conclusa l'azione collettiva, ci sia comunque bisogno dell'azione di ogni singolo danneggiato per avere il risarcimento. Un'evidente presa in giro.
Solo chi ha la benedizione della politica potrebbe rappresentare le vittime delle truffe in tribunale (magari i soliti sindacati?), senza però che la sentenza obblighi il truffatore a pagare. Per saperne di più, cliccate sul link del sito Aduc a sinistra e firmate la petizione per appoggiare il progetto alternativo.
Detto tutto ciò, è evidente che questo progetto sarebbe un terremoto (benefico) per il nostro paese di Bengodi, dove imbroglioni e cialtroni spesso se la cavano a buon mercato.
La democrazia si afferma e cresce anche attraverso forme di intervento e di partecipazione diretta dei cittadini, senza filtri e mediazioni di varia origine.
Non a caso, si parla di democrazia diretta.
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martedì 4 settembre 2007

Riflessione sulla legalità


Tornando al tema del precedente post, riuscirà il governo Prodi a far entrare in vigore il pacchetto legalità in discussione in queste ore?
Dei contenuti si sa ancora poco, ma naturalmente lo speriamo; serve una reazione ad una situazione dell'ordine pubblico molto difficile.
La vicenda suggerisce qualche considerazione su una funzione fondamentale dello stato, che talvolta passa in secondo piano.
Lo stato ha fra i suoi compiti quello di garantire i diritti delle persone, in primo luogo i diritti primari, quello alla vita ed all'incolumità fisica, e via via gli altri, come la proprietà ad esempio, e in questo senso va inteso il concetto di ordine pubblico.
Fra lo stato e la società intercorre un patto fiduciario; ma se la legge traballa e l'autorità dello stato si indebolisce, il fenomeno criminale aumenta perchè si confida nell'impunità. Il patto entra in crisi ed i diritti primari delle persone vengono negati.
Sbaglia chi invoca maggiore severità o punizioni esemplari; non di questo c'è bisogno, ma invece di pene certe, puntuali e proporzionate al crimine commesso.
Sbaglia chi sostiene che la pena non deve avere lo scopo di punire, ma di recuperare socialmente il condannato. Una pena deve assolvere a entrambi gli scopi. Il primo non può esistere senza il secondo.
Purtroppo in certi ambienti della sinistra non lo si è ancora capito; per es. Manconi, l'illustre sociologo in forza ai Verdi, poco tempo fa in un'intervista televisiva ripeteva la vecchia litania marxista del recupero sociale.
E' uno di quei personaggi fuori dalla realtà che, seppur involontariamente, contribuiscono alla negazione dei diritti fondamentali dei cittadini.
Non si tratta di questioni astratte; il diritto penale italiano da almeno vent'anni subisce l'influenza di simili concezioni. Basta pensare ai vari meccanismi premiali e di sconto entrati in vigore che rendono inefficaci le pene. E' ora di voltare pagina.

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