sabato 22 dicembre 2007

Racconto di Natale


Ricevo da un amico e volentieri pubblico.

Baghdad, 24 dicembre 2007, esterno notte.
"Hassan, c'è da fidarsi?"
"Senti Selim, garantisce il Giordano. Bidoni non ne ha mai tirati fino ad ora, giusto?"
Selim annuì. Stavano rannicchiati da quasi mezz'ora dietro un moncone bruciacchiato di muro, al centro di ciò che restava di uno dei quartieri popolari sulla riva destra dell'Eufrate.
"Porca puttana!"
"Che c'è?"
"Il giapponese della Croce Rossa! M'ha fregato! Mi s'è piantato ancora l'orologio! Batterie al Cadmio del cazzo! Comunque, chi è che aspettiamo?"
"E' un Europeo. Norvegia, credo. E' nel giro da poco, ma dicono che sia strafornito. Ai gruppi di Fallujah è riuscito a procurare due casse di mine Claymore.
"Un professionista del settore?"
"Non so...dicono che prima si occupasse di spedizioni internazionali, consegne di merci varie...una specie di corriere...boh..."
"Speriamo solo di non avere grane con le pattuglie yankee"
"Lo sai che giorno è oggi, no? La vigilia di Natale."
"Natale?"
"Sì, la nascita del figlio del loro Dio"
"Il loro Dio ha un figlio?"
"Si, un figlio che però è anche Dio!"
"Eh???"
"Si insomma, due persone in una. Anzi, pare che siano tre...Comunque il concetto è che saranno tutti in festa, intanati nei bunker a mangiare, bere e scambiarsi i regali"
"Lo senti anche tu?"
Hassan annuì. Guardinghi, si sporsero oltre il bordo di mattoni sbrecciati. A fari spenti, un motocarro a tre ruote si avvicinava.
"Ci siamo" annunciò Hassan, alzandosi in piedi.
Ronzando come un calabrone, il motocarro zigzagò tra le buche e le pozzanghere dello spiazzo davanti al moncone di muro e si fermò cigolando.
Con un clangore acuto, la portiera si aprì, e l'abitacolo cagò letteralmente fuori il suo occupante, come un culo che finalmente riesce finalmente a liberarsi di uno stronzo decisamente fuori misura.
Perché il guidatore era alto, ma soprattutto largo. Decisamente largo. Inequivocabilmente largo. Vestiva un lungo caffettano rosso ed un fez dello stesso colore, entrambi bordati di bianco. Pelo bianco, per essere precisi.
L'ideale per non farsi notare. pensò Hassan, accorgendosi che indossava anche un visore monoculare notturno ad intensificazione di luce stellare, che lo rendeva simile ad una specie di ciclope post umano.
Scaricò dal mezzo due enormi sacchi marroni, e avanzò sui suoi stivali neri scamosciati verso il muro.
La barba folta ondeggiava alla brezza della sera, baluginando biancastra sotto i raggi della luna."Allora" cominciò con un voce baritonale, che tradiva appena l'accento straniero, posando i sacchi oltre il muro. "Qui c'è quello che avevate chiesto. Equipaggiamento da assalto leggero per due squadre".
"C'è tutto?"
"Controllate se volete, ma in fretta. Il giro stanotte è ovviamente più lungo del solito..."
"No" tagliò corto Hassan. "E' ok...puoi andare"
L'uomo li squadrò per un attimo dietro il visore monoculare. Poi si girò e si diresse a larghe falcate verso il motocarro.
"Ehi Norvegese...Perché lo fai? Il Giordano dice che la consegne di stasera non te le fai pagare." Il Ciclope rosso si fermò. Si voltò verso di loro. E sospirò.
"Diciamo che le consegne di stasera sono gratis...in ricordo dei vecchi tempi."
Selim e Hassan si scambiarono un fugace sguardo interrogativo, mentre lui si alzava per un attimo sulle punte degli stivali, le mani dietro la schiena, ondeggiando in avanti a piedi uniti con compiaciuta noncuranza.
"E comunque sono Finlandese."
Un attimo dopo era già sparito, assieme al motocarro.
"Cazzo", inizio a ringhiare Selim, che aveva iniziato a rovistare in uno dei due sacchi "Uzi 9 millimetri..."
Fu allora che si trovarono investiti in pieno dai fasci delle fotoelettriche della pattuglia di Natale
"...non voglio sporcarmi le mani con un'arma sionista. Dove diavolo sono i cari vecchi AK 47 eh?...Che Allah ti strafulmini maledetto svedese del cazz.."
"...VENITE AVANTI VERSO LA JEEP A MANI ALZATE..." cominciò a gracchiare il megafono del sergente caposquadra
"Selim?"
"Si, Hassan?"
"Per cortesia, zitto, adesso. E Spara".
Stacco netto.Nero.

Buon Natale a tutti.
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mercoledì 19 dicembre 2007

Sì al divorzio breve

Le notizie più rilevanti a volte passano in secondo piano; la stampa non gli da il dovuto risalto e anche noi cittadini, travolti ed ammorbati dall'onda di marea delle chiacchere politiche che il palazzo ci rovescia addosso, non prestiamo abbastanza attenzione.
La commissione giustizia del Senato ha approvato una bozza legislativa sul divorzio breve; in sostanza, nell'arco di un anno o anche meno, ricorrendo determinati presupposti, si potrà mettere fine al matrimonio.
Si tratta senza dubbio di una svolta fondamentale nel diritto di famiglia, se naturalmente qualche imboscata non metterà la parola fine al progetto.
Il divorzio breve, soprattutto dopo mesi di dibattito confuso e sterile sulle unioni di fatto, avvicinerebbe l'Italia al resto del mondo occidentale.
Assolutamente ragionevole permettere ad una coppia in crisi irreversibile di sciogliere in tempi rapidi il vincolo matrimoniale, senza le pastoie giudiziarie e burocratiche che ancor oggi comportano le separazioni e, suppongo, risparmiando anche denaro per la consulenza degli avvocati, che nella situazione attuale si prolunga inevitabilmente per molto tempo.
Scelta laica e civile, di buon senso, a meno che come spesso accade alle buone iniziative l'impianto della legge non venga manipolato e complicato fino a vanificarne lo scopo o, come dicevo sopra, qualcuno non faccia uno sgambetto.
Penso ai soliti parlamentari cosiddetti di area cattolica, che rispondendo fedelmente alle direttive del Vaticano, negli ultimi anni hanno contribuito a rendere l'Italia meno moderna e pluralista.
I fautori di una visione etica dello stato, la propria: non condivisa con gli altri gruppi e categorie della società, ma imposta a tutti.
Anzi, parafrasando Giovanna d'Arco Binetti, calata su noi tutti tramite lo spirito santo (amen).
Penso a loro e temo la debolezza, la pavidità dei parlamentari cosiddetti laici e riformisti, già dimostrata in altre occasioni.
Speriamo che la "ragion di stato" prevalga sulle pruderie ipocrite di una certa area cattolica.
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giovedì 13 dicembre 2007

Il trionfo dei Led Zeppelin a Londra


Londra, 10 Dicembre 2007: alla fine si sono ritrovati e hanno suonato ancora insieme, dopo tanti anni. Quanti?
Ogni giornale ha sparato la sua. C'è chi dice 19, chi 20, chi (Repubblica) addirittura 27.
All'appuntamento mancava solo John Bonham che a causa della sua natura selvaggia ed incontrollabile ne aveva colto un altro, con la morte, nel 1980.
Ma alle pelli c'era suo figlio Jason, che è un batterista altrettanto dotato. Robert Plant, Jimmy Page e John Paul Jones: i tre giganti che hanno detto molte delle cose che il rock, ancor oggi, continua a ripetere talvolta in modo inconsapevole.
Tre personaggi che milioni di persone in tutto il mondo, compreso il sottoscritto, amano profondamente, perchè rappresentano l'abc del rock; loro e solo pochi altri ne hanno saputo esprimere a fondo i vari significati.
A seconda dei momenti irruenti e crudi, oppure romantici e dolci; misteriosi, festosi e subito dopo malinconici. Immediati oppure colti e studiati.
Essendo musicisti totali, nei loro 8 album in studio hanno spaziato con disinvoltura accademica da una sonorità all'altra, in continua contaminazione ma senza esagerare e perciò evitando di diventare stucchevoli o cerebrali.
Sono davvero la madre di tutte le band? Impossibile dirlo. E i Beatles allora? E i Rolling Stones? Gli Who?
Sono alberi genealogici improponibili. Però ognuno di noi si porta dentro un nome, una canzone, una discografia che lo hanno cambiato.
Per me sono sicuramente i Led Zeppelin, perchè mi hanno messo in comunione totale e definitiva con il genere rock, me lo hanno fatto capire ed entrare dentro.
Com'è stato il concerto? Dicono buono. Ad ogni modo un grande evento, a cui hanno partecipato 18.000 persone. Altra cifra: le prenotazioni via Internet hanno generato 87 milioni di contatti.
I resoconti dei media dicono che il pubblico presente era assolutamente intergenerazionale, dai 20 ai 60 anni; cosa che ho notato anch'io, in scala, al concerto di Plant a Pordenone nel 2005.
Perchè un'aspettativa così alta per un gruppo di quasi sessantenni? Perchè questo trionfo? La nostalgia dei più anziani c'entra ma non spiega tutto, vista l'età di molti spettatori.
I Led Zep sono il simbolo di un modo genuino di fare musica che oggi latita. Questa è la vera nostalgia che tanti provano.
Dopo 27 anni sono tornati, anche se forse solo per una sera e "The Song Remains The Same", come dice una delle loro stupende canzoni, una delle sentenze che ci hanno consegnato.
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lunedì 10 dicembre 2007

I partiti sono come un virus

I partiti italiani sono come un virus che si replica in modo inarrestabile. Non passa quasi settimana senza che l'opinione pubblica sia afflitta dall'annuncio della nascita di una qualche nuova formazione politica.
Nel periodo da Ottobre a Dicembre abbiamo assistito alla lieta novella che la famiglia della partitocrazia si è allargata ad includere nuovi membri.
I Liberaldemocratici di Dini, per ora rappresentativi solo di Dini stesso e del senatore Manzione; la Cosa Rossa che si chiamerà la Sinistra e l'Arcobaleno (la poesia applicata alla politica), che però ha già subito alcune defezioni, come quella di Marco Rizzo che presumibilmente fonderà a sua volta un micropartito per mantenere in vita, in saecula saeculorum, il prezioso simbolo della falce e martello.
Poi abbiamo il Partito della Libertà di Berlusconi (a quando la libertà dai partiti?), di cui non si capisce la novità visto che gli iscritti sono gli stessi di Forza Italia ed il leader è sempre lui, Berlusconi.
Alleanza Nazionale fa i conti con l'abbandono della Destra di Storace; anche su quel lato dell'arco costituzionale si fa a gara per stabilire chi è più di destra, esattamente come a sinistra, ficcandosi le dita negli occhi senza misericordia.
Quasi dimenticavo le tradizionali grandi manovre al centro, con l'UDC casiniana che continua a predicare la necessità di stabilizzare il quadro politico inserendovi una grande forza moderata (la Cosa Bianca).
La persona di media intelligenza si chiede a che pro, visto che molti partiti già esistenti rivendicano di essere i legittimi interpreti delle istanze moderate, compresa la suddetta Forza Italia ed il Partito Democratico stesso.
E così mentre anche i socialisti, divisi da anni fra mille schegge impazzite, tentano l'ennesima improbabile riaggregazione, per giunta fuori tempo massimo, vale la pena di riflettere brevemente su due aspetti di una democrazia moderna.
Ovvero due questioni fondamentali: quella della rappresentanza e quella della governabilità. Un sistema democratico deve garantire parità di trattamento fra le forze politiche, o come si dice la par condicio, per esempio nell'accesso ai mezzi di informazione.
Ma un sistema democratico non può anteporre in maniera assoluta l'esigenza della rappresentanza a quella dell'efficienza ed efficacia del processo decisionale.
Oltretutto, nelle democrazie moderne si osserva una convergenza dell'elettorato attorno ai partiti maggiori e ancor di più attorno ai candidati premier che li guidano. I piccoli tendono a sparire o ad essere assorbiti dai primi.
In Italia invece i cespugli, con percentuali di consensi a volte infinitesimali, resistono a dispetto di tutto ed esercitano un potere di ricatto verso le assi centrali delle coalizioni.
Tutto ciò è antitetico rispetto alla democrazia autentica, perchè piccole quote di elettorato e minuscole consorterie portatrici di interessi talvolta poco nobili tengono in ostaggio un intero paese. Un esempio ne è l'Udeur, che rappresenta circa 400.000 elettori.
In una tale situazione non si riesce a raggiungere l'obiettivo della governabilità, quanto mai prioritario nel mondo di oggi, dove i cambiamenti sono rapidi e richiedono un altrettanto rapido adeguamento da parte della politica, che da noi invece ha il passo della tartaruga.
Che questo governo cada o no, sarebbe assolutamente necessaria una nuova legge elettorale in grado di fare sintesi fra le esigenze della rappresentanza e della governabilità. Ma nella nostra Italietta questo è un sogno. Mostruosamente proibito.
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venerdì 7 dicembre 2007

Paola Binetti, il mostro

Le imboscate per il governo Prodi, ormai sempre più in bilico, possono provenire da qualunque parte.
L'ultimo parlamentare della maggioranza che ha messo in difficoltà l'esecutivo è la senatrice Paola Binetti.
Il motivo è l'inclusione, nel pacchetto sicurezza votato ieri, di alcune norme cosiddette anti - omofobia, che prevedono sanzioni per chi attua discriminazioni sessuali.
A dire il vero, bisognerebbe più correttamente parlare di norme antidiscriminazione, perchè vanno a colpire chi incita a compiere o compie in prima persona anche atti discriminatori basati, per esempio, sull'appartenenza religiosa.
Ma i media hanno messo l'accento sull'omosessualità, perchè il contrasto di una senatrice cattolica rispetto a norme inerenti l'omofobia colpisce di più l'immaginario dell'opinione pubblica, soprattutto considerando che la misticheggiante parlamentare non da ieri è la campionessa della lotta all'omosessualità.
La devota Binetti definisce l'omosessualità una devianza, una patologia, definizione che implica la possibilità e probabilmente la necessità, secondo lei, di curarla.
Con quali metodi, se coercitivi o no, al momento non è dato saperlo: forse pensa al cilicio o a qualche altro strumento di mortificazione fisica, come quelli che utilizza su di se. In Iran sono più drastici: per l'omosessualità si prevede la condanna a morte.
Ciò che comunque scaturisce chiaramente dalla Binetti è un mix di cattolicesimo fanatico e retrò e di cultura scientifica.
Sì, perchè la signora è una psicoterapeuta e perciò ammanta le sue prese di posizione di scientificità, come faceva il Nazismo a proposito della teoria della razza.
Immagino lo sconcerto dello staff del Partito Democratico, che si è visto esplodere fra i piedi un tale ordigno; un ordigno non disinnescabile, perchè animato dal fervore della fede e quindi non incline ai compromessi.
Cosa ha da dire sul tema Walterone Veltroni, interprete del neoriformismo italiano, che aspira ad essere il pilastro nella politica italiana della razionalità, della tolleranza e dei diritti civili?
Ma soprattutto perchè nel PD, se questa è la sua natura, è entrata la componente Teodem che si mette in rotta di collisione con i valori di una moderna democrazia pluralista?
Domande senza risposta...
Ad ogni modo, la Binetti è un mostro. Uso questo termine nella sua accezione italiana e latina; siamo di fronte a qualcosa che è nel contempo orribile e prodigioso, straordinario.
La pia donnetta legata all'Opus Dei (e già qui nasce qualche sospetto) ed interprete della nuova ventata integralista che sta soffiando sull'Italia da qualche tempo, si flagella il corpo con fruste e cilicio perchè, sostiene, è un modo di riflettere sulla fatica ed il dolore del vivere. Non immagina nemmeno che nella vita non ci sono soltanto momenti di dolore, ma anche di serenità se non di gioia.
Conosce solo la cupezza, come Jacopone da Todi, o forse trova il godimento nell'autoflagellazione e allora è perversione, pornografia d'autore.
Però a smentire questa interpretazione c'è il volto legnoso, di estrema severità, che la caratterizza. Chissà...
Se si limitasse a parlare farebbe poco danno, ma purtroppo passa anche all'azione, come nel caso della campagna per l'astensione dal referendum sulla fecondazione assistita.
La Binetti ci riporta ad un Medioevo polveroso ed oscurantista e testimonia la sopravvivenza di vecchi scontri ideologici, letali per un paese che dovrebbe invece proiettarsi nel futuro.
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giovedì 6 dicembre 2007

La moderna ossessione di apparire

E' proprio vero. I N.I.P. (not important person) battono in ritirata e si riducono sempre di più.
Trionfano invece i V.I.P. (very important person) o quelli che aspirano ad esserlo.
Ce lo conferma Natascha Kampusch, la ragazza austriaca salita alla ribalta per la fuga dall'abitazione del suo carceriere folle a Vienna nel 2006, dopo otto anni di segregazione.
Ha aperto un sito e prossimamente inizierà a condurre un talk show tutto suo su un'emittente privata.
L'angelica diciannovenne, con tono da profonda conoscitrice della psiche umana e professionista consumata dell'informazione (stile Enzo Biagi o Walter Cronkite), promette che non farà domande scontate ma cercherà di entrare nella personalità dell'intervistato.
A quando una collaborazione con Bruno Vespa?
Nel suo sito è disponibile invece una galleria fotografica assieme ad una rassegna stampa che la riguarda. Tutto a beneficio dei numerosi web-curiosi.
Avrei sperato che la biondina ed ormai rotondetta austriaca tornasse ad un sereno anonimato da N.I.P., dopo tutto il clamore mediatico che aveva suscitato il suo dramma.
Ma evidentemente in tale clamore ci si trova bene e ne vuol fare occasione di guadagno e fama.
Tutto legittimo, per carità, ma da un punto di vista anche "estetico" sarebbe stato bello un rifiuto della dittatura del virtuale, dell'immagine che alimenta la smania di apparire di troppa gente. Soprattutto di chi ha poco o nulla da dire.
La piccola Natascha è in buona compagnia; accade spesso che comuni mortali, protagonisti di qualche fatto di cronaca, grazie alla formidabile cassa di risonanza offerta da Internet, giornali e TV, cerchino di entrare nell'Olimpo delle celebrità fosse anche per lo spazio di un giorno o una settimana.
Meno legittimo è che manager televisivi o direttori di testate laidi e spregiudicati diano ampio spazio a personaggi che invece sarebbe bene dimenticare, o in qualche caso lasciare alle cure della giustizia.
Come nel caso dello spacciatore tunisino Marzouk, eletto a star televisiva dopo la strage di Erba.
Dell'estortore Fabrizio Corona, che dopo le sue vicissitudini penali è diventato una presenza fissa ed insopportabile degli schermi ed ha addirittura avuto l'onore di un confronto televisivo con un ministro.
O ancora della squillo romana che si è sentita male in albergo durante la notte di aspirazioni di coca con l'onorevole Mele. Chissà quando scriverà la sua versione delle confessioni di una cortigiana?
Ma si sa, chi ragiona come il sottoscritto al giorno d'oggi è "out", appartiene a quella piccola minoranza di persone che si pone ancora qualche problema etico. Che gente che siamo!
Sappiamo solo criticare... E non ci lasciamo trascinare dalla corrente. Praticamente dei marziani.
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lunedì 3 dicembre 2007

Elezioni farsa nella Russia Neozarista

Cronaca di una vittoria annunciata; il partito Russia Unita dello Zar Vladimiro ha vinto le elezioni per il rinnovo della Duma. Anzi, ha trionfato visto che ha raccolto circa il 64% dei suffragi. Berlusconi se lo sogna un successo del genere.
Gli osservatori stranieri hanno denunciato i brogli, la pressione mediatica assordante a favore di Putin, tutti hanno visto i pestaggi e gli arresti degli oppositori, fra i quali Kasparov che ha fatto qualche giorno di prigione, ma chi se ne importa?
Il nuovo potere russo marcia spedito ed indifferente a tutto, è come uno schiacciasassi inarrestabile.
L'aspetto più triste della questione, secondo me, è che anche qualora non vi fossero state le violazioni dei diritti democratici che sono state denunciate, Putin avrebbe vinto comunque; anche se magari non con simili percentuali.
Perchè è un leader che parla alla pancia di un paese ancora politicamente immaturo. La Russia ha bisogno di sentirsi di nuovo un primattore, una superpotenza nello scenario mondiale, cosa che non è più dalla caduta dell'Urss.
Putin è l'uomo forte che promette di guidare con mano salda una nazione piena di angosce nuove ed antiche.
La dittatura putiniana ha successo perchè la Russia è abituata da lunghi secoli ad essere soggetta a monarchi espressione di quell'autocrazia di cui parlano gli storici.
E' un dato della cultura russa che esisteva ben prima del nefasto culto della personalità introdotto dal partito comunista nell'epoca di Stalin. Dispiace che la speranza democratica nata negli anni 90 sia naufragata così miseramente.
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sabato 1 dicembre 2007

Il punto della situazione

Dunque, facciamo un pò il punto della situazione.
A Novembre l'inflazione è aumentata nuovamente; fare la spesa costa sempre di più, per non parlare del pieno dal benzinaio o delle bollette di luce e gas.
Le agitazioni delle varie categorie si susseguono a raffica; le ultime in ordine di tempo sono state quella della Coldiretti, quella del comparto dei trasporti e quella dei poliziotti.
E' vero che in pendenza di finanziaria le varie categorie scendono sempre in piazza per rivendicare una porzione della torta, ma le ultime manifestazioni sono la spia di un malessere nuovo, derivante dall'oggettiva difficoltà di vivere che sta dilagando nel paese.
A questo proposito, le centinaia di migliaia di precari che, per dirla con Beppe Grillo, hanno reso l'Italia la Cina d'Europa, attendono l'approvazione del pacchetto Welfare, ma soprattutto stanno ancora aspettando una riforma strutturale ed incisiva del mercato del lavoro che era scritta nel programma dell'Unione e resta, ad oggi, solo una buona intenzione.
Mentre i richiami dell'Unione Europea sull'insufficienza dell'impegno italiano a ridurre il debito pubblico giacciono sul tavolo del Consiglio dei Ministri, il Pil del nostro paese continua ad essere uno dei più bassi della zona Euro.
E la politica che fa?
La casta dei mandarini di Roma si appassiona al dibattito sulla legge elettorale: meglio un proporzionale alla tedesca con correzione alla spagnola o un maggioritario all'ugandese con un innesto proporzionale alla tibetana? E' dura scegliere...
Il centrodestra è in crisi e volano gli stracci; Casini e Fini litigano con Berlusca, che per questo fine settimana ha nuovamente chiamato in piazza le decine e decine di milioni di cittadini (il numero aumenta ogni giorno) che hanno firmato contro il governo per fargli decidere come chiamare il nuovo partito.
Un quesito fondamentale per il futuro dell'Italia, che sicuramente appassiona tutti anche oltre i confini nazionali.
Gli stracci però volano anche nell'Unione; la sinistra estrema è scontenta e accusa Dini di essere un ricattatore, Dini fa lo stesso. Il bue da del cornuto all'asino ed intanto il tempo passa, i problemi si aggravano.
Nascerà la Cosa Rossa? E come si chiamerà? Nascerà la Cosa Bianca? Chi parteciperà, Montezemolo, Pezzotta? Ma di cosa stanno parlando? La gente aspetta col fiato sospeso.
Siamo messi bene, non c'è che dire.
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Ben Harper l'ultimo cantore afroamericano

Ben Harper mi piace perchè probabilmente è l'ultimo cantore della tradizione musicale afroamericana.
Quel favoloso viaggio iniziato ai primi del 900 con il blues, da cui in un incessante rapporto di filiazione sono derivati il Soul, il Funky, il Rock e così via fino al giorno d'oggi.
Mi piace perchè è un personaggio a se stante, alternativo rispetto alla valanga pacchiana di Hip Hop che monopolizza l'attuale scena afro, un prodotto industriale per orecchie di poche pretese che viene spinto all'inverosimile dal circuito dei media e delle case discografiche.
Da questo punto di vista è senz'altro un sopravvissuto; non si è adeguato alle tendenze del momento, ma ha preferito studiare la slide guitar come i vecchi maestri blues di cui si sente apprendista ed allievo.
Ben Harper è nativo di Claremont, Virginia, e da buon virginiano di colore ha respirato sin da bambino una certa aria, favorito in questo dall'attività della famiglia che gestisce un negozio di musica e lo ha incoraggiato a coltivare la passione per il magico mondo delle note.
Il suo esordio è nei primi anni 90; all'inizio è conosciuto solo nel circuito delle radio e delle università, poi viene scoperto e lanciato verso il successo. Nulla di diverso rispetto ad altri nomi diventati famosi.
Il percorso di Ben Harper inizia con un album di stile semi acustico (Welcome To The Cruel World, 1993), dove alterna momenti intimisti a denunce di carattere politico e poi devia verso un rock più deciso ed aggressivo, come per es. in Fight For Your Mind (1995) e The Will To Live (1997).
Si lascia sedurre dalle contaminazioni del Funky e del Reggae (in Diamonds On The Inside, 2003 e Both Sides Of The Gun, 2005) senza disdegnare una digressione nel gospel con lo stupendo There Will Be A Light (2004), inciso insieme al coro dei Blind Boys Of Alabama e che gli ha fruttato un meritato Grammy.
Con il recente Lifeline (2007) è ritornato a sonorità più blues-rock e ad atmosfere più riflessive, testimoniate dal ritrovato carattere intimista dei testi che hanno un pò tralasciato la tematica politica.
Ben Harper è l'ultimo menestrello della tradizione afroamericana; la sua musica ne rappresenta una sintesi, una riscoperta guidata dalla mente e dal cuore di un musicista ispirato e di buon gusto.
E' un cantautore impegnato, di denuncia, in un mondo dominato dal conformismo e dal pensiero unico; scusate se è poco.
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