venerdì 28 marzo 2008

Campagna elettorale, Berlusconi l'ardito osa

La campagna elettorale sta forse entrando nella sua fase circense, che molto si addice al nostro paese.
Dopo la lite colorita fra la Mussolini e la Santanchè che si contendono l'eredità spirituale di Mussolini, è la volta, manco a dirlo, dell'unico vero showman: il nano di Arcore.
Il caudillo del Centrodestra negli ultimi giorni ci ha regalato tre berlusconate d'autore, da antologia del brutto.
Prima berlusconata, l'esistenza di una cordata italiana per salvare il malato terminale Alitalia.
I presunti partecipanti si tirano indietro con comunicati ufficiali; Bossi smonta l'ipotesi dicendo che un imprenditore partecipa a un progetto se c'è da guadagnare daneè e può avere voce in capitolo, non per difendere l'orgoglio nazionale. Non fa una piega.
Difficile chiedere a un industriale di buttare quattrini (si parla di miliardi di euro) in un'azienda come Alitalia: ricorda la famosa campagna fascista per regalare l'oro alla patria.
Ma il nostro Berlusconi rilancia e dice che comunque ha proibito ai figli, ancora in evidente posizione di "minorità", di partecipare.
Un pò come si fa quando gli si proibisce di uscire il Sabato o di comprarsi la moto perchè è pericolosa.
La mossa, se non ci sarà una svolta concreta, puzza sempre più di speculazione propagandistica, giocata sulla sorte dei dipendenti della compagnia di bandiera e sulla credulità del corpo elettorale.
Da parte di uno che come il suo compare Fini fino a due settimane fa era d'accordo sulla cessione del vettore nazionale ad Air France.
Seconda berlusconata, il rifiuto a partecipare alla trasmissione della Annunziata su RAI3, la tana del nemico comunista; che a dire il vero segue il rifiuto di Veltroni di andare a Porta a Porta. I Gianni e Pinotto della politica, dopo essersi accusati a vicenda di copiarsi il programma, continuano a farsi i dispetti.
Terza berlusconata il sospetto di brogli, nuovamente agitato nelle ultime ore; Berlusconi osa di nuovo, cercando di conferire alla prossima consultazione elettorale un'atmofera da 1948: i democratici e i difensori della libertà si dovranno mobilitare, per impedire al mostro di sinistra di vincere alterando i risultati.
Tutto questo mentre a Palermo due presidenti di seggio, legati a Forza Italia, vengono arrestati con l'accusa di brogli a favore del candidato di Centrodestra Cammarata.
Ci mancava qualche sortita del cavaliere: senza berlusconate che campagna elettorale è?
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martedì 25 marzo 2008

Il diritto alla conversione di Magdi Allam

Magdi Allam si è convertito al cattolicesimo; Benedetto XVI in persona ha officiato la cerimonia battesimale.
La notizia ha avuto ampio riscontro su tutti i media italiani ed esteri; nei paesi musulmani l'evento è stato raccontato con toni molto critici, al punto di accusare la Chiesa di aver dato troppo risalto alla cerimonia, e Allam di apostasia. Ci risiamo.
Il collaboratore del Corsera viene contestato perchè secondo gli zelanti redattori delle testate arabe, ha abbandonato la fede per abbracciare la religione di quelli che secondo loro sono gli infedeli.
L'affondo è accompagnato dalla rievocazione del suo passato: Allam agente dei sionisti, Allam sostenitore dell'America, Allam che da anni infama i musulmani per conto di qualche "centrale" internazionale anti - islamica.
La seconda fase della campagna potrebbe essere l'emanazione di una fatwa per punire l'apostata con la morte. Speriamo invece che ci si fermi qui.
Le valutazioni sulla figura del giornalista in questi giorni sono l'oggetto principale dei commenti alla sua conversione, ma in questo modo passa in secondo piano il punto fondamentale.
Vale a dire il diritto incontestabile di Allam, e di qualunque altra persona, a scegliere liberamente la propria religione, senza che un Imam o un qualsivoglia esponente o leader di una qualsivoglia religione, possa contestare una scelta che è espressione di un fondamentale diritto umano.
L'attendibilità, la serietà, le idee palesate negli anni da Allam in veste di opinionista e scrittore, condivisibili o meno, c'entrano ben poco.
Le critiche e le minacce ad Allam danno piuttosto ragione alla sua tesi, che l'Islam per la sua connotazione teologica, per la sua struttura, è una fede destinata a cadere inevitabilmente nel gorgo dell'intolleranza e della violenza.
Difficile dargli torto, considerando che nella grande maggioranza dei paesi islamici ancor oggi manca una netta distinzione fra religione e politica, fra stato e convinzioni religiose ed etiche dei cittadini.
L'Islam è un tutto che divora la libertà di coscienza e di pensiero degli individui, che ne condiziona interamente la vita quotidiana. Un totalitarismo per l'appunto, un pericolo per la libertà con il quale, in questo XXI secolo, dovremo fare i conti.
Il problema di Magdi Allam è semmai un altro; la sua conversione al Cattolicesimo è il coronamento di un cammino spirituale che lo ha avvicinato agli ambienti più tradizionalisti della Chiesa di Roma.
Quegli ambienti ben rappresentati da Ratzinger, il papa antimoderno che non a caso ha voluto battezzarlo personalmente.
Allam ripudia l'Islam perchè retrivo e violento ma abbraccia una fede interpretata da alcuni, che gli sono vicini, allo stesso modo.
Qui probabilmente c'è il cortocircuito, la contraddizione in termini.
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venerdì 21 marzo 2008

Forza Nuova: a volte sembrano ghandiani

Seconda parte del piccolo viaggio nelle liste più naif in lizza per le prossime elezioni. Dopo i marxistoidi di Sinistra Critica, i fascisti di Forza Nuova.
Ieri era ospite del Tg di La7 Roberto Fiore, candidato premier per i suddetti. Commentando la tragedia del Tibet, Fiore ha lanciato un accorato e sdegnato appello per boicottare le Olimpiadi e, più ampiamente, per interrompere ogni rapporto diplomatico e commerciale con Pechino.
Tanto più, ha detto, se consideriamo che le merci cinesi stanno uccidendo la nostra economia; perciò non è chiaro se è mosso da intenti umanitari o se, rispolverando l'autarchia mussoliniana, intende piuttosto difendere l'economia italica.
I nostri artigiani, come ha detto, a dimostrare la volontà di recuperare il Fascismo popolare, sociale, del 1919, che si ergeva a difensore delle ragioni dei piccoli, delle botteghe.
Riporto alcuni stralci del comunicato che ha rilasciato sulla questione Tibet, che si può leggere integralmente nel sito dell'organizzazione.

"Pechino sta dimostrando per l'ennesima volta la sua più totale incapacità di rispondere con diplomazia e di rispettare le tradizionali peculiarità del popolo tibetano... La Cina ha risposto con inaudita violenza militare, sparando sulla folla... Pretendiamo che si fermi la prepotenza dei forti sui deboli in ogni luogo, dall'Iraq alla Cina."

Sembrano quasi ghandiani, questi fascisti. Denunciano la violenza in nome del dialogo pacifico, combattono l'imperialismo con gli occhi a mandorla.
Peccato che, a ripercorrere la storia del ventennio da cui provengono, emerga tutt'altra realtà; quella di un regime che con la forza delle armi impose il suo dominio arbitrario su nazioni sovrane.
Dall'Africa (Eritrea, Somalia ed Etiopia), dove faccetta nera sarebbe stata per sempre romana, ai Balcani (Albania, annessa nel 39 per completare la fondazione dell'impero fascista, come si disse in quel momento).
Il Nazifascismo era permeato da una logica di prevaricazione e di conquista, che per l'Italia significava trovare nuove fonti di materie prime e colonie dove esportare una popolazione numerosa e risolvere un problema occupazionale.
Per la Germania Hitleriana invece poggiava sulla nefanda teoria della razza, per la quale il popolo ariano, in virtù della sua acclarata superiorità, aveva il destino, la missione storica, di dominare su tutti.
Sembrano quasi ghandiani, a volte, ma sono violenti e prevaricatori. Sobillatori di disordini negli stadi, dove possono reclutare la manovalanza per i loro intenti destabilizzatori. Maneschi con chi la pensa diversamente, nella migliore tradizione squadristica.
Raid contro i centri sociali o nei luoghi dei concerti, pestaggi di persone che secondo loro appartengono alla controparte, di solito intercettate per strada o magari sui treni. Quando sono sole naturalmente.
Com'è accaduto qualche mese fa in provincia di Treviso, dove a una ragazza due figuri hanno inciso su una guancia con un coltello le iniziali di Forza Nuova.
Il movimento ha preso subito le distanze, dicendo che i due non risultavano iscritti; sarà, ma evidentemente erano ispirati a loro. Di certo non al Mahatma Ghandi o al Dalai Lama.
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mercoledì 19 marzo 2008

Sinistra critica: il comunismo colpisce ancora

La Sinistra e l'Arcobaleno a cui hanno aderito Rifondazione e i comunisti di Diliberto ha rinunciato alla falce e martello.
Ma il simbolo dei proletari è stato prontamente recuperato da Sinistra Critica, il movimento di Turigliatto uscito proprio da Rifondazione, come si può vedere nel suo sito (peraltro ben fatto).
Quindi, all'elettorato che si appresta ad andare ai seggi il 13/14 Aprile con scarso entusiasmo non mancherà la più ampia possibilità di scelta. Dopo i fascisti della destra di Storace ci saranno anche i comunisti. Tutto nel segno della novità.
Da una parte gli eredi della tradizione mussoliniana, del ventennio che per l'Italia ha significato l'eclissi della libertà e la partecipazione alla seconda guerra mondiale al fianco di Hitler, da cui il paese è uscito in pezzi.
Dall'altra gli eredi del Marxismo - Leninismo, all'origine del totalitarismo disumano che dagli anni venti fino alla fine degli anni ottanta ha oppresso molti paesi in ogni parte del mondo.
Due ideologie affini nonostante si siano combattute ferocemente, per le prassi concrete a cui hanno dato luogo.
Le ideologie che hanno segnato il secolo breve di cui parla lo storico Hobsbawm, il secolo più violento di tutti.
I promotori di Sinistra Critica fra cui spiccano il senatore del no Turigliatto e la candidata a premier D'Angeli (novella Rosa Luxemburg), non saranno di certo sostenitori del Bolscevismo: e penso che avrebbero parole di fuoco per commentare il lugubre periodo dello Stalinismo.
D'altra parte, già negli anni 60/70 la sinistra estrema europea aveva avviato una parziale revisione critica del suo rapporto con il blocco comunista.
Ma fa comunque specie vedere quel simbolo, sapendo cosa si cela dietro. Non solo la lotta per l'emancipazione dei lavoratori e degli sfruttati, ma anche le dittature che lo hanno utilizzato come distintivo.
E gli eversori, anche e soprattutto in Italia, che vi si sono riconosciuti e in suo nome hanno ammazzato. E' un simbolo bifronte.
Comunque, leggendo il programma di Sinistra Critica, si nota la vecchia tendenza dei comunisti a proporre il modello dello stato dirigista e occupatore.
Un salario minimo imposto per legge, anche a chi non lavora, la rinazionalizzazione di comparti come le autostrade e la telefonia, il diritto allo studio gratuito, il ritorno a un sistema pensionistico interamente pubblico, i servizi pubblici gratis e partecipati dai lavoratori (in che modo?).
Si nota la volontà di tassare i ricchi e le imprese, che ricorda la lotta ai kulaki nell'Urss degli anni venti, con qualche involontario sconfinamento nel comico, come per la proposta di destinare i militari opportunamente riconvertiti (forse tramite un corso di rieducazione in appositi campi) a compiti ispettivi nelle aziende e nei cantieri. Con la licenza di fucilare i trasgressori?
E ci sono passaggi bizzarri, come la proposta di garantire la libertà totale di circolazione dei/delle migranti (cito testualmente, notare la finezza femminista molto politically correct).
Cosa questa che presupporrebbe l'abolizione dei confini nazionali, che per ora è ovviamente improponibile. Chissà nel 2150.
E' un programma tutto incentrato sull'esigenza di redistribuire la ricchezza, colpendo lauti profitti, patrimoni e beni di lusso cosicchè anche i ricchi finalmente piangano, visto che Bertinotti non ci è riuscito.
Non viene però spiegato in modo convincente come finanziare molte lodevoli iniziative, ne come fare per incentivare la produttività delle imprese, che generando valore generano anche occupazione e magari, con gli opportuni interventi di politica pubblica, possono anche generare salari più alti.
Ma Sinistra Critica non ci pensa; essendo dichiaratamente anticapitalista l'impresa è un nemico da colpire, anche perchè fra le altre cose produce "imballaggi eccessivi" e consuma troppa acqua (se la prendono anche con l'agricoltura).
Quindi dagli specialisti del niet un bel niet all'economia di mercato, in nome di vecchie concezioni dure a morire.
Il sospetto che l'economia di mercato e uno stato che ne corregge gli effetti negativi possano coesistere, che la libera iniziativa economica possa coesistere con i diritti di chi lavora non li sfiora.
Queste per ora sono le intenzioni; l'abolizione della proprietà privata e la collettivizzazione dei mezzi di produzione sono rimandate a future campagne elettorali.
Dulcis in fundo, si propone la rotazione delle cariche pubbliche (ovvero?). Raccomandati per chi vuole esprimere un voto naif.
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Caso Alitalia, paradigma dello sfascio italiano

Le ultime dal fronte Alitalia ci dicono che l'accordo sulla cessione della nostra compagnia aerea ad Air France è a rischio.
Se la trattativa fallirà, Alitalia porterà i libri in tribunale; la liquidità disponibile può coprire le esigenze dell'azienda solo per un paio di mesi al massimo.
E' un dramma che rappresenta fedelmente quello che è diventato, o forse è sempre stato, il nostro paese da operetta.
C'era una volta un'azienda pubblica ispirata (come tutte le aziende pubbliche) a criteri estranei a una gestione razionale, improntata alla ricerca dell'utile e della redditività.
Secondo il modello dello stato occupatore - imprenditore, gli organici della compagnia di bandiera venivano gonfiati ben oltre le sue reali necessità; com'è accaduto per le poste, le aziende sanitarie, i comuni, le ferrovie e così via.
I partiti lottizzatori facevano assumere persone a rotta di collo, e ampliavano così, in una logica rigorosamente clientelare, la base dei loro consensi.
Immagino che alla direzione del personale a Roma esistessero due archivi, quello normale e quello speciale, contenente i nomi dei raccomandati; e immagino che per le assunzioni andassero a pescare soprattutto nel secondo.
Gli sprechi, come in tutti i carrozzoni statali e parastatali, erano la prassi; il personale di volo alloggiava in alberghi a cinque stelle, a bordo di certi voli venivano offerti generosi buffet, ai piloti venivano riconosciuti, grazie a scioperi ricattatori (che affliggono da sempre tutto il comparto aereo) stipendi ben oltre la media della categoria, e così via di seguito.
Gli sprechi del nostro vettore aereo, come per tutti i carrozzoni italiani, venivano inevitabilmente coperti con le tasse.
Secondo il processo espansivo del debito pubblico (iniziato negli anni 80) che è andato fuori controllo e oggi ci lascia l'eredità di un indebitamento "argentino", pari al 104 % del PIL.
Alitalia poi è stata parzialmente privatizzata (lo stato detiene il 50% circa delle azioni), ma è rimasta fuori dalle ristrutturazioni che negli anni 90 hanno interessato il comparto aereo internazionale.
Congelata nel tipico immobilismo italiano non ha tenuto conto delle novità del mercato, finendo per subirle e accumulare passività sempre più grandi.
I dirigenti si sono succeduti senza una proposta, un piano industriale degno di nota per tenere Alitalia al passo con i tempi.
Caso esemplare quello di Cimoli, accettato da tutti i partiti, che ha contribuito a rovinare Trenitalia prima e Alitalia poi.
Alitalia è stata anche vittima del campanilismo Roma - Milano; siamo credo l'unico paese al mondo munito di due hub per la compagnia di bandiera, con un'inutile duplicazione di costi: Malpensa, la cui costruzione all'epoca si giustificava soprattutto per il giro di appalti e tangenti che ha messo in moto, e Fiumicino.
Oggi Alitalia cade vittima della campagna elettorale; il centrodestra sta sfruttando la crisi per motivi elettorali.
Il disastro è stato provocato da Prodi, berciano nel PDL, ma si sa che il declino di Alitalia dura da almeno 15 anni e che il centrodestra, quando era al potere, non ha fatto nulla per sciogliere i nodi. Le responsabilità di destra e sinistra sono pressochè identiche.
Salviamo l'italianità della nostra compagnia di bandiera, dice Berlusconi, in quella che ormai ci viene presentata come una riedizione della disfida di Barletta, Italia contro Francia; mentre in realtà dev'essere semplicemente trattata per ciò che è, un'operazione di mercato.
L'unica alternativa, in partenza, era l'acquisto da parte di Air One dell'imprenditore Toto, con l'appoggio di alcune banche.
Un'ipotesi all'italiana, in effetti. Un'azienda vuole comprarne una più grande senza i soldi necessari, per cui sarebbe disposta a indebitarsi con le banche...
Ricorda molto la sciagurata operazione della vendita di Telecom a Tronchetti Provera, i cui risultati si sono visti.
Per quanto riguarda la Lega, il suo disinteresse per Alitalia è stato pari all'interesse dimostrato per Volare Web, basata a Varese nel cuore della Padania.
Il cui management, è bene ricordarlo, aveva rapporti stretti con Bossi & Co ed è stato inquisito per il noto crac di qualche anno fa.
Adesso costoro, spalleggiati da Formigoni, propongono una moratoria di tre anni, prima di decidere il destino di Alitalia e Malpensa, come se ci fosse ancora tempo per decidere. E denari da spendere.
Non si capisce bene fra l'altro quali siano i gravi pericoli paventati per Malpensa, dato che 18 compagnie aeree sono pronte a prendere gli spazi lasciati liberi da Alitalia.
Anche i sindacati come al solito si sono messi di traverso, sostenendo che il piano industriale di Air France gli è stato imposto senza la possibilità di consultarlo (e ovviamente smontarlo come da tradizione).
I sindacati del no hanno sempre bloccato qualunque piano per salvare la compagnia, questa è storia. Adesso pretenderebbero che Air France si accolli il fardello di Alitalia così com'è, cosa ovviamente impossibile.
Sfido il paziente Spinetta a trovare un accordo, come ha dichiarato, con le nove (leggasi nove) sigle sindacali presenti in azienda.
Insomma tutti stanno dimostrando la più totale mancanza di senso di responsabilità e degli interessi nazionali.
Siamo alla fase delle parole in libertà, del polverone di dichiarazioni e polemiche, in cui va a sempre a finire qualunque discussione sui problemi italiani.
La Moratti sindaca di Milano dice che Alitalia può anche fallire, l'importante è che si salvi Malpensa.
Il commercialista Tremonti, che fino a due anni fa sentenziava che il mercato deve fare il suo corso, adesso si scopre un keynesiano illuminato: lo stato, se necessario, intervenga. Come resta un mistero, dato che l'Europa proibisce e sanziona gli aiuti statali.
Gli insegnamenti da trarre, in conclusione sono tre. Per le aziende straniere, che l'Italia è un paese dove investire è impossibile, perchè è dominato da una politica corrotta, intrigante e arruffona.
Per i lavoratori di Alitalia, che ai partiti non gliene importa nulla dei loro posti di lavoro. Per i cittadini italiani infine, che se Alitalia non verrà ceduta nelle prossime ore pagheranno loro, in un modo o nell'altro. Nonostante Tremonti e Berlusconi dicano che non vogliono mettere le mani nelle tasche dei cittadini: lo hanno già fatto a suo tempo, come i loro avversari.
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domenica 16 marzo 2008

Gli Who, volto romantico del rock

Gli Who: quante cose ci sarebbero da dire, c'è materia per un libro. E' il destino che accomuna le leggende della musica.
Gli Who hanno collezionato i dischi d'oro e i premi come se fossero figurine, sono stati citati come influenza determinante, nell'arco di oltre quarant'anni di carriera, da tanti nomi che contano (fra gli altri Clash, Pearl Jam, Green Day, Ramones, White Stripes).
Sono stati i portabandiera degli anni 60, contribuendo a caratterizzarne la controcultura giovanile. Presenti a tutti i momenti fondamentali, come Woodstock o il festival dell'isola di Wight.
Hanno continuato a essere un gruppo di successo per tutti i 70 e a godere di una devozione intergenerazionale che arriva fino a oggi, passando indenni in mezzo alle mode.
Gli Who come parte (assieme a Beatles e Rolling Stones) della trimurti da cui è scaturito il pop in senso lato. A mio parere, i migliori fra i tre.
Per la storia, si può leggere l'ottima scheda di Wikipedia o dare un'occhiata al sito ufficiale della band.
Gli Who sono il volto romantico del rock, come può esserlo ad esempio Bruce Springsteen che tuttavia appartiene a un altro paese e un'altra generazione.
Le canzoni, gli atteggiamenti pubblici e le scelte personali dei quattro britannici sono il manifesto dei giovani ribelli che si giocano tutto, coerentemente, in prima persona.
Roger Daltrey e soci hanno tradotto in musica e songwriting il senso di esclusione e di rivolta che iniziava contro la società, come nei primi singoli di successo della band, Can't Explain e My Generation. Gli uomini giusti al momento giusto, potremmo dire.
Era una rivolta a tratti scomposta e priva di obiettivi, concretizzata nel movimento londinese dei Mods che li aveva eletti a leader.
Romantici dunque perchè pronti al rifiuto, alla lotta senza compromessi combattuta con chitarra e penna, come recita il titolo di una loro canzone "tarda" (the Guitar And The Pen - album Who Are You, 1978).
Per questo vengono considerati gli anticipatori del punk; ma non si sono limitati a esprimere ingenuamente delle semplici pulsioni.
Gli Who hanno esplorato la sfera dei sentimenti, hanno ricercato la genuinità e la purezza, hanno criticato con intelligente ironia la politica, la società omologante dei consumi di massa, come nello splendido The Who Sell out. Un album attuale oggi più che mai.
E hanno raccontato con rara efficacia il sofferto cammino dell'adolescente verso la maturità nell'immaginifico Tommy, che è prima di tutto un racconto interiore del chitarrista Pete Townshend.
Gli Who allora come archetipo del mondo rock, e questo anche sul piano stilistico. Il loro sound prende le mosse dal rock americano, nonostante i Mods combattessero nelle strade una guerra senza quartiere contro i Rockers proprio perchè questi ultimi restavano fedeli agli idoli della prima ora (Elvis, Eddie Cochran, Gene Vincent etc...).
La seconda ascendenza è il Rhytm and Blues in quegli anni in ascesa; entrambi vengono fusi in una miscela dura e nervosa, con la chitarra distorta di Townshend a dominare prima di essere immancabilmente fracassata sul palco; gesto assai scandaloso per i tempi.
Ma è un sound che con gli anni si fa più studiato e articolato; nasce l'Opera Rock, il Concept Album che racconta di canzone in canzone un'unica storia.
Dopo Tommy e The Who Sell Out è un'idea che trova l'apoteosi con lo spettacolare Quadrophenia (1973), rievocazione nostalgica della Swinging London dei Mods (da cui sarà tratto l'omonimo film con Sting), a dimostrare la grande maturità tecnica e compositiva ormai raggiunta dal gruppo.
Dopo la morte del batterista Keith Moon (1978) il vecchio incantesimo perde a poco a poco vigore; gli Who vanno avanti fino a It's Hard (1982) e poi, proprio perchè è dura, si sciolgono.
Iniziano nuove storie, in particolare per Townshend animatore di svariate iniziative musicali e teatrali.
Gli Who però tornano in scena per tour e concerti celebrativi o benefici; da segnalare le serate alla Royal Albert Hall (dove i nostri maestri sono accompagnati da Noel Gallagher, Eddie Vedder e altri) documentate, per chi lo trova, nel triplo cd pubblicato nel 2003.
Del 2006 è invece il primo album in studio dai tempi di It's Hard: Endless Wire, che racconta come Daltrey e Townshend (a questo punto orfani anche di John Entwistle, morto nel 2002) vedono il mondo di oggi con le sue meraviglie tecnologiche (ma sono tali davvero?).
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venerdì 14 marzo 2008

Cuba, la farsa continua

La dittatura cubana, dopo il cambio della guardia tra Fidel e suo fratello Raul, ha deciso di aprirsi al mondo moderno.
Mentre Fidel, dopo una vita di monumentali arringhe sui palchi si sta dedicando alla scrittura (facile immaginare la pubblicazione di una altrettanto monumentale autobiografia), è stato annunciato che presto sarà possibile acquistare legalmente computer e lettori DVD e che, udite udite, si potrà addirittura possedere televisori con schermi oltre i 24 pollici.
Se i primi due divieti avevano una logica (un computer, magari collegato a Internet, o un DVD possono diffondere contenuti sconvenienti per la propaganda di regime), resta incomprensibile il terzo, ma tant'è pure quello è stato tolto.
Il paese delle esauste auto - dinosauro che hanno lo stessa tutela riconosciuta a certe specie animali, dove tutto è "sgarruppato" e resta insieme per misericordia, si apre alla civiltà multimediale.
Comunque non si potrà accedere a Internet e resta il divieto di possedere cellulari, merce rara riservata ai funzionari di partito e agli stranieri. Troppo pericoloso hablar e troppo pericoloso navigar nel mare delle informazioni in rete.
Resta da capire che se ne faranno di queste concessioni i cubani, la cui esistenza da decenni è scandita dalle tessere del razionamento e spesso non hanno i quattrini per comprarsi un paio di scarpe, figurarsi per comprare i meravigliosi gadgets elettronici liberalizzati dal regime.
Nel frattempo, le tessere del nuovo potere cubano sono state messe al loro posto; il nuovo leader Raul Castro ha spostato Tizio di qua e promosso Caio di là. Comunque tutti vecchi personaggi già appartenenti alla nomenklatura cubana.
Qualche volto nuovo, qualche promessa di riforma: senz'altro questo speravano i sudditi del regime, ma per ora niente da fare.
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Tibet: la Cina vince le olimpiadi della repressione

Dal Tibet le notizie, come le immagini, stanno arrivando in maniera ancora un pò frammentaria. Però la sostanza è chiara: i tibetani da circa due giorni sono nuovamente in rivolta contro il drago cinese.
Come in Birmania, sono i monaci buddhisti gli animatori della sollevazione contro Pechino e come in Birmania, di cui non si parla più, sono loro le principali vittime della repressione.
Il popolo tibetano è una minuscola comunità annegata nel mare cinese; qualcuno ha detto che i cambiamenti della storia sono dettati dalla demografia.
Verità parziale, perchè c'è sempre comunque bisogno di un forte supporto militare ed economico. La Cina di oggi possiede tutte queste caratteristiche.
Le Olimpiadi devono ancora iniziare ma verrebbe da concludere che quelle della repressione i cinesi le hanno già vinte.
Però non ci si può voltare dall'altra parte di fronte alla violenza del regime comunista di Pechino; una violenza particolarmente odiosa poichè si rivolge contro una nazione pacifica, custode della plurimillenaria saggezza buddista, contro uno dei membri fondatori dell'Onu.
L'occupazione illegittima del Tibet dura dal 1950 e la comunità internazionale se n'è sempre sostanzialmente disinteressata.
A maggior ragione adesso, a pochi mesi di distanza dalle Olimpiadi, che per il regime sono l'occasione per sbandierare il suo tronfio e volgare orgoglio nazionalista.
Tutti quanti tacciono imbarazzati, per non urtare la suscettibilità della principale potenza economica emergente.
Ma proprio per il fatto che le Olimpiadi stanno puntando con decisione i riflettori sulla Cina, emergono le occasioni più favorevoli per dare maggiore impatto mediatico ai malcontenti e alle rivendicazioni.
Il riesplodere della fronda tibetana ne è un esempio, ne è esempio anche il risveglio della protesta degli intellettuali cinesi, vittime di una repressione poliziesca a base di sequestri e incarcerazioni, o il presunto tentativo di sequestro di un aereo ad opera di estremisti islamici dello Xiniang.
Forse il giocattolo che il regime ha preparato si sta rompendo fra le sue mani: cosa potrà accadere ancora? E cosa serve per risvegliare la coscienza narcotizzata dell'Occidente?
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martedì 11 marzo 2008

Sesso libero all'aperto in Olanda

L'Olanda ha spostato un pò più in là il limite di quello che una volta veniva chiamato il comune senso del pudore.
Come racconta il sito del Corriere della Sera, a breve chi lo desidera potrà fare sesso liberamente nei parchi pubblici.
Si intende estendere a tutte le città la sperimentazione già effettuata con successo ad Amsterdam, dove da qualche tempo è possibile godersi le gioie del sesso ai giardinetti.
Dunque Olanda avanguardista e sperimentalista come da tradizione consolidata, soprattutto in tema di costumi sessuali.
Attenzione però: non sarà possibile prima del tardo pomeriggio, ne consumare rapporti vicino alle aree per i bambini, e bisognerà comunque nascondersi alla vista.
La polizia non dovrà intervenire fino a che le particolari attività non arrecheranno disturbo a qualcuno ed è fatto obbligo di ripulire l'area (via preservativi e mozziconi di sigaretta). Civilissima e liberale Olanda.
Il diritto in questione si applica a due o più persone (sic). Perciò è garantita anche la libertà d'ammucchiata.
Non so quanti saranno pronti a sfidare i rigori dell'inverno, che da quelle parti picchia duro, per usufruire di questo diritto.
Comunque è un esempio della mentalità aperta e naturista che, come si sa, caratterizza le genti del Nord Europa.
Davvero un grande contrasto con l'Europa meridionale e quindi anche con l'Italia, dove sussiste ancora la fattispecie penale dell'atto osceno in luogo pubblico; per cui una coppietta che ha il coraggio di appartarsi in macchina (coi tempi che corrono) può in teoria essere denunciata.
Mi vengono in mente anche le polemiche che puntualmente contrappongono favorevoli e contrari quando qualcuno vuole aprire un sexy shop, magari con l'intervento del vescovo di turno a difendere la moralità; o quando si parla di legalizzare la prostituzione.
In Olanda di fronte a tutto ciò corrugheranno la fronte: che strana gente, penseranno. D'altra parte, paese che vai usanze che trovi.
Gioiscono i gay locali, che evidentemente sono i più interessati al provvedimento. Adesso, dicono, potremo goderci il nostro amore e saremo più sicuri perchè la polizia vigilerà.
I gay in occidente stanno facendo di tutto per farsi pienamente accettare dalla società; forse non hanno pensato che con questa esultanza rinverdiscono l'immagine stereotipata dei pervertiti che si imboscano dietro una siepe o sotto un ponte per consumare il loro amore proibito.
Molto più moderno e normale farlo in casa o darsi appuntamento in qualche albergo: o no?
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lunedì 10 marzo 2008

Zapatero, riformista vincente senza ambiguità

Zapatero ce l'ha fatta, si è conquistato il secondo mandato come premier.
Il leader spagnolo non è riuscito a prendere la maggioranza assoluta alle Cortes, ma consolida le posizioni del Partito Socialista e si prepara a governare (presumibilmente in scioltezza) nei prossimi quattro anni.
Veltroni ne trae auspici positivi per il PD e può anche darsi che le elezioni iberiche gli portino bene.
Però, dato che i dirigenti del nuovo soggetto riformista italiano amano spesso tracciare paragoni con il PSOE spagnolo, è bene fare alcune puntualizzazioni.
Zapatero aveva promesso la riforma del sistema radiotelevisivo e l'ha fatta. La situazione spagnola era simile a quella di casa nostra, con una emittente pubblica indebitata e lottizzata, la necessità di riequilibrare la raccolta pubblicitaria e di aprire il mercato dei media a nuovi soggetti. Eseguito.
Qui invece si blatera di conflitto di interessi dal 1994, anno della famosa "discesa in campo" di Berlusconi e una legge seria al riguardo non è mai stata fatta, complice l'atteggiamento timoroso o inciucista che troppe volte il Centrosinistra ha dimostrato (vero D'Alema?) quando poteva decidere.
Ironia della sorte proprio la Telecinco berlusconiana ha strillato all'attentato contro la libertà d'impresa (mentre invece in questo modo ovviamente si apre di più il mercato), ma il governo Zapatero ha tirato dritto.
Zapatero poi aveva promesso di attuare la riforma dei diritti civili e ha mantenuto. Dal matrimonio fra omosessuali al divorzio breve, il riformista spagnolo senza ambiguità e complessi ha tirato avanti come un rullo compressore.
In Italia il progetto Dico è naufragato e il divorzio breve, già approvato dalla commissione giustizia del Senato, finirà nel nulla causa lo scioglimento delle camere (con soddisfazione dei papalini di entrambi gli schieramenti).
Zapatero ha detto a più riprese alla conferenza episcopale spagnola di non interferire nella politica, in un paese difficile perchè di note tradizioni cattoliche, ancora una volta senza gli imbarazzi che caratterizzano Walterone.
Povero Veltroni, si trova stretto fra l'incudine laica e il martello cattolico del PD che per ora è l'ermafrodita della politica italiana.
Zapatero aveva elaborato una riforma del mercato del lavoro e l'ha varata, con l'obiettivo di limitare il precariato (che pure in Spagna è un problema).
L'Ulivo in due anni non solo vi è riuscito, ma dispiace dover ricordare che le prime falle nel diritto del lavoro italiano per quanto riguarda la tutela dei lavoratori non si devono alla legge 30 di Berlusconi, ma al pacchetto Treu del 1997 (durante il primo esecutivo Prodi).
Zapatero si è impegnato per promuovere le pari opportunità fra i sessi e ha cercato di dare il buon esempio: metà del suo esecutivo è rosa, a cominciare dalla vicepremier. Da noi invece si è ancora alla mera fase della discussione sulle quote rosa.
Due cose perciò sono chiare; Zapatero ciò che promette lo fa e credo che questo sia degno di considerazione anche per chi non è di centrosinistra.
Per chi invece appartiene a quest'area, Zapatero insegna la lezione di un riformismo aperto e coraggioso, e soprattutto laico.
Zapatero non ha bisogno di andare in pellegrinaggio a Spello o di citare il cardinal Martini come riferimento ideale; non ha bisogno di inventare nuove simbologie o vacue etichette di stampo americano per attirare a se tutto e il contrario di tutto.
Il leader spagnolo ha vinto per la seconda volta con una carta d'identità chiara, radicata nella cultura spagnola e più ampiamente europea: quella socialdemocratica, ancorchè naturalmente aggiornata alle esigenze di una società moderna.
Quell'identità che per Veltroni è da mandare in soffitta, nel compiacimento dei cattolici del PD.
E' un'indicazione secondo lui valida non solo per l'Italia ma per tutto il continente come ha cercato di spiegare a una perplessa e anche un pò scocciata Internazionale Socialista, di cui proprio lo Zapatero tanto ammirato è vicepresidente.

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sabato 8 marzo 2008

Legge elettorale: buon motivo per non votare

L'Italia è una repubblica fondata sulle menzogne. I partiti ci stanno raccontando che bisogna andare a votare per dare un governo al paese; per scegliere, con il voto, chi dovrà governare per imprimere finalmente la svolta che il paese sta attendendo.
In realtà il 13 e 14 Aprile si consumerà l'ennesima burletta: i cittadini andranno a votare con una legge elettorale fatta su misura per tutelare gli interessi della partitocrazia e che difficilmente assicurerà un governo stabile e in grado di funzionare.
Questo perchè:
1) il Porcellum non prevede la preferenza, condizione elementare per instaurare un rapporto diretto e autenticamente democratico fra elettore ed eletto.
In questi giorni politici come Fini sostengono che la preferenza si presta a fenomeni di clientelismo, di voto di scambio. Meglio abolirla come ha fatto l'ignobile Porcellum.
Stupidaggini. I comportamenti poco virtuosi che caratterizzano la casta sono il risultato di una carenza di senso della legalità e delle istituzioni; per contrastarla non basta di certo cancellare la preferenza.
Magari saranno direttamente le segreterie nazionali o i leader locali a fare accordi poco limpidi; Berlusconi ha detto che farà il ponte sullo stretto e le cosche della mafia si stanno già fregando le mani, pensando a quanti soldi guadagneranno con gli appalti.
D'altra parte l'ex ministro Lunardi, influente membro di Forza Italia, una volta ha detto che con la mafia bisogna convivere.
2) Gli italiani dovranno scegliere fra uno dei simboli ammessi, sotto cui si presenteranno candidati in liste bloccate decise dalle segreterie nazionali. Prendere o lasciare.
Nelle dittature (come Cuba o la vecchia Unione Sovietica) le leggi elettorali sono simili: l'unica differenza è che nelle dittature corre un solo partito.
Anzi, il Porcellum somiglia molto se vogliamo alla legge Acerbi del 1923 che sancì la vittoria del Fascismo, perchè stabiliva un meccanismo proporzionale e i "listoni" decisi dai partiti.
3) Agli albori della seconda repubblica si diceva "i candidati devono essere espressione del territorio".
Con il Porcellum invece sono espressione della volontà del segretario nazionale o di comitati che si contendono i posti per garantire la rappresentanza delle correnti, come dimostrano le recenti baruffe nel Partito Democratico.
Con risultati a volte paradossali, tipici della tragicommedia italiana, perchè certi candidati vengono imposti dal leader con criteri per così dire metapolitici; il nano di Arcore candiderà la sua massaggiatrice, dopo aver mandato al potere il suo commercialista e il suo avvocato. E' un concetto di clan allargato ai massimi livelli.
4) Dato il grande numero di partiti in corsa, difficilmente il partito vincente avrà i numeri sufficienti per governare in tranquillità. A dispetto delle speranze e dei calcoli dei due big PD e PDL, l'esito non è affatto scontato.
Quindi potremmo ritrovarci con un parlamento frammentato come il precedente, con la logica conseguenza di un governissimo che dovrà fare poi ciò che andava fatto prima: una legge elettorale nuova e un nuovo scioglimento delle camere. Le larghe intese imposte dalla situazione.
Date un voto utile, dice ancora il solito Fini; utile ai cittadini non lo è di sicuro, serve alla casta per continuare nelle sue grandi manovre per il potere.
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lunedì 3 marzo 2008

In difesa di Mastella


Basta! E' arrivato il momento di difendere Mastella.
Il leader dell'Udeur, dopo l'ostracismo del Centrosinistra, è incappato anche in quello di Berlusconi.
Se l'isolamento da parte della maggioranza uscente era scontato, visto che a lui e alla pattuglia di Dini si deve la caduta di Prodi, meno comprensibile è il rifiuto del Cavaliere a imbarcarlo nella sua variopinta alleanza.
Mastella ha subito il trattamento riservato a certi personaggi dei thriller, quando dopo aver fatto il lavoro sporco per conto di qualche boss vengono eliminati. Ahilui lasso.
Berlusca lo ha definito impresentabile. E Dini allora? Lambertow il gerontocrate è un ribaltonista incallito come il nostro illustre ceppalonico, eppure correrà nelle liste del PDL. Destino cinico.
Anche il centro casiniano - pezzottiano gli ha chiuso la porta in faccia: impresentabile anche per loro.
Mastella no, il pingue Cuffaro invece che ha una condanna penale di cinque anni verrà candidato al Senato.
In questo Berlusconi e Casini, che sono ai ferri corti, paradossalmente si riavvicinano, considerando che nel Centrodestra come ha detto il Cavaliere non correranno condannati o rinviati a giudizio, a meno che non siano perseguitati politici.
Nel paese dei codicilli e delle eccezioni a fondo pagina scritte in caratteri minuscoli, la mossa di Berlusca non sorprende. Un inquisito esce dalla porta per rientrare dalla finestra.
Tutto sommato, fino a quando la magistratura non avrà dimostrato il contrario nelle famose vicende di lottizzazione in Campania, Mastella non ha commesso alcun reato.
Ma purtroppo per lui, è il manzo sacrificale da scannare sull'altare del politicamente corretto di queste settimane.
La casta nel tentativo di dimostrare che ha compreso l'ondata di disgusto che sale dal paese si fa il lifting, che però nasconde soltanto le rughe e la vecchiaia, non le cancella.
Il duca di Ceppaloni ormai è un sovrano dimezzato, anche i suoi lo stanno mollando. Dalla Campania alla Calabria, dalla Basilicata alla Puglia, è tutto un fuggi fuggi di colonnelli e clientes in cerca di ricollocazione. Tengo famiglia.
Quando Mastella era folgorante in soglio era circondato da una corte pronta a servirlo, a chiedergli favori e raccomandazioni. Adesso che è caduto nella polvere resta solo, i sorci sentono l'acqua che sale.
Niente più code domenicali di persone in attesa paziente di salire al castello del feudatario, come narra la mitologia ceppalonese. Niente di nuovo nell'umana commedia.
Però si prova comunque ribrezzo; persino Barbato, protagonista della gazzarra a base di sputi e insulti al Senato, se n'è andato.
Allora salviamo il soldato Mastella, come titolava un gustoso fondo del Corsera di qualche giorno fa?
Certo che no; non si può dimenticare la prassi politica spregiudicata che lo ha caratterizzato in tutta la sua carriera, dalla DC fino all'Udeur, puro strumento di affermazione del suo potere personale.
Mastella era e verrà ricordato dai posteri come un tipico satrapo della politica italiana; un signor preferenze il cui obiettivo è sempre stato di rimanere al potere a qualunque prezzo.
E' caduto vittima del delirio di onnipotenza, altra costante della commedia umana; si riteneva più scaltro degli altri. Un "indelleduale della Magna Grecia" sempre un passo avanti, per dirla con De Mita, altro clamoroso spodestato di questi giorni.
Però ci andrei cauto nel pensare che il nostro sia finito; ci sono materie sgradevoli che per quanto le cacci a fondo, tornano sempre a galla.
Mastella può ritornare e la vendetta dell'esule è sempre tremenda.
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domenica 2 marzo 2008

Il Partito Democratico è l'omnibus della politica

Veltroni intervistato da El Pais ha detto - siamo riformisti, non di sinistra - e ha aggiunto che la gente, quando si alza al mattino, non dice - sono di centrodestra, o centrosinistra -
Che ci sia in Italia, come in tutte le democrazie occidentali, un elettorato non ideologico e quindi fluttuante da uno schieramento all'altro, e che tale elettorato risulti spesso determinante per decidere chi governerà, è fuor di dubbio.
Ma che ci sia un partito che nega la sussistenza e l'utilizzabilità di radici politiche che appartengono alla storia del paese, è un altro paio di maniche. Dove va a parare il discorso veltroniano?
Tempo fa postavo circa l'ambiguità delle radici di questo partito; il PD è nato con l'intenzione di superare gli steccati ideologici, le vecchie ricette disponibili per la società.
L'obiettivo è condivisibile. L'Italia è una nazione tragicomicamente passatista e immobilista, lo si può cogliere con facilità in tutti i campi.
Per esempio la campagna elettorale in apertura vede ripresentarsi forze che si richiamano con ostinato orgoglio al passato: la DC di Pizza, la Destra di Storace e la Santanchè, che si proclamano apertamente fascisti, i socialisti animatori di una costituente a tempo scaduto.
Una parvenza di novità la si coglie magari nella sinistra radicale che ha messo in soffitta falce e martello per vestirsi dei colori dell'arcobaleno, ma le teste che la guidano sono rivolte al passato.
Comunque non illudiamoci, alla fine la falce e il martello ci saranno; a recuperarle ci hanno pensato gli ultimi custodi della mistica marxista - leninista, i compagni trozkisti raccolti attorno a Turigliatto e Morando.
Tanto per non far mancare nulla al caleidoscopico elenco dei simboli in corsa. Serve senz'altro una sferzata.
Ma cancellare le radici politico - culturali che vengono trattate alla stregua di un rifiuto tossico, come sembra a volte voler fare Walterone, è un esercizio bizzarro e inconcludente.
Mi pare che la "Veltronomics" muova da un riflesso condizionato; una delle due gambe del PD infatti è quella diessina, che approda al nuovo soggetto dopo una perigliosa odissea durata sedici anni.
Dalla svolta della Bolognina imposta dal crollo del muro, gli orfani del PCI hanno cambiato nome due volte (PDS e DS) senza riuscire a fare i conti con il passato.
Senza cioè dire una volta per tutte che provenivano da una storia, quella comunista, che nonostante alcuni contributi apprezzabili alla dialettica politica italiana, era fondamentalmente sbagliata.
Impossibile però appropriarsi della dizione socialista, che nonostante la scomparsa del PSI era ancora in possesso della diaspora socialista in polemica costante e accanita con loro; quindi si sono barcamenati nelle proprie difficoltà "filosofiche" fino alla nascita del PD.
Arrivando ad esserne una gamba laica, di sinistra, molto malferma; forte invece era quella cattolica, margheritina, che si è imposta.
Così in questo contenitore si è messo il veto ai padri del pensiero laico-riformista (da Nenni a Saragat etc...), non hanno trovato collocazione i socialisti, i diessini hanno ricoperto la parte di figli di nessuno.
Walterone è riuscito a salvare soltanto Berlinguer, tutti gli altri fuori. Adesso è costretto a visitare le parrocchie e rendere omaggio ai luoghi e ai simboli del pensiero cattolico.
Da un altro punto di vista, il PD si sta sviluppando secondo un modello americano: le primarie come metodo di investitura dei dirigenti e un concetto di riformismo - progressismo indeterminato ed elastico, senza riferimenti ideologici precisi.
In questo modo il PD riesce ad accogliere l'operaio scampato al rogo della Thyssen come Calearo di Federmeccanica e Matteo Colaninno.
Riesce a far convivere, per ora, i pii Teodem di Carra e la Binetti e i belzebù radicali, le pulsioni pacifiste e il generale Del Vecchio.
Un giorno Veltroni dice no alle ingerenze della Chiesa, il giorno dopo dice non siamo di sinistra, suscitando l'irritazione di chi come la Livia Turco di sinistra si sente e ritiene legittimamente di poter vivere anche dentro il PD.
Un colpo di qua, uno di là: l'alchimia per adesso è instabile.
Tutti in carrozza, si sale sull'omnibus del Partito Democratico; destinazione finale? Per ora non indicata.
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