mercoledì 27 ottobre 2010

Come si fa a essere solidali con Capecazzone?


Dopo l'aggressione di ieri non riesco ad associarmi al coro della solidarietà verso Daniele Capecazzone. Ci ho provato ma non ci riesco.
Il problema è che il soggetto suscita un'antipatia istintiva, un'avversione pre-politica.
Capezzone è il ritratto di certi compagni del nostro immaginario scolastico: quelli che non legavano con la classe non per timidezza, bensì per un sentimento di superiorità perennemente esibita.
Gli smorfiosi con la mano sempre alzata per rispondere alle domande (io lo so!), i secchioni che in veste di capoclasse erano inflessibili nel denunciare le marachelle altrui ma non erano mai disposti ad aiutare i compagni in difficoltà. 
E poi c'è l'aspetto visuale,  quel broncio, quella bocca a culo di gallina che gli viene così bene quando deve difendere, negli ampi spazi offerti dal TG1 o dal TG5, il povero Silvio vittima delle persecuzioni della spectre politico - giudiziaria.
La vita del nostro splendido trentottenne è sempre stata una gara a mettersi in mostra, a primeggiare, nei palchi della politica o nelle trasmissioni televesive come Markette
Capecazzone è il prototipo dell' ambizioso privo di scrupoli, dell'uomo pronto a tutto pur di arrivare alla vetta.
Niente di diverso, in questo, dagli homines politici italiani, singolare razza di chiaccheroni e arrivisti senza eguali nel mondo occidentale, esperti e sfacciati nei cambi di schieramento; persone senz'arte nè parte fuori dalla politica (la secchia Capezzone non ha neanche finito l'università e non ha mai lavorato un giorno in vita sua).
Pannella gli ha insegnato i fondamentali dell'attività e della comunicazione politica,  poi a fine 2007, dopo essere stato eletto deputato nel Centrosinistra dove si distingueva per la durezza degli attacchi a Berlusconi, proprio a lui ha mostrato la coscia: e lui, avendo talento nel riconoscere un potenziale servitore, lo ha arruolato.
Capezzone così è diventato il citofono di Berlusconi,  è un meraviglioso robottino a molla: gli dai la carica e parte a esternare, ripetendo a raffica dichiarazioni precotte, sempre quelle.
Quelle dichiarazioni surreali che fanno strabuzzare gli occhi a chi ha la sfortuna di ascoltarlo, e che a qualcuno possono far venire la voglia di assestargli un cazzottone.
Io capisco il suo aggressore: Capezzone ha una faccia che attira inesorabilmente gli schiaffi.
Lo capisco pur non giustificandolo: se lo incontri per strada una pernacchia, o un bel - ma vattelo a pijià...- sarebbero sufficienti.
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martedì 19 ottobre 2010

Voglia di alternativa: qualcuno ci faccia sognare...Per favore

I sondaggisti cercano di essere il termometro dell'opinione pubblica, lo specchio delle idee e dei sentimenti che circolano ma non sempre ci indovinano, i sondaggi sono una materia di per sè complicata.
Per esempio secondo me molti, quando arriva lo squillo fatale, se per un sussulto di cortesia resistono alla tentazione di buttare giù non rispondono sinceramente. 
Per non parlare di com'è franato l'esperimento tutto british degli exit - poll: giovani addetti armati di carta e penna che fuori dai seggi chiedevano agli elettori per chi avevano votato. Figuriamoci.
Gli italiani per cinquant'anni hanno votato DC... Ma andando in giro si faticava a trovare i suoi sostenitori. Siamo fatti così.
Poi bisogna vedere chi hanno alle spalle, i nostri sondaggisti. La berlusconiana Datamedia, per esempio, è affidabile come le predizioni delle cartomanti nelle tivù locali. E' meglio il mago Otelma.
Il nano di Arcore negli anni ha arruolato non solo picchiatori mediatici e confezionatori di patacche, ma anche sciorinatori di dati con un'immagine di credibilità scientifica e professionale.
Non solo tagliagole come Feltri e Sallusti, ma anche personaggi lindi come Gianni Pilo o accattivanti come Luigi Crespi.
Però quando tutti i sondaggi concordano nell'indicare un numero, o  numeri molto vicini fra loro, possiamo abbandonare ogni dubbio.
Repubblica ci dice che il PD rimane ancora fermo al 27%. Qualcun altro dice 26,9 o 26,5 ma siamo lì.
Aumenta lo scontento verso il Cavalier Fracassa, i numeri lo puniscono; però l'architrave dell'alternativa di governo non ne ha ricavato niente, più che altro è un travetto di cartapesta.
Allora penso al masochismo, al tafazzismo del Centrosinistra, a Bersani che dice - Il PD è un partito di governo momentaneamente all'opposizione.
E penso che questo momento si sta prolungando a dismisura, e potrebbe diventare un'era geologica.
Penso all'incapacità straordinaria dei dirigenti PD di  stoppare la palla del discorso politico, ogni volta che l'attualità gli fa un assist. Come l'ultimo, straordinario: la manifestazione CGIL di Sabato scorso.
Troppa paura di sembrare contigui al sindacato, troppa paura di scontentare il fighetta democristiano Casini e rovinare la tessitura di una santa alleanza anti - cav.
Troppa paura di tutto, alla fine non si dice mai niente di chiaro o si litiga, magari per far cadere il segretario e prenderne il posto alla guida di un partito che diventa sempre più piccolo.
Come l'ammiraglio italiano della battaglia di Lissa, che si proclamò vincitore perchè era rimasto padrone delle acque: ma solo perchè gli austriaci se n'erano andati dopo avergli affondato quasi tutte le navi.
Si è troppo attenti a calcolare le percentuali (quanto fa PD + UDC o PD + Vendola e Di Pietro, o Fini addirittura),  a cercare risposte politiciste, e non si parla mai al cuore della gente, che è l'unico modo di cominciare a ricostruire un consenso duraturo.
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lunedì 11 ottobre 2010

L'Italia è in guerra: è chiaro finalmente?

Allora siamo in guerra; dopo l'ultima strage di militari italiani la foglia di fico del Peace Keeping è caduta. Se qualcuno ne dubitava ancora...
Come è maturata la nostra partecipazione alla guerra in Afghanistan, la prima in modo così diretto dal lontano 1940? Facciamo un passo indietro.
Era il 2008 e le elezioni erano alle porte: l'ambasciata statunitense di Roma dichiarò che ci si attendeva un'intensificazione del nostro impegno in Afghanistan, sia in termini numerici che qualitativi.
Vale a dire che Washington si aspettava una partecipazione dei nostri soldati alle operazioni contro i Taliban, uscendo dallo schema tradizionale che ovunque li ha sempre visti impegnati in azioni di sorveglianza, di addestramento di forze locali, o di sostegno umanitario alle popolazioni.
Parisi, allora ministro della difesa dimissionario, disse che una tale richiesta avrebbe dovuto essere rivolta non a lui ma al governo subentrante, che ha  aderito con sollecitudine.
Sono cambiate le regole d'ingaggio e difatti buona parte dei nostri caduti sono morti fra 2009 e 2010.
Questo mentre a Kabul franava il nuovo assetto politico a causa degli errori dell'occidente, e veniva spianata la strada alla controffensiva politica e militare dei Talebani.
Il collasso del  progetto di un nuovo Afghanistan dimostra che lo strumento militare, quando manca una seria iniziativa politica, non può mai essere risolutivo. Una volta di più la storia non è riuscita a essere magistra vitae, tutt'altro, le sue lezioni sono state ignorate (vedi Vietnam).
Perciò ci siamo trovati dentro una guerra che riesplodeva, con il nostro ingombrante alleato americano che ci chiedeva di fare di più.
Il governo del Cavalier Fracassa, carente sulla politica estera come sul resto, non è stato mai capace di imporre in sede NATO una discussione seria per giungere a un cambio di strategia.
Berlusconi Il grande pacificatore, colui che millanta una presunta abilità nel mettere d'accordo tutti, non si è visto.
Nè si è mai visto un dibattito vero e aperto sulla questione, nel parlamento e nel paese: la missione è sempre stata rinnovata in mezzo alle pieghe delle leggi finanziarie, e le opposizioni aiutavano il governo a tenersi su la foglia di fico.
Nessuno di quelli che contano ha avuto l'onestà intellettuale di dire che siamo in guerra. E' giusto essere lì? O è sbagliato? E' in contrasto con l'art. 11 della costituzione?
Tutte le opinioni sono legittime ma prima di tutto servirebbe chiarezza, invece di continuare a ripetere che siamo lì per mantenere la pace, o di limitarsi a proporre di armare i nostri aerei con le bombe come proposto da Ignazio Vercingetorige La Russa.
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martedì 5 ottobre 2010

Le indispensabili esigenze di vita di Herr Priebke

E' bella la democrazia. Persino Erich Priebke ha diritti precisi e inviolabili, e qualora tutti se ne dimenticassero ci pensa il suo diligente avvocato a farli valere.
Il vecchio criminale nazista ai domiciliari, mentre si avvicina il traguardo delle 100 candeline, come previsto dalla legge ha ottenuto il permesso di uscire per  soddisfare le indispensabili esigenze della vita. Esemplificando per fare la spesa, andare in farmacia, a messa (?!), dare il becchime ai piccioni etc...
Non solo: il suo legale Giachini codice alla mano auspica la sospensione della pena, perchè sono trascorsi 20 anni è Priebke è un detenuto come gli altri.
Nulla da eccepire in termini giuridici, il diritto è l'unica cosa che conta; non è strano nemmeno il tono dell'avvocato, simile a quello un pò protervo di molti suoi colleghi abituati a reclamare dal piedistallo della retorica forense i diritti dei loro assistiti...Anche se si chiamano Priebke.
Si può anche sospettare che l'avvocato romano si sia stufato di tenersi in casa il vecchio nazista e se ne voglia liberare almeno per qualche ora al giorno. Senz'altro non pensava che fosse così longevo.
Ma al di là di questo, tornano alla memoria i tempi in cui Erich era una giovane baldanzosa SS di stanza in Italia e partecipò all'esecuzione di massa di civili inermi alle Fosse Ardeatine.
Sempre in quel fatidico 1944, Priebke dopo le gesta romane si trasferì  a Brescia dove operò attivamente, in coordinamento con i fascisti, nella repressione del movimento partigiano.
Nel bresciano esiste ancora la casa, appartata e quindi al riparo dagli occhi dei curiosi, dove Priebke conduceva gli interrogatori dei prigionieri.
Prigionieri che sicuramente non disponevano nè di avvocati nè di tutele codicistiche di sorta, essendo completamente alla mercè dei loro carcerieri che li sottoponevano a ogni genere di tortura fisica e psicologica.
Dopo l'estradizione l'iter giudiziario del caso Priebke è stato molto tormentato  e condizionato dagli umori dell'opinione pubblica, e per questo ha prestato il fianco a qualche critica fondata sulla corretta interpretazione delle leggi.
Ma tutto sommato gli è andata bene, ha potuto vivere e invecchiare tranquillamente in Sud America per una quarantina d'anni.
Ed oggi, dopo l'estradizione e il processo, può usufruire di tutte le tutele previste dalla nostra legislazione così attenta ai diritti della persona. E' proprio bella la democrazia, anche il vecchio nazista ne converrà.
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