martedì 20 gennaio 2009

W. di Oliver Stone, l'ignoranza trionfante

Un uomo senza qualità e cultura alla guida della nazione più potente del mondo. Una macchietta con problemi di alcolismo che per otto anni ha retto le sorti di tutti noi, in conflitto perenne con se stesso e un'ingombrante figura paterna.
Questo in sintesi W. di Oliver Stone, che ieri sera è stato trasmesso da LA7 perchè non si è trovato un accordo per la distribuzione nei cinema, fatto preoccupante.
Stone non ha voluto fare un film prettamente politico; l'unico aspetto della presidenza Bush che viene sviscerato è la guerra in Iraq.
Un conflitto che il presidente concepisce da texano spaccone come un regolamento di conti alla mezzogiorno e mezzo di fuoco con il vecchio nemico della sua famiglia, Saddam.
Mentre Cheney, il vice forse additato dal regista come la vera anima nera di quella amministrazione, intende come un'occasione da non sprecare per tutelare gli interessi strategici americani e garantire il controllo di alcune delle maggiori riserve di petrolio del pianeta.
Il conflitto iracheno viene inquadrato nella sua vera dimensione e denudato dalle bugie sugli stati canaglia e l'esportazione della democrazia.
Ma Stone si sofferma soprattutto sull'uomo Bush, interpretato efficacemente da Josh Brolin che aveva già offerto un'ottima prova in Non è un paese per vecchi dei Cohen.
La camera indugia spesso in primi piani sui personaggi, li scruta ingigantendone il volto e le espressioni.
George W. è il figlio indolente e ignorante di un uomo di potere che viene sempre messo a confronto con il fratello minore Jeb, più bravo e più bello agli occhi di papà.
Ma George W. è una persona di ambizione, lotta per sottrarsi all'ombra del padre ed entra in politica anche per sfida, per dimostrare che pure lui è in grado di fare qualcosa di buono.
Con quali effetti per la stabilità politica ed economica internazionale, purtroppo l'abbiamo visto tutti.
Stone tutto sommato ne tratteggia un'immagine per certi versi inedita, raccontandone per esempio il rapporto (un pò superficiale) con la religione e l'unica vera aspirazione frustrata, il baseball, e butta sul piatto un interrogativo sempre attuale: com'è possibile che un uomo così sia arrivato a guidare gli USA?
La democrazia ha criteri di selezione efficaci della sua classe dirigente?
Voto: 7

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lunedì 19 gennaio 2009

Kakà e i milanisti gonzi


Kakà forse lascerà Milano per andare al Manchester City; pare che l'offerta al Milan sia molto buona e altrettanto quella al giocatore, che si porterebbe a casa 15 ml di euro all'anno (6 in più rispetto all'ingaggio del Milan).
La faccenda si potrebbe riassumere così, senza tanti fronzoli. Però ci sono i tifosi, che da giorni si strappano le vesti e i capelli. Striscioni allo stadio, manifestazioni davanti alla sede milanista e così via.
Kakà non si tocca, scatta la disobbedienza civile contro il Diavolo che (pure lui) si vende l'anima per i petrodollari di un emiro.
I tifosi assiepati davanti alla sede di un club o al campo di allenamento, i dibattiti fiume in tivù o magari le sommosse, com'è successo a Messina circa tre anni fa per le vicende di Calciopoli, tutto ciò è uno spettacolo consueto in Italia, nazione che è sempre stata soltanto pallonara, mai veramente sportiva.
Cerny, l'autore di un ciclo di sculture irriverenti per inaugurare il semestre di presidenza ceca della UE, ci ha raffigurato come un campo di calcio con gli azzurri che reggono il pallone all'altezza dell'inguine, a simboleggiare il nostro rapporto eccessivo, erotico con questo sport.
Non ci toccate Kakà, altrimenti come facciamo a vincere? Ma cosa vincono in concreto i tifosi del Milan, della Juve o dell'Inter se uno dei loro strapagati campioni resta? Niente ovviamente.
Però nonostante Kakà, Ronaldinho, Del Piero, Totti e compagnia bella vivano in un iperuranio da cui non intravedono nemmeno le folle dei gonzi giù in basso, questi li adorano e si disperano se partono, scambiando un rapporto meramente professionale (che talvolta si riduce a una sveltina) con l'attaccamento alla maglia che, si sa, è prerogativa di pochissimi nella storia del calcio.
Non bisogna toccare il giocattolo, la macchina dello spettacolo, la fabbrica dei sogni anche se, contrariamente alla nota caratteristica dei sogni, costano non poco: basta pensare ai prezzi dei biglietti.
Siamo oltre il panem et circenses degli imperatori romani. Il panem in Italia scarseggia, ma l'importante è che restino i circenses. Ai tifosi allocchi basta questo.
In questo disastrato paese, finito in mano a uno dei peggiori sfasciacarrozze della nostra storia, ci sarebbero migliaia di occasioni e pretesti per scendere in piazza, ma lo si fa solo per scongiurare la partenza dell'idolo di turno.
Le contestazioni milaniste per la probabile partenza di Kakà sono la prima vera manifestazione di dissenso verso Berlusconi.

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mercoledì 14 gennaio 2009

NO all'equiparazione fra partigiani e repubblichini, ora e sempre


"La presenza e l'attività degli storici, il cui compito è ricordare ciò che gli altri dimenticano, sono ancora più essenziali alla fine del secondo millennio di quanto mai lo siano state nei secoli scorsi"
Eric J. Hobsbwam - Il Secolo Breve


Il noto studioso britannico alcuni anni fa riassumeva bene le finalità, la ragion d'essere del lavoro talvolta ingrato ma tuttavia prezioso degli storici: conservare la memoria di quanto è accaduto nel passato.
Perchè si tende a dimenticarlo, a rimuoverlo oppure a riscriverlo forzatamente il passato, se c'è un interesse in tal senso.
Proprio quello che da qualche tempo sta accadendo in Italia, dove si tenta di revisionare in maniera truffaldina una pagina tragica della nostra storia, la guerra civile che oppose la Resistenza alla Repubblica di Salò.
Intendiamoci: il concetto di revisione in se considerato non è negativo. Proprio gli storici sottolineano che l'analisi di un periodo storico difficilmente è definitiva.
Al contrario, reinterrogarsi e reinterrogare il passato per offrirne nuove chiavi d'accesso è un preciso dovere scientifico, oltrechè un servizio alla verità che tutti cerchiamo, con fatica.
Ma un conto è procedere a nuove disamine all'interno di un corpus di eventi che nelle loro caratteristiche essenziali sono stati chiariti; un altro conto è cancellare tutto o stravolgere la storia.
La maggioranza di Centrodestra, approfittando del clima nuovo che c'è nel paese ha proposto un disegno di legge che vorrebbe equiparare i partigiani ai repubblichini.
C'è una norma all'esame del Senato che vuole istituire un Ordine del Tricolore, che permetterebbe di conferire onorificenze e conseguenti trattamenti pensionistici a tutti i combattenti del periodo 1940 - 1945, senza distinzioni.
Quindi partigiani e militi di Salò, soldati inquadrati nelle forze armate della RSI e quelli inquadrati invece nelle forze cobelligeranti degli Alleati post Otto Settembre; tutti nello stesso calderone.
Di più: anche l'Istituto della Resistenza e quello della RSI verrebbero raccolti in quest'ordine del Tricolore, denominazione neutra e perciò ambigua.
Ci siamo arrivati; dopo qualche anno di dibattiti e di polemiche sulla necessità di costruire una memoria condivisa, siamo all'atto finale.
Mettere sullo stesso piano i partigiani e i fascisti alleati di Adolf Hitler, chi scelse di combattere per la libertà e chi invece si schierò con chi la libertà voleva soffocarla ed era politicamente omogeneo all'aberrante, rivoltante infamia nazista.
E' evidente che tutto questo non c'entra niente con una rivisitazione della Seconda Guerra Mondiale, la rivisitazione che ha portato Giampaolo Pansa per esempio a scrivere un paio di libri sofferti sugli errori e i crimini della Resistenza, che purtroppo ci sono stati e sui quali per molto tempo si è glissato.
Tutto questo non c'entra niente con il rispetto dei morti qualunque divisa vestissero, soprattutto a sessant'anni di distanza dalla guerra; a meno che non si tratti di gerarchi, torturatori o fucilatori di civili inermi, sulla loro tomba è giusto sputare anche adesso.
Comprendiamo che ci furono persone, molte delle quali giovani, che si schierarono in buona fede con i fascisti. Ma comprendere non significa assolvere, o dire che era tutto lo stesso.
In buona fede si possono compiere gli errori più gravi e quelle persone sbagliarono: fine del discorso.
Dunque si va allo stravolgimento, e chi come me crede nei valori della democrazia non può accettare una simile parificazione, significa perdere il senso di quegli eventi e delle differenze fra le due parti. Che erano enormi. Io non voglio riconciliarmi su queste basi.
Purtroppo però simili operazioni truffaldine possono funzionare in un paese con un'identità fragile e la memoria corta come l'Italia. Soprattutto a così tanti anni dalla guerra civile e se c'è una volontà politica precisa, che è supportata dalla complicità dei media.
In allegato a Libero i lettori troveranno un omaggio, un libercolo dedicato a Mussolini, titolo: Vi parlo di me. Che tristezza.
Da questo punto di vista verrebbe da dare ragione a Giorgio Bocca, che commentando il film di Spike Lee dedicato al massacro di S. Anna di Stazzema definiva sconsolatamente il suo intervento "un dovere storico necessario anche se temo inutile".
Tempi duri. Ma non bisogna mollare.

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giovedì 8 gennaio 2009

Gaza, il valore mediatico dei bambini uccisi


Questa è una delle tante foto di bambini uccisi dall'offensiva israeliana contro Gaza che circolano sul web.
Ne ho vista un'altra su un quotidiano che mi ha colpito: ritrae una manina che emerge dalle macerie di una casa bombardata.
Quanti morti, quanto dolore, quanti bambini a cui è stata tolta la possibilità di crescere.
Quanti genitori che adesso stanno soffocando nel dolore e nell'odio. Di chi è la colpa? Di Israele, di Hamas?
Ancora una volta ascoltiamo le polemiche di chi schiera con gli uni o con gli altri in modo aprioristico.
Ancora una volta ascoltiamo le dichiarazioni di circostanza dei politici di tutto il mondo, e intanto questo incubo va avanti senza che se ne veda la fine. Senza che chi può veramente influire, chiunque sia, prenda in mano la situazione.
E forse non si capisce, grazie al filtro della televisione che fa apparire tutto distante, che il conflitto israelo-palestinese ci riguarda direttamente, oggi più che mai.
Mentre continuano i combattimenti a Gaza piovono alcuni razzi sul nord di Israele, i sospetti cadono sugli Hezbollah libanesi che per ora si chiamano fuori... e in Libano ci sono i nostri soldati.
In Europa, Italia compresa, iniziano le manifestazioni di protesta dei musulmani; nel giorno dell'Epifania ci sono stati due cortei a Milano e a Bologna.
Perchè i musulmani ormai sono anche qui, e in molti luoghi vivono vicino agli ebrei, basta pensare alla Francia o alla nostra capitale, che ospita la comunità ebraica più numerosa d'Italia. Cosa potrà succedere in futuro?
Ma al di là di tutto mi tornano in mente i bambini feriti o uccisi, ripresi abbondantemente dalle telecamere in questi giorni; non dalle telecamere occidentali, per quelle Gaza è off-limits.
Sono le telecamere di qualcun altro, che ne ha capito il grande valore mediatico e li usa massicciamente, senza pudore, per alimentare il risentimento del mondo contro Israele.
Li riprende mentre piangono terrorizzati, mentre vengono portati in ospedale oppure quando sono già morti, avvolti dal lenzuolo bianco, con i parenti disperati intorno.
Ecco, mi ha colpito la spregiudicatezza, il cinismo sotteso a quelle immagini. Un cinismo che non è proprio solo delle truppe israeliane che stanno combattendo senza andare tanto per il sottile (ma come potrebbero in un territorio come Gaza?), ma anche della dirigenza di Hamas che sfrutta il dolore dei bambini del suo popolo sbattendolo in faccia a tutti a scopo propagandistico.
Hamas non ha esitato a rompere la tregua con i nemici ben sapendo cosa sarebbe accaduto, ben sapendo che una guerra avrebbe provocato un'ecatombe di civili (e di bambini), dato che Gaza è un intrico di quartieri e strade che si mischiano alle installazioni militari, privo di rifugi sufficienti per mettere al sicuro la popolazione.
Hamas non può vincere la contesa con le armi tradizionali, e allora per delegittimare l'avversario ha trovato un'alternativa efficace: fa massacrare la sua gente.
In particolare quei bambini, ripresi tante volte nelle adunate fanatiche della striscia con la divisa del miliziano o del martire - kamikaze, un'arma in mano, perchè vanno educati fin da piccoli a odiare, perchè saranno i soldati del futuro.
Quei poveri bambini che prima di essere straziati dalle bombe sono violentati e strumentalizzati dalla politica di gente senza scrupoli, che non merita di rappresentare il suo popolo.

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mercoledì 7 gennaio 2009

Terribile Twitter (scenari di un futuro possibile)


Twitter è uno dei nuovi nati nel mondo dei Social Network. Se sia proprio l'ultimo grido non lo so, crescono come i funghi.
L'idea base del progetto è permettere agli utenti di creare un microblog, una pagina da dove irradiare a gruppi di amici (o Followers nel Twit gergo) piccoli post di massimo 140 parole; qualcosa di simile concettualmente agli sms.
Twitter in inglese significa cinguettare e per estensione chiaccherare futilmente. Un micropost in effetti è un cinguettio elettronico, un frammento di parole che si diffonde e disperde nella rete.
Per dirla tutta esiste anche la parola Twit, che significa scemo; il giudizio talvolta conseguente, da parte dell'uditorio, al chiaccherare futile di qualcuno: ironia involontaria?
La Homepage di Twitter spiega che la piattaforma serve a rispondere alla domanda: cosa stai facendo? Istintivamente mi sono dato una risposta: e agli altri cosa importa?
Perchè dovrei far sapere cosa sto facendo in un dato momento, come dice il portale Twitter, nella mia vita reale fra un blog e una mail? E quale diventerà nel mondo prossimo futuro il confine fra il reale e il virtuale?
Quante domande nascono da una visita a un sito web, che nelle ultime ore è stato reso ancora più popolare dal furto d'identità toccato ad alcune celebrità americane fra cui Barack Obama.
Diciamolo pure: il desiderio di esserci e dire la nostra, di affermare la nostra identità, è una caratteristica dell'essere umano. Così è anche per chi cura un blog amatoriale come il sottoscritto.
Da qui deriva il presenzialismo narcisista, caratteristica fondante della nostra società ipertecnologica, fatta di una tecnologia veramente alla portata di tutti. La televisione è stato il battistrada, Internet ha fatto il resto.
Esserci e mostrarci, magari nelle attività più semplici e private della nostra vita, può diventare anche ansia esistenziale.
Sono in quanto mi trovo davanti alla telecamera: quanti personaggi si sistemano vicino agli inviati dei Tiggì allungando il collo come tacchini, fino magari a precipitare nella patologia paolinesca, e quante chilometriche code per le selezioni del Grande Fratello.
Sono in quanto ho il profilo su Facebook o su Twitter. Mi affermo, impongo o propongo il mio essere, condivido con gli altri perfino banalità come guardare un film o bere un caffè, senza soluzione di continuità. Mi confondo con il mio avatar di Second Life. Ma allora cosa sono?
E non sarebbe meglio ogni tanto prendersi delle pause, tagliare fuori il circuito multimediale che ci avvolge, conservare il nostro spazio interiore, coltivare il nostro silenzio?
Nei primi anni 80 il geniaccio David Cronenberg faceva uscire Videodrome, misconosciuta perla incentrata sulla televisione. La rivoluzione informatica era ancora di là da venire.
In Videodrome la tivù è l'arma con cui un'organizzazione di malintenzionati intende condizionare la mente dei cittadini, ma soprattutto il segnale subliminale delle trasmissioni Videodrome provoca una confusione d'identità nelle vittime che alla fine si suicidano, come capita al protagonista nella convinzione di rinascere a nuova vita, perchè Videodrome è la nuova carne. Profetico.
Qualcuno potrebbe dire: il solito criticone apocalittico. In realtà sono un sostenitore delle tecnologie, ma che uso intendiamo farne? E come modificano il nostro essere? In bene o in male?
Nel susseguirsi rapidissimo delle meraviglie tecnologiche non ci si ferma mai abbastanza a riflettere.
Tornando a Twitter (che non voglio demonizzare, ma serve da esempio) su Apogeo c'è un'interessante fantasticheria, dove l'autore immagina che attraverso un paio di occhiali speciali, collegati al cellulare, si sia in grado alla maniera di Robocop di vedere il profilo Facebook o Twitter di chi incontriamo per strada, le sue idee, il suo photobook e le sue opinioni. Meraviglioso o terribile essere sempre monitorati, essere sempre in rete? Scegliamo.
Qualche settimana fa un'amica mi ha detto che ha provato inutilmente a cercarmi su Facebook. Appunto. Poteva telefonarmi o venirmi a trovare di persona, non esisto su Facebook, ma esisto. O forse no?

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