venerdì 14 marzo 2008

Tibet: la Cina vince le olimpiadi della repressione

Dal Tibet le notizie, come le immagini, stanno arrivando in maniera ancora un pò frammentaria. Però la sostanza è chiara: i tibetani da circa due giorni sono nuovamente in rivolta contro il drago cinese.
Come in Birmania, sono i monaci buddhisti gli animatori della sollevazione contro Pechino e come in Birmania, di cui non si parla più, sono loro le principali vittime della repressione.
Il popolo tibetano è una minuscola comunità annegata nel mare cinese; qualcuno ha detto che i cambiamenti della storia sono dettati dalla demografia.
Verità parziale, perchè c'è sempre comunque bisogno di un forte supporto militare ed economico. La Cina di oggi possiede tutte queste caratteristiche.
Le Olimpiadi devono ancora iniziare ma verrebbe da concludere che quelle della repressione i cinesi le hanno già vinte.
Però non ci si può voltare dall'altra parte di fronte alla violenza del regime comunista di Pechino; una violenza particolarmente odiosa poichè si rivolge contro una nazione pacifica, custode della plurimillenaria saggezza buddista, contro uno dei membri fondatori dell'Onu.
L'occupazione illegittima del Tibet dura dal 1950 e la comunità internazionale se n'è sempre sostanzialmente disinteressata.
A maggior ragione adesso, a pochi mesi di distanza dalle Olimpiadi, che per il regime sono l'occasione per sbandierare il suo tronfio e volgare orgoglio nazionalista.
Tutti quanti tacciono imbarazzati, per non urtare la suscettibilità della principale potenza economica emergente.
Ma proprio per il fatto che le Olimpiadi stanno puntando con decisione i riflettori sulla Cina, emergono le occasioni più favorevoli per dare maggiore impatto mediatico ai malcontenti e alle rivendicazioni.
Il riesplodere della fronda tibetana ne è un esempio, ne è esempio anche il risveglio della protesta degli intellettuali cinesi, vittime di una repressione poliziesca a base di sequestri e incarcerazioni, o il presunto tentativo di sequestro di un aereo ad opera di estremisti islamici dello Xiniang.
Forse il giocattolo che il regime ha preparato si sta rompendo fra le sue mani: cosa potrà accadere ancora? E cosa serve per risvegliare la coscienza narcotizzata dell'Occidente?
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