giovedì 19 novembre 2009

L'acqua cosa nostra è!

Veolia ringrazia. Hera e Amga ringraziano. Gli speculatori e le imprese interessate a fare dell'acqua un grande bisinès esprimono gratitudine al governo italiano.
L'iter parlamentare della privatizzazione dell'acqua è arrivato al termine. Il Cavalier Fracassa ha posto per l'ennesima volta la fiducia impedendo al parlamento di discutere un tema tanto delicato, e a quel barlume di pubblica opinione ancora esistente di farsi un'idea sui pro e i contro, sulla posta in gioco. La nostra democrazia è al confino, non è una novità.
Nella Repubblica 2.0 le camere fungono solamente da notaio che ratifica le decisioni prese in consiglio dei ministri o a palazzo Grazioli.
Come potrebbe fare un assicuratore imbroglione la maggioranza ha nascosto il Decreto Ronchi in mezzo a un altro provvedimento che non c'entrava niente, sperando che nessuno se ne accorgesse.
Ma non è andata così e persino in una maggioranza zeppa di lobotomizzati nominati solo per votare sì a ogni passaggio parlamentare, qualcuno si è posto delle domande.
Perfino i leghisti, abitualmente molto accondiscendenti verso i desideri di Berlusconi, hanno dei dubbi, come ha chiarito il vicepresidente del gruppo leghista alla camera. Perfino loro!
Il progetto parte da lontano, perchè non hanno parlato prima? E perchè i pidini non hanno detto qualcosa prima?
Perchè i pidini che ora s'indignano hanno votato a favore di questa scelta  nell'Agosto 2008, in occasione della cd. finanziaria triennale di Tremonti? Sono dubbi e indignazioni tardive e ipocrite; il dado è tratto.
Il fatto, al di là delle fin troppo scontate considerazioni di metodo, circa lo stravolgimento delle  corrette prassi istituzionali consolidatosi in Italia, dimostra la crescente virulenza di certi fenomeni, che minacciano la corretta distinzione fra interessi pubblici e privati. E ci preparano un futuro cupo.
La classe politica è passiva, se non complice, delle operazioni che i grandi potentati privati mettono in piedi per fare profitto. Il primato della politica forse non è mai veramente esistito, ma ora è senz'altro scomparso dalla scena.
Non è solamente un problema italiano, ma una questione complessa che investe tutte le democrazie moderne. E' sempre più difficile rintuzzare certi assalti, conciliare la spinta al profitto con gli interessi generali. Distinguere fra ciò che è bene pubblico e ciò che invece può essere oggetto di una legittima attività d'impresa.
Le grandi corporations, nazionali o multinazionali, oggi dettano l'agenda politica.
Da questo punto di vista, la teorizzazione tremontiana (il regista dello sciagurato provvedimento sull'acqua) di un recupero di potere a favore dello stato, contro le logiche liberiste che condizionano iniquamente la vita delle nazioni fa semplicemente sorridere.
Le grandi aziende riescono quasi sempre a piegare i governi alle loro esigenze.
E' lo stesso Turbocapitalismo responsabile della recessione globale, che è maturata lentamente negli anni grazie a questa accondiscendenza degli stati.
Nel XXI secolo (dopo una fase di gestazione negli ultimi vent'anni del secolo scorso) ha prevalso l'idea che tutto può diventare una merce, che tutto può essere comprato e venduto. Che ogni cosa può avere un prezzo.
Sparisce la nozione di diritto fondamentale della persona umana, sparisce l'idea che esistano beni pubblici indisponibili. La salute non è più intesa come un diritto e  perciò come oggetto di una prestazione che il soggetto pubblico deve garantire a tutti, ma come una merce: provocando il disastro sociale che vediamo in America.
L'acqua non è più un bene pubblico rispondente a un'esigenza primaria delle persone, è un prodotto che si può scambiare sul mercato.
I difensori del libero mercato diranno senz'altro che il privato lo fa meglio, ossia con maggiore efficienza e a costi più contenuti; anzi dai banchi della maggioranza hanno già iniziato.
E' un vecchio e superato postulato ideologico, che può essere tranquillamente smentito con decine di esempi. Nei paesi dove il ciclo idrico è stato liberalizzato le bollette hanno subito rincari astronomici.
Ma il problema di fondo che scaturisce dalla privatizzazione dell'acqua è che si riducono sempre più gli spazi pubblici e i diritti delle persone, come Naomi Klein fra gli altri aveva esposto con lucidità e semplicità esemplare in No Logo.
Nella battaglia nazionale sull'acqua, se non ci sarà un'inversione di rotta ci perderà la politica e quindi ci perderemo tutti.
Le multiutilities, versione moderna e legale dell'antica mafia dell'acqua siciliana, potranno dire - finalmente anche l'acqua è cosa nostra.
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