lunedì 6 ottobre 2008

Crisi delle borse, crolla la fede neoliberista


I soldi non sono niente, dichiara Ratzinger nel commentare gli scivoloni delle borse mondiali degli ultimi giorni, solo la parola di Dio conta.
Già, lo andasse a raccontare ai risparmiatori di mezzo mondo che hanno visto ridursi a zero risparmi e investimenti, o ai dipendenti della Lehman o della Wamu che da un giorno all'altro sono stati sbattuti in strada con il classico cartone fra le braccia.
Oppure, venendo alle magagne di casa nostra, lo dicesse ai sindaci dei comuni che hanno spericolatamente investito in titoli "junk", magari dopo aver alienato i beni dell'ente come si appresta a fare Tosi a Verona, l'ultimo della serie.
Amministratori arruffoni, che si sono formati con qualche Bignami sugli investimenti e si sono lanciati in operazioni di borsa come un qualunque privato, perchè così facevano tutti negli anni delle speculazioni pazze.
Con la differenza che mentre un privato rischia di tasca propria, costoro hanno rischiato con i soldi dei contribuenti...
E hanno perso, per loro fortuna nel silenzio dei media, che almeno per ora non si sono accorti (o hanno finto di non accorgersi) di questo risvolto della questione.
Lo andasse un pò a dire, il solerte guardiano della spiritualità dell'occidente, alle imprese che già da anni navigano nelle acque agitate della globalizzazione e che adesso faranno i conti con nuove difficoltà di finanziamento, o alle famiglie che stanno subendo l'ennesimo rialzo della rata del mutuo.
I soldi non sono niente di fronte a Dio ma servono per far girare questo mondo, a meno che non si voglia resuscitare l'economia curtense. Tutto sta nel capire come far funzionare il meccanismo, e non è semplice.
Il capitalismo postmoderno e globalizzato non aveva più avversari all'esterno, tutti i nemici erano defunti da tempo, a cominciare dal Comunismo.
Non aveva neanche da temere un nichilista qualunque, un Tyler Durden con il detonatore in mano, pronto a far saltare in aria i grattacieli delle banche e delle assicurazioni in un'apocalisse catartica. Il consenso verso il sistema era pressochè indiscusso.
Però c'era ancora un nemico al suo interno e alla fine ha colpito duramente; deflagra tutto, si bruciano quantità astronomiche di denaro nell'arco di una sola giornata.
Deflagra anche il centro nevralgico dell'economia di mercato, la società per azioni quale si era configurata nell'ultimo ventennio.
Comunque vada a finire questa crisi drammatica, quando l'ottovolante dei mercati finanziari si fermerà ne usciranno a pezzi anche le dottrine neoliberiste, che hanno rivelato tutta la loro inadeguatezza e pericolosità. Ma erano poi così neo queste dottrine?
E' dalla fine del XVIII secolo che una parte degli economisti sostiene che bisogna lasciar fare al mercato, senza lacci e laccioli da parte delle istituzioni pubbliche che hanno il solo effetto di impedire lo sviluppo e l'arricchimento complessivo della società, che prima o poi arriva in un effetto a cascata.
In realtà, le società occidentali non si sono affatto arricchite, la distribuzione dei dividendi si è fermata nelle elites, e se non si erige qualche steccato i risultati sono quelli che vediamo, la catastrofe.
La crisi inizia negli Stati Uniti, a causa della deregulation scriteriata delle gestioni finanziarie promossa da Bush durante i suoi due mandati.
Ma parte da più lontano, dalla metà degli anni 80 quando il Liberismo classico, con la sua fede nelle virtù salvifiche del mercato, viene rielaborato e trova sponde politiche sensibili, prima di tutto nel Reaganismo e nel Tatcherismo.
Adesso bisogna raccogliere i cocci; uno degli aspetti più sconcertanti di questa crisi è che nessuno pare avere un'idea chiara del che fare, nè al livello dei governi, nè a quello degli economisti e degli analisti.
Il Liberismo ha fallito, ma nemmeno gli schemi keynesiani, stante la forte interpendenza delle economie, sono proponibili.
Lo stato nazionale da solo non ce la può fare, non può adottare misure efficaci, che vadano al di là di meri provvedimenti emergenziali come il salvataggio degli istituti in difficoltà o la copertura dei depositi bancari.
In attesa di strumenti nuovi, se non altro si è capito (o così dovrebbe essere) che certe teorie economiche sono fasulle, come il castello di carte della finanza internazionale che è crollato.

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