martedì 16 novembre 2010

Il calcione di Saviano all'altare dei padani

Ieri a Vieni via con me il monello del sud ha commesso un sacrilegio: ha sferrato un calcio all'altare dei fedeli padani facendolo traballare per una ventina di minuti, il tempo del suo intervento sulle mafie al nord.
Su questo altare si colloca la trinità dei leghisti; il padre (il Dio Po), lo spirito santo (Umberto Bossi) e il figlio (il Trota), e attorno ad esso da una trentina d'anni si celebra il rituale della diversità nordica.
Camorra e 'Ndrangheta? Roba del sud, roba che nasce e prospera nel meridione e non ha niente a che vedere con le genti padane.
La società del nord è sana, respinge le infiltrazioni mafiose. La collusione mafia e politica? C'è a Palermo, a Reggio Calabria o a Casal di Principe, certamente non a Milano.
Ma la storia giudiziaria italiana racconta un'altra realtà: i molti arresti e processi relativi alle operazioni delle mafie nel nord (in Emilia, Lombardia e Veneto) confermano in pieno l'utile riepilogo sullo stato delle cose che Saviano ha fatto ieri sera.
Utile perchè la consapevolezza è il primo passo per affrontare un problema, e questo problema è un cancro che mina la vita civile di tutto il nostro paese, dalle Alpi fino alla punta della Sicilia.
Ma i fedeli padani, a giudicare dalle reazioni del giorno dopo, per ora preferiscono continuare a cullarsi nel mito della loro diversità.
O nell'altra leggenda della vulgata berlusconiana, sul governo che più di ogni altro ha fatto per arrestare i mafiosi, mentre gran parte del merito va a magistrati e forze dell'ordine che operano autonomamente 365 giorni all'anno, a prescindere dai governi in carica e a volte anzi scontrandosi con essi (vedi il caso Cosentino).
Oltretutto Saviano non ha accusato la Lega di avere relazioni consolidate con Camorra e 'Ndrangheta, come sostiene Bobo Maroni.
Ha soltanto detto che ci sono stati tentativi di avvicinare gli amministratori del nord, che ormai in buona parte sono leghisti, e che a Milano ci sono prove di inserimenti della malavita negli appalti.
Forse sono tentativi falliti ma un domani potrebbero andare a segno; perchè pecunia non olet  e non esiste motivo per pensare che i politici leghisti siano antropologicamente diversi dal resto dell'umanità.
Qualche episodio che fa scricchiolare l'altare padano anzi è già emerso: A S. Stino di Livenza un assessore leghista viene arrestato per una tangente, nel consiglio regionale friulano esplode la grana dell'auto blu di Ballaman...
Evidentemente è bastato accostare i due concetti (mafia e nord) per provocare un cortocircuito e adesso si grida al sacrilegio. Evidentemente i leghisti sono come i comunisti di fine anni 80,  che erano convinti di appartenere, solo loro, al partito degli onesti.
Il discorso di Saviano più che un j'accuse è stato un ammonimento; il risveglio per i comunisti è stato brutto, nel futuro potrebbe esserlo anche per i militi in camicia verde.
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mercoledì 10 novembre 2010

Alcune iniziative per aiutare gli alluvionati del Veneto

In assenza di una campagna mediatica in grande stile come è successo per altri disastri nazionali (con l'eccezione di LA7 - Grazie Mentana), e in attesa (che temo sarà lunga) dei sostanziosi contributi promessi da Roma, segnalo alcune iniziative per aiutare gli alluvionati del Veneto.
Fondazione Giorgio Panto: versamento bancario - fondazione Giorgio Panto Onlus - causale pro alluvionati - IBAN IT 92 R 05040 12081 0000 0095 2365.
Il Mattino: il quotidiano padovano elenca una serie di iniziative nate in loco, (Croce Rossa, Caritas etc...) fra le quali quella del Comune capoluogo per conto di tutti i paesi sott'acqua.
Per contribuire, Comune di Padova - Cassa di Risparmio del Veneto - causale solidarietà famiglie padovane alluvionate - IBAN IT70 U062 2512 1861 0000 0000 107.
TG LA7 - SMS (anche vuoto) o chiamata dal fisso al numero 45501 (costo 2 Euro).
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lunedì 8 novembre 2010

Alluvione, i veneti senza aiuti, perchè? Perchè stanno sul c...a tutti.

Treviso, h. 17,00 dell'otto Novembre. Il cielo è nero, le nubi gonfie di pioggia stanno per aprirsi.
Giove Pluvio non vuole lasciare in pace la mia regione e si prepara a innaffiarci ancora. 
Penso alcune cose: come se la passano fra Padova e Vicenza (senza dimenticare i poveri veronesi), e cosa accadrebbe se il Sile e il Cagnan, che si ramificano nel sottosuolo di Treviso "città d'acque", giocassero un brutto tiro, analogo a quello giocato nei giorni scorsi da Brenta, Bacchiglione, Alpone, Livenza... Sarebbe una catastrofe.
E poi penso al carosello di politici nelle tivù locali, che se la stanno prendendo un pò con tutti tranne che con se stessi. Come al solito, mai nessuno che abbia il coraggio di assumersi le proprie responsabilità.
Nè i sindaci, che hanno avallato troppo a lungo le speculazioni e le ferite mortali inferte alla natura dai soliti noti, affaristi spregiudicati; nè i pezzi da 90 come Luca Zaia, il nuovo re dei Veneti, che ha in tasca la tessera di un partito corresponsabile della distruzione progressiva e inarrestabile del territorio veneto.
In secoli di sapiente e oculata manutenzione la Serenissima aveva modellato e adattato meravigliosamente il territorio alle esigenze della gente.  E' andato perduto un intero patrimonio di conoscenze e sensibilità.
La colpa è sempre di qualcun altro, delle nutrie che hanno scavato le tane negli argini oppure, tanto per cambiare, di quei diavoli degli ecologisti: cioè gli unici che con rigore e coerenza denunciano da sempre gli errori mostruosi commessi verso l'ambiente in cui viviamo.
Gli errori che in queste ore stanno rovinando un bel pò di gente: si dice che 500.000 persone circa siano interessate da questo disastro.
Lucida e ineccepibile l'analisi per Republica fatta da Ilvo Diamanti, che abita a Caldogno, uno dei centri più colpiti dagli allagamenti.
Dice Diamanti che:
"...in fondo, si lamentano sempre, quelli del Nordest. Così, quando ce n'è davvero il motivo, non vengono presi sul serio. Se te la prendi sempre con Roma ladrona, Roma si vendica.  E quando chiami non ti sente. Forse perché resiste il mito del post-terremoto friulano; o del Vajont. Quelli abituati a fare da soli. Ad aggiustare i propri conti con le sfide del mondo e della natura senza chiedere aiuto agli altri."
Già. I Veneti sono orgogliosi al punto di sbracare nella presunzione: a furia di pensare che sono i migliori della covata, a forza di dire che sono loro a mantenere l'Italia, che tutti hanno da imparare da loro, ebbene nel momento del bisogno (perchè adesso qui c'è davvero bisogno di soccorso) gli altri si sono eclissati.
Nessuna campagna di aiuto da parte dei media, toni tiepidi, sostanziale disinteresse.
I Veneti sono stati prodighi di critiche verso i campani, o gli aquilani travolti dal terremoto, e adesso pagano il dazio per le parole spesso feroci, per i toni sprezzanti con cui trattano i loro connazionali, per il desiderio secessionista che emerge a intermittenza.
Quest'alluvione invece dovrebbe insegnarci (ma ci credo poco) che i nostri destini, di noi tutti italiani, sono intrecciati.
E' vero che nonostante i mugugni noi Veneti non ci siamo mai tirati indietro, abbiamo sempre fatto la nostra parte nelle molte tragedie che hanno colpito il paese. 
E' giusto che adesso chiediamo aiuto a Roma, dove sono depositati i soldi delle nostre tasse e ci sono per la verità molti rappresentanti nordisti: a proposito, che stanno facendo?
Ma dal discorso pubblico di queste ore manca però un pezzo importante: un'autocritica per come abbiamo trattato il territorio e gli altri italiani. L'uno e gli altri si stanno vendicando, ciascuno a modo suo.
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giovedì 4 novembre 2010

Il presente del vecchio porco e il futuro di Ruby

E' meglio il cubo di Rubik o il culo di Ruby?
Il culo di Ruby ovviamente, e giù risate. Una battuta da bar, di quelle che si fanno fra amici. C'è ne sempre uno più abile degli altri nel farle.
E' lo stesso tipo di battute che Berlusconi, dopo l'ultimo scandalo, sta facendo a ruota libera: Meglio amare le belle ragazze che essere gay -  sorrisi di approvazione.
Non è forse lui che una volta disse - di notte dormo tre ore e le altre tre faccio l'amore - ? Applausi.
Non è forse lui il Gran Barzellettiere d'Italia, che  prende sempre in giro la Bindi e nelle sue feste ha trasformato in realtà la vecchia barzelletta del bunga - bunga?
Incurante delle critiche, delle ironie e del disprezzo che ci piovono addosso dall'estero, il vecchio suino ormai parla e agisce senza freni.
Berlusconi va consapevolmente a briglia sciolta, parla alla quota di elettorato che approva il suo stile di vita, quella parte che se potesse ...  E' una tattica di comunicazione e il Cavalier Fracassa è un grande comunicatore, non lo scopriamo adesso.
Funzionerà ancora questo trito giochetto? Oppure mano a mano che la vicenda, o quella della escort Nadia, o altre ancora, verrà sviscerata tutta, Berlusconi comincerà invece a pagarne il prezzo?
E' difficile non giudicare sconcertante e patetico (a parte le considerazioni politiche) il vecchio riccone e le sue voglie, che sicuramente sono stimolate da aiutini farmacologici.
Berlusconi è un collezionista di calendari da meccanici, con la differenza che lui ha pecunia in abbondanza per permettersi le bonazze alla Ruby, sempre più giovani e disponibili.
Storie pecorecce, la velleità di ingannare il tempo con i capelli trapiantati, il botulino, le spacconate giovanilistiche, le sparate di cattivo gusto.
Questa, con la gestione spregiudicata e personalistica dello stato; questa, insieme alla mancanza di iniziativa politica del governo e del parlamento, è l'ultima versione del berlusconismo. Un copione degno dei Fratelli Vanzina.
Il presente del vecchio padrone è un limbo dove Berlusconi si abbandona al divertimento, blocca il parlamento a discutere i provvedimenti utili per cancellare i suoi processi mentre il paese cola a picco.
Alla fine il bunga bunga lo subiamo noi tutti.
E poi c'è Ruby e il suo futuro. Ruby è una creatura modernissima quanto Berlusconi è antico per logiche e comportamenti: figlia di immigrati, povera ma bella, ha capito che per farsi strada tutto va bene, tutto a parte puntare sulle proprie capacità, sulla formazione, sulla fatica quotidiana di lavorare e sviluppare una professionalità qualsiasi.
Va detto, in una società comunque sempre più a corto di opportunità vere e serie per le nuove generazioni, che vengono illuse col miraggio del successo mediatico.
Ruby è una escort, nome moderno di una professione antica. Ruby è un'aspirante velina, proviene dall'ambiente delle discoteche e dei concorsi di bellezza di provincia.
Ruby è entrata nel giro milanese dove ci sono i danè, dove bazzicano i ruffiani come Lele Mora. E il fatto che l'ha coinvolta, in una società che rende fenomeni televisivi tutti i mostri, forse la aiuterà.
E' una potenziale tronista di Maria De Filippi, una potenziale invitata di talk show domenicali, una bonona da calendario come la Carfagna: che poi è stata baciata dalla fortuna (per così dire) e adesso è ministro.
O forse, dato che il circuito mediatico trita spietatamente quasi tutti i mostri che produce, sarà presto dimenticata e tornerà nell'anonimato, a fare il vecchio mestiere che hanno neutralizzato con un nome nuovo.
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mercoledì 27 ottobre 2010

Come si fa a essere solidali con Capecazzone?


Dopo l'aggressione di ieri non riesco ad associarmi al coro della solidarietà verso Daniele Capecazzone. Ci ho provato ma non ci riesco.
Il problema è che il soggetto suscita un'antipatia istintiva, un'avversione pre-politica.
Capezzone è il ritratto di certi compagni del nostro immaginario scolastico: quelli che non legavano con la classe non per timidezza, bensì per un sentimento di superiorità perennemente esibita.
Gli smorfiosi con la mano sempre alzata per rispondere alle domande (io lo so!), i secchioni che in veste di capoclasse erano inflessibili nel denunciare le marachelle altrui ma non erano mai disposti ad aiutare i compagni in difficoltà. 
E poi c'è l'aspetto visuale,  quel broncio, quella bocca a culo di gallina che gli viene così bene quando deve difendere, negli ampi spazi offerti dal TG1 o dal TG5, il povero Silvio vittima delle persecuzioni della spectre politico - giudiziaria.
La vita del nostro splendido trentottenne è sempre stata una gara a mettersi in mostra, a primeggiare, nei palchi della politica o nelle trasmissioni televesive come Markette
Capecazzone è il prototipo dell' ambizioso privo di scrupoli, dell'uomo pronto a tutto pur di arrivare alla vetta.
Niente di diverso, in questo, dagli homines politici italiani, singolare razza di chiaccheroni e arrivisti senza eguali nel mondo occidentale, esperti e sfacciati nei cambi di schieramento; persone senz'arte nè parte fuori dalla politica (la secchia Capezzone non ha neanche finito l'università e non ha mai lavorato un giorno in vita sua).
Pannella gli ha insegnato i fondamentali dell'attività e della comunicazione politica,  poi a fine 2007, dopo essere stato eletto deputato nel Centrosinistra dove si distingueva per la durezza degli attacchi a Berlusconi, proprio a lui ha mostrato la coscia: e lui, avendo talento nel riconoscere un potenziale servitore, lo ha arruolato.
Capezzone così è diventato il citofono di Berlusconi,  è un meraviglioso robottino a molla: gli dai la carica e parte a esternare, ripetendo a raffica dichiarazioni precotte, sempre quelle.
Quelle dichiarazioni surreali che fanno strabuzzare gli occhi a chi ha la sfortuna di ascoltarlo, e che a qualcuno possono far venire la voglia di assestargli un cazzottone.
Io capisco il suo aggressore: Capezzone ha una faccia che attira inesorabilmente gli schiaffi.
Lo capisco pur non giustificandolo: se lo incontri per strada una pernacchia, o un bel - ma vattelo a pijià...- sarebbero sufficienti.
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martedì 19 ottobre 2010

Voglia di alternativa: qualcuno ci faccia sognare...Per favore

I sondaggisti cercano di essere il termometro dell'opinione pubblica, lo specchio delle idee e dei sentimenti che circolano ma non sempre ci indovinano, i sondaggi sono una materia di per sè complicata.
Per esempio secondo me molti, quando arriva lo squillo fatale, se per un sussulto di cortesia resistono alla tentazione di buttare giù non rispondono sinceramente. 
Per non parlare di com'è franato l'esperimento tutto british degli exit - poll: giovani addetti armati di carta e penna che fuori dai seggi chiedevano agli elettori per chi avevano votato. Figuriamoci.
Gli italiani per cinquant'anni hanno votato DC... Ma andando in giro si faticava a trovare i suoi sostenitori. Siamo fatti così.
Poi bisogna vedere chi hanno alle spalle, i nostri sondaggisti. La berlusconiana Datamedia, per esempio, è affidabile come le predizioni delle cartomanti nelle tivù locali. E' meglio il mago Otelma.
Il nano di Arcore negli anni ha arruolato non solo picchiatori mediatici e confezionatori di patacche, ma anche sciorinatori di dati con un'immagine di credibilità scientifica e professionale.
Non solo tagliagole come Feltri e Sallusti, ma anche personaggi lindi come Gianni Pilo o accattivanti come Luigi Crespi.
Però quando tutti i sondaggi concordano nell'indicare un numero, o  numeri molto vicini fra loro, possiamo abbandonare ogni dubbio.
Repubblica ci dice che il PD rimane ancora fermo al 27%. Qualcun altro dice 26,9 o 26,5 ma siamo lì.
Aumenta lo scontento verso il Cavalier Fracassa, i numeri lo puniscono; però l'architrave dell'alternativa di governo non ne ha ricavato niente, più che altro è un travetto di cartapesta.
Allora penso al masochismo, al tafazzismo del Centrosinistra, a Bersani che dice - Il PD è un partito di governo momentaneamente all'opposizione.
E penso che questo momento si sta prolungando a dismisura, e potrebbe diventare un'era geologica.
Penso all'incapacità straordinaria dei dirigenti PD di  stoppare la palla del discorso politico, ogni volta che l'attualità gli fa un assist. Come l'ultimo, straordinario: la manifestazione CGIL di Sabato scorso.
Troppa paura di sembrare contigui al sindacato, troppa paura di scontentare il fighetta democristiano Casini e rovinare la tessitura di una santa alleanza anti - cav.
Troppa paura di tutto, alla fine non si dice mai niente di chiaro o si litiga, magari per far cadere il segretario e prenderne il posto alla guida di un partito che diventa sempre più piccolo.
Come l'ammiraglio italiano della battaglia di Lissa, che si proclamò vincitore perchè era rimasto padrone delle acque: ma solo perchè gli austriaci se n'erano andati dopo avergli affondato quasi tutte le navi.
Si è troppo attenti a calcolare le percentuali (quanto fa PD + UDC o PD + Vendola e Di Pietro, o Fini addirittura),  a cercare risposte politiciste, e non si parla mai al cuore della gente, che è l'unico modo di cominciare a ricostruire un consenso duraturo.
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lunedì 11 ottobre 2010

L'Italia è in guerra: è chiaro finalmente?

Allora siamo in guerra; dopo l'ultima strage di militari italiani la foglia di fico del Peace Keeping è caduta. Se qualcuno ne dubitava ancora...
Come è maturata la nostra partecipazione alla guerra in Afghanistan, la prima in modo così diretto dal lontano 1940? Facciamo un passo indietro.
Era il 2008 e le elezioni erano alle porte: l'ambasciata statunitense di Roma dichiarò che ci si attendeva un'intensificazione del nostro impegno in Afghanistan, sia in termini numerici che qualitativi.
Vale a dire che Washington si aspettava una partecipazione dei nostri soldati alle operazioni contro i Taliban, uscendo dallo schema tradizionale che ovunque li ha sempre visti impegnati in azioni di sorveglianza, di addestramento di forze locali, o di sostegno umanitario alle popolazioni.
Parisi, allora ministro della difesa dimissionario, disse che una tale richiesta avrebbe dovuto essere rivolta non a lui ma al governo subentrante, che ha  aderito con sollecitudine.
Sono cambiate le regole d'ingaggio e difatti buona parte dei nostri caduti sono morti fra 2009 e 2010.
Questo mentre a Kabul franava il nuovo assetto politico a causa degli errori dell'occidente, e veniva spianata la strada alla controffensiva politica e militare dei Talebani.
Il collasso del  progetto di un nuovo Afghanistan dimostra che lo strumento militare, quando manca una seria iniziativa politica, non può mai essere risolutivo. Una volta di più la storia non è riuscita a essere magistra vitae, tutt'altro, le sue lezioni sono state ignorate (vedi Vietnam).
Perciò ci siamo trovati dentro una guerra che riesplodeva, con il nostro ingombrante alleato americano che ci chiedeva di fare di più.
Il governo del Cavalier Fracassa, carente sulla politica estera come sul resto, non è stato mai capace di imporre in sede NATO una discussione seria per giungere a un cambio di strategia.
Berlusconi Il grande pacificatore, colui che millanta una presunta abilità nel mettere d'accordo tutti, non si è visto.
Nè si è mai visto un dibattito vero e aperto sulla questione, nel parlamento e nel paese: la missione è sempre stata rinnovata in mezzo alle pieghe delle leggi finanziarie, e le opposizioni aiutavano il governo a tenersi su la foglia di fico.
Nessuno di quelli che contano ha avuto l'onestà intellettuale di dire che siamo in guerra. E' giusto essere lì? O è sbagliato? E' in contrasto con l'art. 11 della costituzione?
Tutte le opinioni sono legittime ma prima di tutto servirebbe chiarezza, invece di continuare a ripetere che siamo lì per mantenere la pace, o di limitarsi a proporre di armare i nostri aerei con le bombe come proposto da Ignazio Vercingetorige La Russa.
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martedì 5 ottobre 2010

Le indispensabili esigenze di vita di Herr Priebke

E' bella la democrazia. Persino Erich Priebke ha diritti precisi e inviolabili, e qualora tutti se ne dimenticassero ci pensa il suo diligente avvocato a farli valere.
Il vecchio criminale nazista ai domiciliari, mentre si avvicina il traguardo delle 100 candeline, come previsto dalla legge ha ottenuto il permesso di uscire per  soddisfare le indispensabili esigenze della vita. Esemplificando per fare la spesa, andare in farmacia, a messa (?!), dare il becchime ai piccioni etc...
Non solo: il suo legale Giachini codice alla mano auspica la sospensione della pena, perchè sono trascorsi 20 anni è Priebke è un detenuto come gli altri.
Nulla da eccepire in termini giuridici, il diritto è l'unica cosa che conta; non è strano nemmeno il tono dell'avvocato, simile a quello un pò protervo di molti suoi colleghi abituati a reclamare dal piedistallo della retorica forense i diritti dei loro assistiti...Anche se si chiamano Priebke.
Si può anche sospettare che l'avvocato romano si sia stufato di tenersi in casa il vecchio nazista e se ne voglia liberare almeno per qualche ora al giorno. Senz'altro non pensava che fosse così longevo.
Ma al di là di questo, tornano alla memoria i tempi in cui Erich era una giovane baldanzosa SS di stanza in Italia e partecipò all'esecuzione di massa di civili inermi alle Fosse Ardeatine.
Sempre in quel fatidico 1944, Priebke dopo le gesta romane si trasferì  a Brescia dove operò attivamente, in coordinamento con i fascisti, nella repressione del movimento partigiano.
Nel bresciano esiste ancora la casa, appartata e quindi al riparo dagli occhi dei curiosi, dove Priebke conduceva gli interrogatori dei prigionieri.
Prigionieri che sicuramente non disponevano nè di avvocati nè di tutele codicistiche di sorta, essendo completamente alla mercè dei loro carcerieri che li sottoponevano a ogni genere di tortura fisica e psicologica.
Dopo l'estradizione l'iter giudiziario del caso Priebke è stato molto tormentato  e condizionato dagli umori dell'opinione pubblica, e per questo ha prestato il fianco a qualche critica fondata sulla corretta interpretazione delle leggi.
Ma tutto sommato gli è andata bene, ha potuto vivere e invecchiare tranquillamente in Sud America per una quarantina d'anni.
Ed oggi, dopo l'estradizione e il processo, può usufruire di tutte le tutele previste dalla nostra legislazione così attenta ai diritti della persona. E' proprio bella la democrazia, anche il vecchio nazista ne converrà.
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mercoledì 29 settembre 2010

In Svizzera i ratt ballano da soli


Tre topastri. Cartelloni ovunque nel Canton Ticino. Un committente misterioso e le elezioni vicine. Ecco la campagna Bala i ratt.
Per la serie come ci vedono gli altri, In Svizzera ci vedono così: ratti subdoli e sguscianti, rosicchiatori del benessere altrui, approfittatori e ladri.
Gli ideatori della campagna ce l'hanno un pò con tutti Unione Europea compresa; alimentare il populismo è sempre utile in pendenza di elezioni.
E' noto poi che la patria degli orologiai e dei mastri cioccolatai ha sempre avuto la puzzetta sotto il naso nei confronti di qualunque non svizzero; come i greci antichi che consideravano barbari (cioè inferiori) tutti i non greci, trattandoli a seconda dei casi con disprezzo o con un sentimento bonario di superiorità o gli inglesi del - tempesta sulla Manica, il continente è isolato.
Ma la visione che hanno di noi a nostra volta sempre più xenofobi è uno schiaffone forse inatteso, soprattutto nel nord animato dalla presunzione della superiorità padana.
Ci insegna impietosamente quanto siamo antipatici oltreconfine e che è veramente tutto relativo.
Difficile dare torto ai nostri civilissimi e benestanti vicini considerando l'immagine scandalosa dell'Italia berlusconiana, che altro non è se non la sublimazione o declinazione in chiave contemporanea dei nostri radicati vizi nazionali.
I mastri cioccolatai però dimenticano una cosa fondamentale.
Buona parte di quella ricchezza  trae origine da un sistema bancario che nel tempo ha offerto protezione ed elevatissimi rendimenti ai soldi di tutti: anche ai quattrini di evasori fiscali, dittatori, boss della malavita, multinazionali senza scrupoli e così via. Il segreto bancario non è mai stato negato a nessuno, senza fare troppe domande. Nemmeno ai nazisti che cercavano di imboscare, durante la guerra, le ricchezze che avevano rubato agli ebrei o ai paesi occupati.
Le blindatissime casseforti di Berna e Zurigo esistevano molto prima dei paradisi fiscali caraibici.
Sono dei bei ratt anche loro, delle vere nutrie che vogliono ballare da sole e non dividere il formaggio con nessun altro.
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martedì 21 settembre 2010

A volte ritornano...Ariecco Walterone!

Matteo Renzi aveva auspicato la rottamazione dei vecchi dirigenti del Centrosinistra; a poche settimane da quell'intervento è stato servito.
Walterone Veltroni è ritornato con un grande rullare di tamburi, è di nuovo in pista.
Dagli anni '70 ad oggi Veltroni c'è sempre stato. Renzi era in fasce (anno 1976) e Veltroni era dirigente della FGCI e consigliere comunale a Roma. Oggi è sindaco di Firenze e Walterone è ancora lì, pronto a dare il suo contributo per il futuro del PD, il partito che resterà (se ci sarà ancora) a quelli della generazione di Renzi.
Ha coalizzato 75 scontenti del partito attorno a un suo documento critico e poi ha scritto una lettera a Repubblica in cui dichiara di non voler sconfessare Bersani, ma anzi di lavorare per l'unità.
Veltroni ha sparigliato le carte con sapiente tempismo,  proprio mentre il nano di Arcore si trova nella situazione più difficile dall'inizio della legislatura e il Centrosinistra dovrebbe dare almeno una minima immagine di compattezza.
Lavorerà dentro il partito ma anche fuori. Arieccolo quindi: evanescente eppure presente, è tornato un grande Zelig della politica italiana, l'unico che riesce con una sottile "philosophia" e la sua oratoria sognante a tenere insieme gli opposti più opposti.
E' senza dubbio alcuno quel messaggio limpido e semplice atto a galvanizzare la base democratica e a farsi comprendere dall'opinione pubblica in cerca di risposte per il dopo Berlusconi, che purtroppo per il Cavalier Fracassa, convinto della sua eternità, si sta avvicinando.
Quando guidava l'opposizione aveva detto - siamo riformisti, non di sinistra - E in effetti con lui il PD era un pò questo e un pò quello, un grande omnibus, un albero dal quale il segretario con grande cura aveva tagliato tutte le radici per la paura di scontentare gli uni e gli altri: cioè qualcosa destinato a cadere rovinosamente com'è successo.
Ma Walterone è così: una volta, interrogato sulla fede ha risposto come la sibilla cumana - credo di non credere.
E' stato l'unico a dire che nonostante la sua appartenenza al PCI, dove si è accomodato su numerose poltrone, non è mai stato comunista.
L'unico a sostenere che nel PCI (dove c'è una lunga storia di processi ed epurazioni) si poteva non essere comunisti e sentirsi liberi, per poi dire in un'altra occasione che invece il comunismo era incompatibile con la libertà.
E l'unico, venendo all'attualità, che dice di essere riuscito a portare il PD al suo massimo di voti alle politiche del 2008, dimenticando le due scoppole prese  subito dopo che lo hanno fatto calare al 24% e lo hanno  forzato a dimettersi: le elezioni a Roma e quelle in Sardegna.
Il Centrosinistra sentiva proprio la mancanza di Veltroni, meno male che è tornato.
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martedì 14 settembre 2010

La scuola è a pezzi, ma per fortuna ci sono i superleghisti di Adro


E meno male che ci sono i leghisti di Adro, guidati dal Supersindaco Lancini; se non ci fossero loro...
Nessuno poteva affrontare lo sfascio del sistema dell'istruzione e le perfide sinistre che vogliono aprire le porte agli immigrati (anche quelle delle nostre case), con la simpatica verve e la creatività di Supersindaco.
Una battaglia si può perdere (il divieto ad alcuni bambini di accedere alla mensa), complice un imprenditore traditore dei padani che ha deciso di saldare i debiti delle famiglie morose, ma la guerra bisogna vincerla.
E Supersindaco ha vinto con l'aiuto della ministra Gelmini, l'altra eroina nordista che con i superpoteri trasmessi dal padre Berlusconi finalmente ha tolto di mezzo il vero problema della scuola italiana: gli insegnanti precari. Zap! Polverizzati!
Ad Adro abbiamo un'anticipazione di ciò che ci aspetta al di qua del Po: una scuola padana tutta verde e piena zeppa del noto simbolo leghista.
Tanto per chiarire che se vuoi vivere al nord devi rispettare il pensiero dominante altrimenti sei fuori, italiano o straniero che tu sia.
Poco importa se oltre il 70% degli abitanti del nord non vota per la Lega: noi siamo i padroni e facciamo come ci pare, questo è il messaggio.
La stellina padana infatti fa capolino ovunque: sui banchi, sugli zerbini, sul tetto. Qualcuno aveva proposto di metterla anche sulle tazze del water ma l'idea è stata bocciata, per un ovvio motivo di rispetto verso il sacro simbolo della religione neoceltica. Lì no che diamine!
La scuola di Adro è stata intitolata al prof. Miglio, teorico del federalismo in salsa leghista che però col Senatur non filava più di tanto, al punto di mandarlo a dar via i ciapp già alla metà degli anni '90.
Pochi se ne ricordano nel paese smemorato che si chiama Italietta, figurarsi la base leghista, ma va bene così.
I figli vanno educati bene fin dalla più tenera età e perciò arriva la scuola ideologica, che comunque conta illustri precedenti: la scuola fascista, dove i busti del Duce e i fasci littori campeggiavano ovunque, o quella della Corea del Nord, decorata con  falce e martello e con i ritratti di Kim Yong Il che sorride sornione agli scolari.
Supersindaco Lancini ha aperto la via, adesso sarà la volta di altri primi cittadini padani, ne siamo convinti.
Magari con il contributo economico di industriali filantropi com'è accaduto ad Adro, quelli che non pagano le tasse e portano i quattrini nei paradisi fiscali non perchè sono degli evasori, ma perchè  poveretti si oppongono come possono all'ingiustizia fiscale romana.
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mercoledì 21 luglio 2010

Il sindaco di Spresiano: Via i gay dal Piave, sono malati. Gentilini fa scuola

Lo sceriffo Genty ispira nuovi emuli; il paladino della lotta contro i nemici della civiltà veneta (immigrati, culattoni e da ultimo, dopo la tromba d'aria su Treviso, i Verdi contrari al taglio degli alberi) ha fatto scuola.
Il sindaco di Spresiano Missiato dichiara - via i gay dal Piave, coprifuoco. Sono malati e deviati.
Ma il nuovo vigilante del buoncostume padano non è un compagno di partito di Gentilini, bensì la guida di una lista civica vicina al Centrosinistra.
Il PD locale infatti non ha gradito lo sfogo del sindaco; un pò di mal di pancia, ma gli passerà. Questo passa il convento nel Centrosinistra di oggi.
Due perle del sindaco:
- hanno bisogno di aiuto psicologico
- questa non è prostituzione femminile, questa è maschile e non può passare inosservata.
Da vecchio democristiano d'altri tempi pensa che l'omosessualità sia una devianza da curare (anche con metodi coercitivi?) e che esiste una prostituzione accettabile, quella femminile.
Anche in questo rieccheggia Gentilini che anni fa, in un'intervista, rievocava con un pò di nostalgia i tempi in cui si andava a bordelli, quando erano legali.
O che in un'altra dichiarazione alla stampa, proponeva di aprire un quartiere del sesso in stile Amburgo o Amsterdam per far sparire le lucciole dalle strade.
Perciò è un sindaco di vecchia mentalità che vuole apparire più leghista dei leghisti, convinto che il modo migliore per mantenere il consenso sia rincorrere gli argomenti cari alla retorica dei militi in camicia verde. Quando cominceremo a sentire ragionamenti un pò diversi?
D'accordo, l'antica professione praticata per strada o in luoghi aperti al pubblico come il Piave è un problema.
D'accordo, serve maggiore vigilanza per tutelare la tranquillità delle famiglie, sporcizia e degrado non vanno bene.
Però Missiato e tutti i bacchettoni dell'attuale classe dirigente dovrebbero chiedersi, prima di puntare il dito accusatore, perchè c'è tutta questa prostituzione.
Un prodotto sta sul mercato se c'è richiesta, e mai come oggi c'è stata così tanta richiesta del prodotto sesso, in tutte le sue varianti.
Perfino quella trans che ha molto successo, dal comune cittadino fino ai politici come Marrazzo o Zaccai del PDL.
Sono molte persone apparentemente perbene che alimentano quel mercato. Le stesse che portano i figli in parrocchia e votano Lega (o Missiato).
Fatta questa salutare presa di coscienza, sicuramente adotterebbero qualche provvedimento (com'è richiesto dai loro doveri di amministratori) senza troppi clamori, con quella sobrietà e quel senso di equilibrio che nell'Italia sbracata e ipocrita di oggi abbiamo perso completamente.
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giovedì 15 luglio 2010

14/07/10: ZZ Top a Piazzola sul Brenta - gli inossidabili barbudos fanno ancora centro



Afa opprimente ieri sera a Piazzola sul Brenta ma per vedere uno show degli ZZ TOP ne valeva la pena, perfino per i brontoloni come il sottoscritto che ogni anno sognano di starsene in una casetta di legno in riva a un fiordo fino a Settembre inoltrato.
Le barbe più lunghe del mondo del rock sono tornate (dopo il set di spalla affidato a Maurizio Solieri), si sono srotolate sul palco dell'anfiteatro di Villa Contarini e in un'ora e quaranta minuti hanno sciorinato una lectio magistralis di puro, massiccio ed entusiasmante Southern Rock.
Gli anni passano ma la vecchia guardia non cede terreno... E detta ancora legge. I Newbies umilmente prendano nota.
Inizio subito bollente con il trittico Got Me Under Pressure - Waitin' for The Bus e il blues tutto "anima e core" di Jesus Just Left Chicago.
Poi sono arrivati gli altri cavalli di battaglia: I'm Bad, I'm Nationwide - Cheap Sunglasses - Gimme All Your Lovin' - Sharp Dressed Man - Need You Tonight e così via.
Gli estratti da Eliminator hanno avuto molto spazio come previsto, dato che si tratta del loro album più fortunato in termini di vendite e quello, assieme al successivo Afterburner, che contribuì in misura maggiore a regalargli la fama mondiale.
Come sempre tutti i fan vorrebbero ascoltare un pezzo che invece non viene suonato; io ieri sera avrei saltellato molto volentieri sui ritmi di Sleeping Bag e My Head's in Mississipi (appena accennata da Billy Gibbons), ma va bene lo stesso.
C'è stato anche il tempo per una cover di Hey Joe e per una dimostrazione da parte di Billy della tecnica Slide, prima del finalone con le irresistibili Tush e La Grange.
E loro stessi poi sono uno spettacolo, catturano l'attenzione anche quando stanno fermi, riescono ad ammiccare anche dietro gli immancabili occhiali neri che con i cappelli, i vestiti di scena e bassi e chitarre personalizzate creano una coreografia coloratissima e unica.
Mica male per dei sessantenni: Billy, Dusty e Frank thanx a lot!
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giovedì 8 luglio 2010

Heineken Festival 2010: una parte dei veneziani protesta...e sbaglia

L'Heineken è finito. E' calato il sipario e il giorno dopo sono cominciate puntuali le polemiche, le diatribe che in  Italietta coronano sempre i grandi eventi... Non solo quelli gestiti dai Bertolaso Boys.
Sul sito del Gazzettino le voci pro e contro hanno cominciato il duello. Per una parte dei veneziani l'Heineken non s'aveva da fare perchè i disagi sono stati eccessivi. 
E leggendo certi interventi si nota che il vecchio immaginario perbenista è ancora vivo e vegeto; secondo qualcuno rock è uguale a droga, ignoranza, perversione dei costumi, rapporti contronatura, satanismo, maltrattamenti all'infanzia e scarsa igiene personale.
E' gente uguale a quella che applaudiva i reverendi americani quando organizzavano i falò dei dischi di Elvis e Jerry Lee Lewis, per purificare il mondo dalla musica del diavolo.
Io c'ero (per vedere i miei amati Pearl Jam) e di fattoni ne ho inquadrati davvero pochi; per la maggior parte si trattava di un pubblico normale, di semplici appassionati della musica, ma non importa. Sotto questo profilo, dagli anni '50 ad oggi non c'è niente di nuovo al fronte.
Quello che invece suona come una nota stonata, insopportabilmente stridula, è l'opinione di chi non voleva il festival perchè disturba la circolazione e il quieto vivere dei residenti dell'area di S. Giuliano, o perchè il comune  (dicono) non ci ha guadagnato niente.
Continuano i tempi duri per la gente della notte, per i "ggiovani". Nessuno li vuole, nessuno ne sopporta i raduni, fosse anche solo per un giorno, o per tre - quattro giorni al massimo come nel caso dell'Heineken.
I giovani (sempre descritti dalla retorica muffosa degli adulti come una speranza, una risorsa da valorizzare, il Futuro) nessuno tirando le somme li vuole vicino.
Per non parlare del fatto che i seniores accettano passivamente che vengano massacrati dai meccanismi dell'economia moderna.
Foglio di via. Vadano da un'altra parte, dove naturalmente qualcun altro si lagnerà e li vorrà cacciare.
Una parte del mondo adulto interpreta le città come grandi dormitori - caserme, dove dopo le h. 21,00 è vietato praticamente tutto. Coprifuoco.
Su questo influisce senz'altro l'invecchiamento della nostra società, dove gli over 60 ormai sono una componente (soprattutto elettorale) importante. 
Poi il classico provincialismo nostrano, che non comprende e non accetta qualunque fenomeno diverso dalle partite di serie A o dai concerti di Gianni Morandi e Albano. Per questa gente anche il Festivalbar è quasi quasi un fenomeno eversivo.
Ma c'è anche una dose di inedita e istintiva intolleranza: siamo sempre più divisi da barriere e fossati di ogni genere, quello che non garba a me non ha diritto di cittadinanza e non ne discutiamo nemmeno. Capito?
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martedì 22 giugno 2010

I giovani del PD battono un colpo, ma sbagliato.

Allora la parola compagni non si può più usare.  Per par condicio nemmeno la parola amici, perchè se la prima rimanda al passato comunista la seconda richiama invece il passato democristiano, che non è stato questo granchè.
Si potrebbe recuperare il termine cittadini, ma non va bene neanche questo perchè lo si utilizzava nella rivoluzione francese e qualcuno potrebbe associarlo al terrore robespierrista.
In certi ambienti della destra invece si autodefiniscono con orgoglio camerati (e giù pacche sulle spalle) senza farsi tanti problemi.
Dopo il coinvolgente dibattito sulla presenza dei massoni nel PD, è la volta di un'altrettanto affascinante diatriba su come si devono chiamare i pidini fra di loro. I giovani del partito hanno finalmente parlato e hanno scelto il tema giusto, quello che sta a cuore a tutti.
Non la vicenda di Pomigliano, non la manovra finanziaria che taglia le gambe a un paese già in grande difficoltà, non i problemi delle nuove  generazioni di cui fanno parte, ma una questione nominalistica: come possiamo chiamarci fra di noi?
Compagni non va bene perchè lo usavano i comunisti, è roba del passato e per loro - nativi del PD - sono concetti che non rientrano nel - loro pensare politico.
Quale sia però tale pensare rimane un mistero per molta gente; non solo per quella quota di elettorato centrista che il PD vorrebbe sottrarre al Centrodestra, ma anche alla stessa base di Centrosinistra che sempre più stanca e confusa non va neanche più a votare.
Il PD continua a essere un omnibus che con inarrivabile masochismo perde tutte le occasioni migliori per riprendere in mano il discorso politico nazionale: la privatizzazione dell'acqua e la picconata ai diritti sindacali in corso a Pomigliano, tanto per fare due esempi.
Il problema dei problemi invece è la parola compagni; questi ggiovani forse nella loro letterina sono stati ispirati da una manina terza per mettere in difficoltà Bersani, che secondo qualcuno sta tingendo troppo di rosso la linea del partito (e stiamo freschi!).
Senza dubbio però gli sfugge che tale parola richiama un senso di solidarietà e fratellanza fra gli umili e gli sfruttati, che ha cementato la lotta per l'emancipazione di intere generazioni in tutto il mondo: anche a prescindere dall'adesione all'ideologia comunista.
E gli sfugge anche che nel mondo odierno, dove  pronunciare la parola compagni è out, lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo è invece ancora attuale, anzi riprende pericolosamente vigore.
Ma forse sono troppo impegnati a postare video su You Tube e pensano che la politica si fa solo con Twitter o Facebook. E' questo il nuovo che avanza?
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mercoledì 16 giugno 2010

Pomigliano, perchè secondo me la FIOM ha ragione

Premessa: a mio parere il mondo sindacale, con qualche lodevole eccezione, negli ultimi vent'anni ha sbagliato molto. Non mi entusiasma l'idea di farne il difensore d'ufficio.
A volte è apparso troppo conservatore, troppo attento a tutelare "a prescindere" il lavoro a tempo indeterminato, sia nel pubblico che nel privato, i diritti di chi almeno in teoria era già a posto.
Viceversa è stato disattento verso la precarizzazione che cominciava a prendere piede già nella seconda metà degli anni '90.
Il precariato ha asfaltato chi  ha un'età compresa fra i 25 e i 35 anni, tutta la generazione che ha terminato gli studi negli ultimi anni e si trova con molti meno soldi e molte meno prospettive degli altri; almeno fino alla recessione che ha determinato un'ulteriore rimescolamento delle carte spingendo sull'orlo del burrone anche i loro padri, nonni e fratelli maggiori.
La negazione del futuro ai giovani è la vera macelleria sociale di lungo termine dell'Italia, è forse più di ogni altra cosa il segno della decadenza in cui ci dibattiamo, altro che evasori fiscali come dice Draghi. E su questo i sindacati qualche ammenda la devono fare.
Mentre i ras sindacali al momento di rinnovare i contratti collettivi negoziavano le migliori condizioni possibili per i lavoratori del metalmeccanico o del pubblico impiego, esplodeva il fenomeno dei contratti atipici che imprigionano in via permanente i più giovani.
Mentre le sacche di povertà aumentavano e mancavano forme efficaci di rappresentanza dei nuovi interessi, i sindacati difendevano i fortini, le vecchie sacche di privilegio e il loro potere residuo.
Negli ultimi due anni il caso esemplare da questo punto di vista è stato Alitalia, la cui stramba conclusione a favore della cordata dei volenterosi berlusconiana è stata favorita anche dall'ostracismo sindacale, dai sindacati del no a prescindere.
Detto questo la FIOM sulla trattativa per Pomigliano ha ragione. Ciò che la FIAT vuole imporre con una logica ricattatoria (o così o ce ne andiamo in Polonia) è un nuovo modello di relazioni industriali dove i diritti fondamentali dei lavoratori sono sostanzialmente cancellati.
Molte concessioni e sacrifici si possono fare ed è giusto fare, ma cancellare il diritto di sciopero o stabilire che se il tasso di assenteismo va oltre una certa soglia non verranno più pagate le indennità di malattia è troppo. E oltretutto è incostituzionale.
Nessuna legge, nessun contratto aziendale, nessuna trattativa nazionale può derogare ai diritti costituzionali all'indennità di malattia o di sciopero.
Nessun sindacato degno di questo nome può accettare che un'azienda valuti con l'ampia discrezionalità  indicata da FIAT se una RSU o un singolo lavoratore si sono posti in contrasto con l'accordo, e quindi multare la prima e licenziare il secondo in libertà.
C'è uno strano parallelismo fra il meccanismo derogatorio del piano FIAT e i continui attacchi alla costituzione di Berlusconi; ormai la nostra carta costituzionale, per una parte della classe politica e del management delle aziende, è evidentemente un optional o un intralcio che si può scavalcare con assoluta disinvoltura.
E il modello di relazioni industriali targato FIAT, che oggi si vuol far passare in via eccezionale a Pomigliano con la complicità di una parte del mondo sindacale che ha interesse a isolare la CGIL, domani potrebbe essere generalizzato, imposto ovunque in nome dei sacrifici necessari per mantenere la competitività.
Ci allontaniamo dall'occidente e ci avviciniamo alla Cina, rischiamo sempre più di essere, come dice Beppe Grillo - i cinesi d'Europa.
Adesso la FIOM è isolata, è stata messa da tutti nell'angolino dei cattivi, ma forse l'episodio di Pomigliano è il primo segnale del risveglio di una coscienza sindacale più vera, più autentica.
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venerdì 4 giugno 2010

Libero pubblica i discorsi del Duce: il passato non passa mai

Non passa mai 'sto passato, ci viviamo immersi, è eterno. E ha rotto le scatole.
Libero sforna 6 DVD che raccolgono i capolavori di ars oratoria e di filosofia politica di Benito, e li regala addirittura. Ma allora è poi davvero in crisi la carta stampata?
Forse Capitan Belpietro ha partorito la grande idea davanti allo specchio, durante la rasatura mattutina. La vista del suo mascellone, così simile a quello di Lui, potrebbe averlo ispirato.
Belpietro ha trovato un modo nuovo di sfrizzolare l'ombelico degli affezionati lettori di Libero.
Ovvero il popolino della destra nostrana, che confonde l'essere conservatori nell'Europa del nuovo millennio con le nostalgie verso il passato in camicia nera che accomunò metà del continente negli anni '30.
Quale sarà la prossima iniziativa editoriale? Una collezione di fez, gagliardetti e pugnali distribuiti in una trentina di uscite?
O una serie di braccialetti anticomunisti, talismano indispensabile per chi teme la resurrezione del socialismo reale, come le corone d'aglio per scacciare i vampiri?
Sono passati 60 anni ma sembra ancora ieri, anzi sembra oggi, la storia non scorre in casa nostra, non ne vuole sapere di finire nell'archivio.
Il merito del curioso fenomeno è senza dubbio del nano di Arcore, che fin dalla sua discesa in campo fra noi comuni mortali ha costruito la mitologia della nuova destra sullo scontro fra comunisti e anticomunisti, proprio come nel '48.
La distanza fra i due Cavalieri è sempre più breve: il Cavaliere di oggi ultimamente non disdegna di citare il duce nei suoi interventi, o di arringare le folle dai palchi dell'amore con il - volete voi? mussoliniano.
Intanto arrivano i disegni di legge liberticidi o  le critiche alle Camere, ormai da lungo tempo bollate nell'ottica berlusconiana come l'aula sorda e grigia pronta a diventare bivacco di manipoli di cui parlava il Cavaliere di ieri.
Ogni tanto si rischia di smarrire la bussola, di pensare che esistono ancora la Sisal, l'Eiar e che il più grande attore italiano è Amedeo Nazzari, o che dall'ascolto dei discorsi del duce si possano ricavare perle di saggezza e indicazioni per il futuro.
Il mondo va avanti ma una parte del paese rimane tenacemente abbarbicata al momento più buio del nostro passato, e insiste a celebrare l'unico  (purtroppo) copyright autenticamente italiano nel patrimonio ideologico del novecento.
Che è passato per l'appunto, ma non qui.
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giovedì 27 maggio 2010

De Rossi, gli sbirri e le comari di parrocchia della FIGC

Dal superficiale mondo del Dio Palla ogni tanto emerge qualche dichiarazione sensata. Secondo Daniele De Rossi - ci vorrebbe la tessera anche per certi poliziotti.
Vero, sarebbe buona norma che le forze dell'ordine non fossero identificabili solo tramite il tesserino, ma anche perchè portano nome e cognome scritto a chiare lettere sulla divisa.
In Italia la tradizione è diversa. Il poliziotto è un anonimo, sulla divisa non c'è scritto niente e quando succede qualcosa, un'uccisione o un pestaggio ignobile con susseguente arresto come quello subito dal ragazzo di Roma qualche settimana fa, scatta puntuale l'omertà.
Cane non mangia cane, finchè è possibile si cerca di coprire il collega per fargliela passare liscia.
E' come in certi film polizieschi, o venendo alla triste realtà, è questo il filo conduttore fra episodi lontani nel tempo come  l'omicidio di Giorgiana Masi e i casi  attuali di Stefano Cucchi, Giuseppe Uva o Stefano Gugliotta.
Ci vorrebbe la tessera  ben appuntata sulla divisa per poliziotti - carabinieri - agenti di polizia penitenziaria; per sapere subito chi sono certi Serpico che interpretano la loro funzione come licenza di picchiare o uccidere.
Per sapere chi sono questi Bruce Willis all'amatriciana che da un pò si comportano molto disinvoltamente, perchè ritengono di avere le spalle coperte dalla politica. 
Dopo la morte di Cucchi Vercingetorige La Russa intempestivamente fece una difesa d'ufficio dei carabinieri.
Dopo le parole sincere di De Rossi Maroni s'indigna e stigmatizza le parole di un calciatore che andrà a rappresentare l'Italia ai mondiali e danneggia l'immagine del nostro paese, forse immemore di quando era lui ad aggredire i finanzieri davanti alla sede della Lega a Milano.
Non le parole ma gli episodi di violenza ci danneggiano, anche quella commessa da uomini in divisa che più che poliziotti ormai sono sbirri fuori controllo.
Non le critiche fondate di un De Rossi danneggiano il rapporto fra i cittadini e le forze dell'ordine, ma la violenza extra legem elargita liberamente da autentici criminali in divisa: quelli che ricattavano Marrazzo o quelli che hanno aggredito senza ragione apparente Stefano Gugliotta.
I pulcini che la chioccia Manganelli (un nome un programma) difende parlando di casi isolati.
I buoni poliziotti che nel 2001 hanno reso la caserma di Bolzaneto un lager (anche allora governava il Centrodestra), comandati da quel Gratteri che nonostante processi e condanne resta al suo posto grazie al governo.
La gente vorrebbe sapere se deve temere solo i delinquenti  conclamati o anche quelli celati dietro una divisa anonima.
Naturalmente la FIGC in nome del politically correct ha preso subito le distanze e ha obbligato il povero De Rossi a ritrattare.
Così va nel mondo di Dio Palla, dove anche Cannavaro nel 2006 fu costretto a cospargersi il capo di cenere perchè aveva detto di non voler rinnegare l'amicizia con Moggi.
Ma De Rossi c'ha colto de sicuro, come dicono dalle sue parti.
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martedì 18 maggio 2010

Ronnie James Dio, piccolo elogio a un protagonista del bel rock che fu

Se n'è andato anche lui, è entrato nel Valhalla accanto agli altri grandi del rock. E' riuscito a invecchiare, ha passato i 40, poi i 50 e infine i 60, e questo è un privilegio di non poco conto nel mondo della musica, che ci ha abituato a molte dipartite premature.
La notizia è dell'altro ieri ma l'ho saputo solo ieri sera. Durante la giornata, quando si ha altro da fare, a volte le notizie sfuggono, ma è singolare che nè un'occhiata veloce ai siti dei principali quotidiani la mattina, nè il tiggì dell'ora di pranzo mi abbiano informato.
L'ho saputo ieri sera da un bannerino di un altro tiggì: un bannerino di pochi secondi per un grande della musica che ci ha lasciato. Provincialismo dell'italica informazione.
Certo Ronnie James Dio non era Mino Reitano...
Me lo ricordo al Monsters Of Rock del 92. Era tornato da poco assieme ai vecchi compagni dei Black Sabbath e da poco era uscito Dehumanizer: sostanzialmente un Heaven & Hell rivisitato per gli anni 90 ma nonostante questo (anzi proprio per questo) una delizia per i nostalgici di Heaven & Hell o Mob Rules.
Cioè prima che Toni Iommi si abbandonasse agli esperimenti un pò controversi della seconda metà degli anni 80.
Me lo ricordo piccolo sul palco (arrivava a 1,65 R.J. Dio?) ma questo tappetto aveva una voce potentissima, capace di ringhiare e subito dopo di accarezzarti le orecchie con inaspettata dolcezza. Un mattatore, un protagonista, sempre.
Non c'è stagione del grande rock che Ronnie James Dio non abbia attraversato. Esordi da giovanissimo nel Rockabilly, poi l'Hard Rock degli Elf, tramutati in Rainbow dalla bacchetta magica di mr. Ritchie Blackmore con la sua approvazione; e poi il vero Bum quando approdò ai Black Sabbath, dopo che fra Ozzy e Toni Iommi erano volati i piatti e si era consumato il divorzio.
Alla fine lasciò anche i Sabs per iniziare la fatidica carriera solista, il karma (a volte fortunato, a volte no) a cui non sfuggono tutti i veri grandi cantanti.
Si portò dietro due o tre idee, poche e stabili, che hanno fatto la sua fortuna: un sound che alternava ritmi metal scatenati e improvvise frenate, dove dava sfogo ad atmosfere cupe o melodie dolci.
E poi l'immaginario fantasy, anch'esso un lascito del periodo sabbathiano, con qualche puntata nel finto satanico puntualmente riproposto nel songwriting, nelle copertine degli album e nel merchandising.
I risultati non sono sempre stati eccelsi ma album come Holy Diver o The Last in Line hanno lasciato il segno.
E quando saliva sul palco cari miei si scatenava sempre la furia più autentica e travolgente del metal, quello buono.
Ecco il mondo di Ronnie, elfo silvano che ha lasciato per sempre la nostra terra di mezzo, lasciandoci più soli e più consapevoli che stiamo invecchiando.
Rest in peace Ronnie. Ti vogliamo bene.
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giovedì 6 maggio 2010

Grecia - Italia una fazza, una razza...una crisi?

La Grecia brucia, la gente è in rivolta.
Non pagheremo noi per la vostra crisi - Da quando è iniziata la recessione lo abbiamo visto scritto sui cartelloni dei manifestanti in tutto il mondo. 
I greci adesso stanno passando alle vie di fatto, non ci stanno, e sono noti per essere uno dei popoli più fumantini del nostro continente. La rivolta di Exarchia dell'anno scorso è lì a dimostrarlo.
Terribile ciò che è successo in quella banca, vergognoso che ancora una volta ci abbiano messo lo zampino i Black Bloc, i luddisti dei tempi moderni, i nichilisti che non conoscono il concetto di proposta, sanno solo come seminare disordini e violenza.
Ma al netto di questo i dimostranti di Atene (che in grande maggioranza sono persone normali: lavoratori e pensionati, madri di famiglia, studenti) hanno ragione.
La recessione che sta sconvolgendo il mondo è scaturita dai circoli più o meno occulti dell'alta finanza, dai consigli d'amministrazione delle Merchant Bank, dalle decisioni prese dal WTO nell'ultimo ventennio che sono state avvallate puntualmente dai governi, almeno da quelli che contano.
L'oligarchia che controlla l'economia mondiale non è rappresentata da personaggi come  Bernie Madoff.
Quello è soltanto il volto più eclatante e pittoresco del malaffare finanziario che decide delle nostre vite.
E' una consorteria (ad oggi impunita) che lavora spesso sotto traccia ed è ben ammanicata con la politica, riuscendo a condizionare esecutivi e parlamenti che secondo il normale processo democratico dovrebbero rispondere esclusivamente ai cittadini.
I greci però hanno ragione fino a un certo punto, perchè il rischio di default del paese è anche il risultato di anni e anni di finanza allegra, di cui sono responsabili i politici eletti dai greci stessi.
Lo stato - vacca da mungere spendeva e spandeva; negli indici mondiali della corruzione politica la Grecia è nelle prime posizioni.
Spesa pubblica irrazionale, sprechi, corruzione diffusa, indebitamento elevato, indifferenza o complicità dei cittadini.
E' una situazione molto simile a quella italiana, dove  il deficit veleggia serenamente verso il 118%...Quando si dice una fazza una razza.
Berlusconi e Tremonti tacciono.  Berlusconi in verità è rapido a intervenire solo per attaccare la stampa e i giudici, la diabolica spectre che vorrebbe eliminarlo.
Anche la Lega, che di solito rumoreggia quando si tratta di dare una mano ai terroni (in cui nell'atlante padano vanno ricompresi senza dubbio anche i greci), tace.
Gianni e Pinotto hanno esaurito i giochi di prestigio e le partite di giro per tenere calma la gente?
Certo Italia e Grecia non sono del tutto comparabili; però stupisce la sollecitudine con cui il nostro beneamato governo ha aperto il portafoglio per dare ai greci ben 5,5 mld di Euro.
E' una sollecitudine che forse non dipende solo dagli obblighi europei. Non è che magari pensa al futuro?
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martedì 4 maggio 2010

Calderoli, un minchione di successo

Il celta Calderolix sul centocinquantesimo dell'unità d'Italia - La celebrazione ha poco senso, il miglior modo per festeggiare è l'attuazione del federalismo.
E infatti nomi di prestigio come Dacia Maraini, Zagrebelski e Ciampi hanno già piantato in asso il comitato organizzatore ben prima che Calderoli sentenziasse, per non fare la ruota di pavone alla riscrittura del risorgimento in salsa leghista che è in preparazione.
Ma siamo obiettivi, questa volta è andata bene, la sua dichiarazione in tivù potrebbe, dico al limite potrebbe, offrire uno spunto di riflessione e dibattito sul processo che portò all'unità del nostro paese.
In passato il simpatico ministro, vero porcellum doc del bestiario padano, le aveva sparate ben più grosse, e si era guadagnato con onore un posto sul podio del razzismo e dell'ignoranza con altri campioncini come Gentilini e Borghezio.

Un breve Compendium Calderonianum

- Gli immigrati non possono votare perchè sono dei bingo bongo abituati a vivere nella jungla,
- La nazionale francese è piena di negri, islamici e comunisti,
- Il cristiano che vota a sinistra si schiera col demonio,
- Questa legge qua l'ho scritta io ma è una porcata, 
- Preferisco la legge del taglione,
- Per i pedofili serve la castrazione fisica, con un paio di cesoie da giardiniere,
- Ma che senso ha che mi giudichi un magistrato?
- La Padania purtroppo è diventata un ricettacolo di culattoni,
- Rischiamo di diventare tutti ricchioni,
- Non son mica culo io! (Calderoli è palesemente ossessionato dai gay)

Alle parole hanno fatto seguito le azioni eclatanti, che hanno contribuito in modo determinante al suo successo mediatico e politico.
La maglietta con la caricatura di Maometto esibita in tivù, che ha causato scontri in Libia con morti e feriti.
Il falò delle leggi inutili, a parte quella elettorale partorita da lui medesimo e da lui medesimo sconfessata che andrebbe senz'altro bruciata; e ancora il raid anti - moschea con i maiali liberati sul terreno dove doveva essere costruita.
La stampa di sinistra narra malignamente (come sempre) che i suoi accompagnatori a un certo punto abbiano fatto fatica a distinguerlo dal gruppo dei suini che scorrazzavano nel campo.
Calderolix è la voce  dell'incoscienza, l'insostenibile leggerezza dell'essere un minchione di paese.
E' come certi avventori dei bar del profondo nord, che nelle loro discussioni dopo un'ombra (Veneto), un tajut (Friuli) o un goto (Lombardia), dicono con estremo candore cose terrificanti o chiaramente stupide.
Calderoli, con il suo faccione pacioso e la tendenza a sgranare gli occhioni  quando parla, è fatto così.
 Se il modo di vestire dice qualcosa di una persona, allora si capisce Calderoli. Il kitsch calderoniano lo avvolge tutto: il suo stile di abbigliamento, la sua azione politica e financo le scelte personali.
Impossibile dimenticare il fantasmagorico matrimonio celtico con Sabina Negri (bonona di provincia un pò kitsch pure lei) celebrato dal Marco Furmenten e dal Senatur in persona.
In altri tempi Calderolix non avrebbe potuto nemmeno aspirare alla presidenza di una bocciofila, nei tempi difficili che viviamo invece ce lo ritroviamo ministro. E ce lo teniamo.
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lunedì 26 aprile 2010

Omicidi in Valpadana

In provincia di Mantova un uomo ha freddato il coniuge più altre due persone e poi si è costituito.
Aveva già avuto problemi con la giustizia e aveva ripetutamente minacciato la moglie. Nonostante questo era in possesso di una pistola regolarmente denunciata.
Nessuno ha pensato di togliergliela, nè di tenere sotto controllo in qualche modo un potenziale omicida.
E' accaduto ieri in Padania, nei territori bossiani  che talvolta assomigliano al Far West.
Quei territori dove i sindaci  e gli onorevoli col fazzolettino verde sono molto solerti nel dare la caccia agli immigrati, dove i militi nordisti tolgono i bonus bebè o la mensa agli stranieri come ad Adro.
Dove si istituiscono i numeri e gli uffici speciali per denunciare i clandestini con le soffiate anonime.
Dove con le ronde e le chiacchere si inseguono pericoli, a volte reali e a volte invece del tutto immaginari, che servono per accumulare consistenti capitali elettorali; ma tirando le somme la sicurezza dei cittadini viene bellamente trascurata.
In Italietta tutti ne parlano, di questa maledetta sicurezza, ma si continua a fare ben poco per garantirla realmente.
Succede così che una persona con precedenti per droga e stalking, maniaco delle armi e della forma fisica che aveva apertamente minacciato di morte la moglie, come l'assassino di Volta Mantovana, possa portare a termine il suo progetto in barba ai carabinieri, ai magistrati e ai politici "vicini al territorio" che tutelano la sicurezza solo a parole.
Nessuno lo ha disarmato e messo sotto controllo; forse per menefreghismo, forse perchè le emergenze sono molte e i mezzi con cui farvi fronte pochi, forse perchè mancano strumenti amministrativi o giurisdizionali idonei e nessuno si impegna a crearli.
Senz'altro adesso nessuno pagherà, sempre perchè manca la sensibilità o gli strumenti per dare un pò di giustizia ai familiari delle vittime.
Questi i fatti che succedono in Italia dove il governo del Cavalier Fracassa, nel silenzio di una Lega distratta, sta addirittura pensando di concedere ai reclusi di passare l'ultimo periodo di detenzione ai domiciliari.
Dopo l'indulto una nuova bella pensata per decongestionare le prigioni, invece di stanziare fondi per l'edilizia carceraria.
Questo e altro succede nel paese dove il governo in carica ha tagliato circa un miliardo di euro di finanziamenti alle forze dell'ordine, in Italia e nel far west padano.
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lunedì 19 aprile 2010

Roma - Lazio, e lo chiamano calcio...


Gianni Alemanno commenta il post partita di ieri - Queste violenze non hanno nulla a che fare con il tifo calcistico e con una vera passione per lo sport. Sono sfoghi deliranti di piccole minoranze che inquinano tutto l'ambiente calcistico.
Ariecco il disco rotto, politici (e autorità sportive) che non vogliono ammettere le loro responsabilità e continuano a proporre una falsa rappresentazione di quello che è diventato il fenomeno calcio in Italia.
Gli ultras ormai sono i padroni mondo calcistico; ne dettano tempi, sviluppi e scelte.
Possono anche interrompere le partite, com'è avvenuto sempre a Roma in occasione di un altro derby. Possono intimidire i dirigenti senza pagare dazio. E molti fra questi continuano a mantenere relazioni anche con le frange più estreme del tifo perchè hanno i loro interessi.
I guerrieri della notte dopo le partite mettono sotto sequestro le nostre città, devastano, terrorizzano, a volte ammazzano o ci vanno molto vicini, com'è accaduto ieri sera a una signora che si è trovata nel posto sbagliato al momento sbagliato: in macchina assieme ai figli in mezzo ai trogloditi del 21° secolo.
L'auto ha preso fuoco, poteva rimetterci la vita, è andata bene. Altre volte non è andata bene: Raciti e Gabriele Sandri sono due delle tante vittime uccise dal Dio Palla nel Belpaese.
Qui da noi al Dio Palla si concede tutto, si sacrifica tutto, anche la sicurezza dei cittadini di cui questo governo di peracottari mena continuamente vanto senza aver fatto granchè per migliorarne il livello.
Governo di peracottari e sindaci tromboni come Alemanno, che è andato al potere promettendo che Roma sarebbe cambiata dopo il presunto lassismo di sinistra del periodo veltroniano.
I risultati parlano da soli: dopo due anni i problemi sono ancora lì, se possibile peggiorati. Le donne vengono stuprate come prima e gli ultrà seminano disordini come sempre.
Vorremmo assomigliare agli inglesi, abbiamo messo gli steward negli stadi, ma la realtà è che siamo molto vicini all'Egitto degli scontri di piazza dopo la partita con la nazionale algerina.
Le curve sono monopolizzate dai teppisti e i politicanti non rinunciano a blandirle e corteggiarle, i voti non puzzano mai in Italietta; molti dei supporters che col braccio alzato nel saluto romano festeggiavano nel 2008 la vittoria del buon Alemanno venivano dalla curva.
La Polverini durante la campagna elettorale in curva c'è andata, per non far torto a nessuno si è fatta vedere sia con i tifosi laziali che con quelli romanisti.
La cancrena che divora il calcio non è solo Calciopoli, è anche la presenza di gruppi ultras spesso collegati ad ambienti politici radicali che fanno il bello e cattivo tempo e hanno legami con i manager delle società e con i politici, quelli che prendono le distanze dopo gli incidenti e fanno finta di non conoscerli.
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martedì 13 aprile 2010

Pedofilia e Chiesa: la vecchia belva sotto spoglie d'agnello non è ancora morta

Bertone ieri ha dichiarato - la pedofilia ha un legame con l'omosessualità, non con il celibato dei preti.
E' l'ultima parte di un trittico di esternazioni raggelanti che autorevoli esponenti vaticani hanno fatto negli ultimi giorni.
Lo avevano preceduto Babini, un vescovo a riposo, secondo il quale il caso pedofilia è stato montato ad arte da un complotto sionista, è una congiura degli ebrei che sono deicidi, e padre Cantalamessa, predicatore del Vaticano che con toni accesi da frate medievale aveva accostato le critiche dell'ultimo periodo al papa all'antisemitismo. Non scherziamo...
Cantalamessa canta sciocchezze e nei palazzi del potere cattolico tutti appaiono  molto lontani dall'ammettere le  proprie gravi responsabilità nella copertura dei casi di pedofilia.
La linea ufficiale è quella di sminuirle, tali responsabilità, dimostrando che Ratzinger e gli altri prelati hanno fatto tutto il possibile per punire questi delitti abominevoli.
E' una tesi che cozza frontalmente con le testimonianze e le denunce arrivate da ogni parte del mondo, che mostrano come la preoccupazione dei vertici ecclesiastici fosse più che altro quella di spostare semplicemente i preti accusati di pedofilia da una diocesi all'altra, ovvero infilare la polvere sotto il tappeto.
La tendenza plurisecolare di Santa Romana Chiesa a costituire un diritto separato da quello delle comunità in cui opera si è perpetuata troppo a lungo e ha prodotto effetti devastanti: adesso sarebbe il momento di voltare pagina.
La Chiesa invece si sta ripiegando su se stessa e così facendo allontana la possibilità di recuperare credibilità, prima di tutto nei confronti dei fedeli che sono comprensibilmente avviliti e frastornati.
La Chiesa nega tutto, contraddicendo il valore evangelico del pentimento e con le incredibili dichiarazioni dei Babini e dei Cantalamessa rivela la resistenza, al suo interno, di un lato oscurantista, menzognero e pericoloso. La vecchia belva sotto mentite spoglie di agnello non è ancora morta.
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mercoledì 7 aprile 2010

Chiesa: è inutile nascondere la polvere sotto il tappeto

Puoi ostinarti a infilare la polvere sotto il tappeto ma prima o poi uscirà dai bordi.
Dopo le tante brutte notizie dell'ultimo periodo, per Ratzinger arriva un'altra mazzata: anche in Norvegia si registra almeno un caso di pedofilia.
La storiaccia degli abusi sui minori si allarga a tutto il mondo e si collega ad alcune vicende nostrane: l'assassinio di Elisa Claps (e l'assai probabile depistaggio pilotato all'epoca dall'ambiente ecclesiastico di Potenza), e le nuove rivelazioni sul caso di Emanuela Orlandi.
Quanta sporcizia c'è nella Chiesa - aveva detto il campione dell'antimodernismo alcuni anni fa, prima ancora di salire al soglio pontificio.
Sì Ratzy c'è n'è davvero molta, e la speranza è che  non tutto il male venga per nuocere. Che questi scandali  venuti finalmente a galla abbiano messo fine per sempre all'antichissima tradizione puntualmente osservata da porporati e monsignori: quella di troncare e sopire  per dirla con Manzoni.
E' la tradizione di lavare i panni sporchi di nascosto, escludendo la giustizia secolare e senza riuscire in molti casi a risolvere i problemi; quella di custodire gelosamente i segreti su tutto, certamente non solo su costumi sessuali e devianze dei preti. Chissà cosa si cela negli archivi vaticani...
C'è stata per troppo tempo una cappa di silenzio inaccettabile, che ha retto per le pressioni della gerarchia ecclesiastica, magari accompagnate da somme di denaro elargite sottobanco per essere più persuasivi (com'è accaduto in Norvegia).
Ma ha retto anche per l'accondiscendenza e la passività dei familiari delle vittime, obbedienti talvolta a un malinteso senso di rispetto e fedeltà verso l'istituzione ecclesiale; che dal canto suo non ha mai smesso di inculcare nelle menti dei semplici tale  perniciosa idea, che porta a interpretare qualunque forma di opposizione alla Chiesa come atto sacrilego.
Nessun sacrilegio. L'unica fedeltà accettabile è quella alle proprie convinzioni religiose, le istituzioni invece sono composte da uomini che possono commettere errori e crimini, da denunciare e punire senza sconti.
Il vero sacrilegio è stato compiuto dai responsabili di quegli atti; chi, in Vaticano, sapeva e non è intervenuto con il necessario rigore è responsabile di un'imperdonabile culpa in vigilando. Quindi anche Ratzinger e, se si può dire, papa Wojtila.
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giovedì 1 aprile 2010

Mentre il Caimano affonda le zanne le opposizioni si prendono per i capelli

Ricomincia la cupio dissolvi dei Democratici, i soliti regolamenti di conti tra le fazioni e i loro capi.
Ci sono troppi generali, troppi aspiranti al comando supremo in questo esercito sempre più piccolo e a corto di munizioni.
E il bello è che tutti costoro, a turno, hanno già guidato il partito portandolo inesorabilmente a sconfitte annunciate.
Arieccoli. Dopo le regionali tornano alla carica Walterone  Veltroni e Franceschini: così il partito non va. State bene tesori? Quando lo guidavate voi andava?
Mancano le idee e pure la furbizia è latitante; mentre i Berluscones stanno facendo in silenzio, nel chiuso delle loro stanze, l'inevitabile redde rationem dopo la cattiva performance del PDL,  e con la consueta faccia tosta decantano il grande successo del Centrodestra, i pidini litigano in piazza come massaie livorose.
Così la loro base elettorale, che ancora una volta è mancata all'appello, continuerà a pensare che ha fatto bene ad andare a prendere il sole; l'altro elettorato, quello che dovrebbero conquistare, continuerà a pensare che questa è la vecchia politica, quella delle correnti e delle lotte di potere (ma quale poi, visto che a ogni appuntamento elettorale perdono qualche caposaldo?).
Anche Di Pietro da una mano dall'esterno - bisogna pensare a chi sarà il leader per il 2013.
Sbagliato: prima di tutto bisogna elaborare un progetto, costruire alleanze nel mondo politico e soprattutto nella società civile, altrimenti nel 2013 la vecchia cariatide di Arcore vincerà ancora perpetuando l'incubo nel quale ci troviamo.
Il Caimano. Non era ancora finito il conteggio delle schede che già annunciava le cosiddette riforme e infatti sta portando avanti il DDL sul lavoro che Napolitano ha rimandato indietro.
Poi arriverà il bavaglio alla giustizia e poi il progetto scellerato dell'elezione diretta del premier o del capo dello stato. E chissà cos'altro.
Intanto dall'altra parte si prendono per i capelli e si ficcano le dita negli occhi.
Bersani si affanna, non senza qualche ragione, a dire che si può parlare di un risultato non soddisfacente, ma non di una disfatta, e i suoi critici, che non digeriscono di aver perso il careghino al congresso, invece dicono che è stata una Caporetto. Sono dei veri geni.
Così come si sono dimostrati dei geni, questi bolsi capifazione, nella scelta delle candidature e nella gestione della campagna elettorale. Fosse dipeso da loro la Puglia a quest'ora sarebbe in mano ai Berluscones.
Grazie a loro, alla scelta di quel vecchio arnese di Loiero, la Calabria è passata agli avversari.
Grazie a loro la Bonino ha perso il Lazio e la povera Pezzopane, che si è spesa così tanto per la gente dell'Aquila e meritava la rielezione, è andata a casa.
E' inutile mandare in tivù le faccine pulite dei giovani se poi quelli che conducono il gioco (e sempre più male) sono i soliti noti. Gente sulla scena da trent'anni, cresciuta nella nomenklatura democristiana e comunista, lontanissima dal paese, dall'oggi.
Gente che non ha ancora capito che deve ritirarsi o perlomeno stare zitta per non aggiungere danno a danno. Intanto il Caimano sorride e affonda i denti nel corpo del paese.
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