venerdì 3 luglio 2009

PD: troppi generali per un solo esercito


Il Partito Democratico si prepara al congresso autunnale da cui dovrebbe uscire un nuovo gruppo dirigente stabile, un nuovo segretario stabile, non più pro tempore.
I pidini sperano così che la loro creatura malconcia si rimetta a posto e possa iniziare a fare un'opposizione autorevole al Cavalier Fracassa. Finora nel PD tutto è sembrato pro tempore: segretario, linea politica, tutto provvisorio e precario.
Il problema però è che si stanno preparando all'appuntamento all'insegna della massima divisione. Ogni capo corrente ha riunito o si appresta a riunire i suoi fedeli.
Si schierano le truppe, si distribuiscono le munizioni, si levano gli incitamenti e si studiano le tattiche.
Prima ha parlato Franceschini, poi si sono riuniti i giovani trentenni - quarantenni, i veltroniani e quelli dell'area Bersani, adesso è la volta dei dalemiani che non ci stanno a fare da bersaglio delle critiche per gli ultimi risultati elettorali.
Gli uomini del PD ricordano i dignitari del tardo impero romano che lottavano fra di loro per conquistare la porpora, mandando i propri legionari a combattere contro altri legionari, con i risultati che conosciamo dai libri di scuola.
Nel PD è in corso la gara a capire di chi è la colpa ma si continua a parlare poco di politica, di programmi. E c'è anche un difetto di comunicazione verso l'esterno.
I media sono ovviamente interessati a spettacolarizzare i contrasti per motivi commerciali o di convenienza politica, però hanno solo una parte di responsabilità.
I generali del Partito Democratico infatti proprio non riescono a evitare di prendersi per i capelli: le divergenze, politiche e soprattutto personali, sono troppo sedimentate dopo anni o decenni di convivenza e non riescono a gestirle con un minimo di astuzia.
A destra si odiano però fanno buon viso a cattivo gioco illudendo l'elettorato che si vogliono bene; a sinistra si odiano e non fanno proprio niente per nasconderlo.
A destra abbiamo due formazioni che danno un'immagine di notevole compattezza; un partito popolare radicato sul territorio (Lega) e il PDL, il partito del leader carismatico come dicono gli stessi Berluscones: traducendo, un partito nel quale per sopravvivere bisogna obbedire ciecamente ai voleri del capo.
Nel campo riformista invece le divisioni politiche (che certo, in un partito sano non possono non esistere) si trasformano in duelli all'ultimo sangue sotto gli occhi di tutti, quando non sfociano nelle scissioni. E' un film già visto.
Sta di fatto che il PD a due anni dalla nascita è ancora l'omnibus della politica italiana: non ha un'identità netta e quindi non viene capito all'esterno, condicio sine qua non per iniziare a recuperare voti in un frangente della vita nazionale che potrebbe aprire autostrade per mettere in difficoltà Berlusconi.
A meno che non si consideri determinante per crescere il giovanilismo o l'aspetto della simpatia del leader, come ha suggerito miss preferenze Debora Serracchiani che in termini di profondità di analisi evidentemente deve ancora maturare.
La strada è lunga ma mi pare che i pidini non la stiano affrontando nel modo giusto; resta da vedere se da questo scontro di generali emergerà l'uomo della riscossa o quello della disfatta: un Diaz o un Badoglio.
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