venerdì 27 novembre 2009

Siamo un popolo di poca fede, ma in compenso tanto devoti

Alcune notizie in ordine sparso.
Marrazzo, dopo aver chiesto scusa alla famiglia e agli amici si scusa anche con il Pontefice; ha fatto atto di contrizione con tutti tranne che con gli elettori.
Il consiglio regionale del Friuli ha approvato una delibera per esporre il crocefisso nell'aula. Il crocefisso sì, la foto di Napolitano no.
Un sindaco sardo udiccino a sua volta ha imposto l'esposizione della croce in tutti gli uffici pubblici: sanzione di 500 euro per i trasgressori.
Dopo i consueti tira e molla, la commissione sanità del senato ha sospeso la somministrazione della RU486 in attesa che il governo si pronunci, e non è difficile immaginare quale sarà il suo parere. Siamo un popolo di poca fede ma molto ossequiente nei confronti del Vaticano.
Un consigliere PD friulano ha ricordato le parole di Don Milani - meno crocefisso e più Vangelo. Il richiamo è ineccepibile ma ovviamente è destinato a restare lettera morta.
In Italietta c'è molto pubblico tributo ai simboli esteriori della fede (che conviene a fini elettorali) e molto poca reale condivisione dei valori del Cristianesimo.
Tutti i partiti a turno si espongono con prese di posizione spericolate e grottesche per difendere le cd. tradizioni del popolo italiano; oppure temono di inimicarsi il Vaticano o ferire la sensibilità cattolica, ammesso che esista veramente e sia così determinante per vincere le elezioni.
Balbettano e sono incapaci di portare avanti una linea chiara. Ogni riferimento al PD è puramente voluto. Bersani sulla faccenda del crocefisso è stato quanto mai prudente; il suo partito, nella problematica del testamento biologico come su altre, si è rivelato indeciso a tutto.
Italiani gente di poca fede, ma in pubblico sono assai devoti. Si sentono tranquilli e fortificati quando la forma viene rispettata, ma nella sostanza sono assai carenti.
I pagliacci in camicia verde vogliono limitare la cassa integrazione ai lavoratori stranieri, decisione questa che giuridicamente parlando sarebbe incostituzionale; ma che inoltre sarebbe palesemente anticristiana. Le folle che li votano sono senz'altro d'accordo.
Papa Ratzinger invita all'accoglienza dello straniero, in particolare dei minori migranti; vediamo se Bossi dirà qualcosa.
In precedenza, quando a criticare la politica dei respingimenti era stata la CEI, i leghisti avevano risposto che i "vescovoni" se li dovevano prendere a casa loro gli extracomunitari. Le folle dei buoni cristiani padani avevano applaudito con vigore.
Berlusconi stesso, fra un'orgetta con le prostitute e una passeggiata per l'Aquila con la croce in mano davanti alle telecamere (ancora questa croce), ha detto che l'Italia non è una società multietnica.
Negando l'evidenza dei fatti. Sarebbe come dire che lui non è un puttaniere incallito. Parliamo del leader politico sostenitore, con il Casini separato, del Family Day.
A molti italiani va bene così: in apparenza la morale convenzionale e il comune senso del pudore sono rispettati, finchè non salta fuori qualche scandaletto o scandalone a generare un momentaneo subbuglio. Solo un momentaneo subbuglio. Questi leader sono come loro.
Nella Prima Repubblica la coesistenza di un'area politica laica ben definita e di un partito cattolico pragmatico come la DC, aveva garantito un equilibrio fra le varie componenti della società.
Anche allora c'erano molti atei devoti, ma non erano mai stati spudorati come oggi. Anche all'epoca vi sono state battaglie dure e decisioni difficili, ma nel complesso il motto pluralista vivi e lascia vivere era rispettato.
Invece nell'Italia bigotta di oggi, piena di ciavacristi come si dice dalle mie parti, l'aria puzza sempre più di sacrestia e moralismo d'accatto, ed è sempre meno respirabile non solo per i laici ma anche per i veri cristiani.
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domenica 22 novembre 2009

Sanremo 2010, dialetto e altre pagliacciate


Sanremo è sempre Sanremo. Ogni anno ne inventano una nuova. L'anno scorso polemiche per la questione spinosa dell'omosessualità trattata da Povia. Quest'anno, a tenere banco parecchio tempo prima che inizi la manifestazione è il dialetto.
La direzione artistica ha modificato il regolamento aprendo alla canzone dialettale; in questo modo spera di tenere desta l'attenzione del pubblico con uno dei temi dell'anno,  per rimpinguare gli ascolti di un evento che ha perso da tempo l'antico splendore; è il marketing bellezza.
Una volta erano le tettine delle vallette a svolgere una funzione promozionale, adesso serve qualcosa di più hard, che faccia litigare per bene,  e non c'è niente di più hard dell'attualità politica.
E poi strizzare l'occhiolino al potere non fa mai male, anzi aiuta a conservare la poltrona o ad occuparne altre in futuro.
Il leader dei militi padani Bossi, dopo aver ottenuto la sua Bollywood, il cinema etnico del Nord, aveva espresso il desiderio di ascoltare canzoni in dialetto ed è stato accontentato.
Con lui anche Zaia, ministro dell'agricoltura ma al tempo stesso difensore appassionato delle culture locali. Proviamo a immaginare i partecipanti di un Sanremo in versione etnica.
Jannacci per il fronte Lumbard, i Pitura Freska per il Veneto...Anzi no, sono troppo di sinistra; meglio resuscitare i trevigiani Jalisse o i veronesi Sonhora, facendogli comporre in fretta e furia una canzone ad hoc. Per le Puglie andrebbe benissimo l'inossidabile Albano, Caparezza no per lo stesso motivo dei Pitura Freska.
A rappresentare la Sardegna i Tazenda, per l'Emilia Romagna invece la scelta si fa dura: Morandi? Dalla? O Guccini, che d'accordo è un comunista e però ha raggiunto una tale statura artistica da farsi perdonare una simile macchia nella sua vita?
Per Genova andrebbe benissimo Cristiano De Andrè con una versione riarrangiata di un pezzo in ligure di suo padre; per la Campania c'è solo l'imbarazzo della scelta.
Per quanto riguarda altre regioni invece, ad esempio Umbria, Basilicata o Abruzzo, la vedo difficile, ma magari si può risolvere il problema facendo esibire qualche simpatico gruppo folkloristico in costume.
Certo, un Sanremo federalista propone risvolti complessi; ad ogni canzone servirà il sottotitolo in italiano e in inglese per gli (scarsi) spettatori esteri.
La giuria dovrebbe essere composta da una persona in rappresentanza di ogni regione; ciascun giurato dovrebbe dimostrare di avere un'adeguata competenza non solo nella musica, ma anche nel dialetto perchè altrimenti non potrebbe esprimere una corretta valutazione filologica.
Il televoto andrà gestito con attenzione, perchè la Lombardia ha più abitanti del Molise o dell'Abruzzo: ci vorrà qualche criterio per compensare, la costituzione americana può offrire qualche spunto utile.
Come affrontare poi il tema delle minoranze linguistiche come i ladini e gli altoatesini, che hanno specifica tutela nella costituzione?
Andranno ammessi anche loro, facciamo attenzione altrimenti rischiamo di mandare in onda un Sanremo incostituzionale.
E la sezione nuove proposte? Per essere ammessi i giovani cantanti dovranno dimostrare prima di tutto un'adeguata conoscenza del dialetto, dato che le nuove generazioni, ahimè, tendono a non parlarlo più.
Auspichiamo inoltre fair - play da parte di tutti; qualora il festival lo vinca un napoletano, dai bergamaschi e dai milanesi ci aspettiamo un applauso sincero e non fischi e critiche.
L'Italia non riesce proprio a tenersi alla larga dalle pagliacciate, ci si butta dentro con convinzione e si divide a polemizzare sul nulla.
Mentre si propone l'ingresso del dialetto a Sanremo ci sono comuni che si preparano a emettere atti ufficiali in lingua locale.
Siamo un paese dove il livello medio di conoscenza dell'italiano tende miseramente verso il basso, a testimonianza del fallimento del nostro sistema educativo.
Non parliamo dell'inglese, lingua la cui conoscenza è assolutamente necessaria nel mondo globalizzato; siamo ancora al livello di quel vecchio spot - two gust is megl che uan.
Ma Bossi, Zaia e la tutta la falange dei militi padani vogliono recuperare i dialetti dando origine a quella che sarebbe una babele inestricabile, e dimenticandosi una cosa fondamentale che insegnano gli studiosi che certe materie le studiano con reale competenza: un dialetto vive se è parlato quotidianamente dalla comunità locale. Diversamente è destinato ad estinguersi com'è accaduto innumerevoli volte nella storia. Questo, bello o brutto che sia, è il processo in corso nel nostro paese da decenni.
Italiani, per una volta almeno siamo seri.
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giovedì 19 novembre 2009

L'acqua cosa nostra è!

Veolia ringrazia. Hera e Amga ringraziano. Gli speculatori e le imprese interessate a fare dell'acqua un grande bisinès esprimono gratitudine al governo italiano.
L'iter parlamentare della privatizzazione dell'acqua è arrivato al termine. Il Cavalier Fracassa ha posto per l'ennesima volta la fiducia impedendo al parlamento di discutere un tema tanto delicato, e a quel barlume di pubblica opinione ancora esistente di farsi un'idea sui pro e i contro, sulla posta in gioco. La nostra democrazia è al confino, non è una novità.
Nella Repubblica 2.0 le camere fungono solamente da notaio che ratifica le decisioni prese in consiglio dei ministri o a palazzo Grazioli.
Come potrebbe fare un assicuratore imbroglione la maggioranza ha nascosto il Decreto Ronchi in mezzo a un altro provvedimento che non c'entrava niente, sperando che nessuno se ne accorgesse.
Ma non è andata così e persino in una maggioranza zeppa di lobotomizzati nominati solo per votare sì a ogni passaggio parlamentare, qualcuno si è posto delle domande.
Perfino i leghisti, abitualmente molto accondiscendenti verso i desideri di Berlusconi, hanno dei dubbi, come ha chiarito il vicepresidente del gruppo leghista alla camera. Perfino loro!
Il progetto parte da lontano, perchè non hanno parlato prima? E perchè i pidini non hanno detto qualcosa prima?
Perchè i pidini che ora s'indignano hanno votato a favore di questa scelta  nell'Agosto 2008, in occasione della cd. finanziaria triennale di Tremonti? Sono dubbi e indignazioni tardive e ipocrite; il dado è tratto.
Il fatto, al di là delle fin troppo scontate considerazioni di metodo, circa lo stravolgimento delle  corrette prassi istituzionali consolidatosi in Italia, dimostra la crescente virulenza di certi fenomeni, che minacciano la corretta distinzione fra interessi pubblici e privati. E ci preparano un futuro cupo.
La classe politica è passiva, se non complice, delle operazioni che i grandi potentati privati mettono in piedi per fare profitto. Il primato della politica forse non è mai veramente esistito, ma ora è senz'altro scomparso dalla scena.
Non è solamente un problema italiano, ma una questione complessa che investe tutte le democrazie moderne. E' sempre più difficile rintuzzare certi assalti, conciliare la spinta al profitto con gli interessi generali. Distinguere fra ciò che è bene pubblico e ciò che invece può essere oggetto di una legittima attività d'impresa.
Le grandi corporations, nazionali o multinazionali, oggi dettano l'agenda politica.
Da questo punto di vista, la teorizzazione tremontiana (il regista dello sciagurato provvedimento sull'acqua) di un recupero di potere a favore dello stato, contro le logiche liberiste che condizionano iniquamente la vita delle nazioni fa semplicemente sorridere.
Le grandi aziende riescono quasi sempre a piegare i governi alle loro esigenze.
E' lo stesso Turbocapitalismo responsabile della recessione globale, che è maturata lentamente negli anni grazie a questa accondiscendenza degli stati.
Nel XXI secolo (dopo una fase di gestazione negli ultimi vent'anni del secolo scorso) ha prevalso l'idea che tutto può diventare una merce, che tutto può essere comprato e venduto. Che ogni cosa può avere un prezzo.
Sparisce la nozione di diritto fondamentale della persona umana, sparisce l'idea che esistano beni pubblici indisponibili. La salute non è più intesa come un diritto e  perciò come oggetto di una prestazione che il soggetto pubblico deve garantire a tutti, ma come una merce: provocando il disastro sociale che vediamo in America.
L'acqua non è più un bene pubblico rispondente a un'esigenza primaria delle persone, è un prodotto che si può scambiare sul mercato.
I difensori del libero mercato diranno senz'altro che il privato lo fa meglio, ossia con maggiore efficienza e a costi più contenuti; anzi dai banchi della maggioranza hanno già iniziato.
E' un vecchio e superato postulato ideologico, che può essere tranquillamente smentito con decine di esempi. Nei paesi dove il ciclo idrico è stato liberalizzato le bollette hanno subito rincari astronomici.
Ma il problema di fondo che scaturisce dalla privatizzazione dell'acqua è che si riducono sempre più gli spazi pubblici e i diritti delle persone, come Naomi Klein fra gli altri aveva esposto con lucidità e semplicità esemplare in No Logo.
Nella battaglia nazionale sull'acqua, se non ci sarà un'inversione di rotta ci perderà la politica e quindi ci perderemo tutti.
Le multiutilities, versione moderna e legale dell'antica mafia dell'acqua siciliana, potranno dire - finalmente anche l'acqua è cosa nostra.
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domenica 15 novembre 2009

Illegalità 2.0


Nella prima repubblica si rubava e si corrompeva; le tangenti giravano in un loop vorticoso,  gli interessi dei partiti e di singoli uomini politici venivano anteposti molto spesso agli interessi generali.
Però l'impianto delle leggi e della costituzione non veniva toccato. Formalmente le regole della democrazia italiana, dello stato di diritto, erano rispettate.
L'avvento di Berlusconi ha cambiato in modo radicale il gioco e le sue regole. E' stato un upgrade dalla repubblica 1.0 alla repubblica 2.0.
Dall'illegalità versione 1.0 alla 2.0, quasi quasi si rimpiange il vecchio pentapartito e il CAF. Oggi infatti si è perso anche il senso del pudore e si va a intervernire sfacciatamente sulle leggi per garantire l'improcessabilità di Berlusconi, ma non solo di costui. Infatti il progetto del del processo breve avvantaggia tutta la casta dei mandarini al potere.
Mentre il lodo Alfano era una schifezza con un limitato raggio d'azione, perchè assicurava l'immunità solo ad alcune cariche istituzionali, questo nuovo  tentativo di evitare al Cavalier Impunità possibili condanne nei processi può coprire qualsiasi uomo politico implicato in episodi di malaffare, dal sindaco al consigliere regionale, dal parlamentare al sottosegretario.
Mentre il lodo Alfano discriminava fra le quattro maggiori cariche dello stato e tutti gli altri cittadini, questo invece discrimina fra i politici e la collettività nel suo insieme, tanto che qualche giurista sta già sollevando i primi ovvi e pesanti dubbi sulla legittimità costituzionale di un simile intervento.
La concezione personalistica e autoritaria del potere del Cavalier Sfasciatutto non può contemplare limitazioni, contrappesi istituzionali.
Da lungo tempo va avanti un attacco molto determinato alla costituzione, definita addirittura filosovietica da Berlusconi in uno dei suoi sproloqui pubblici, e ai poteri diversi  dall'esecutivo: magistratura, corte costituzionale, presidenza della repubblica.
Tutto ciò mentre le camere ormai sono esautorate, dovendosi in gran parte limitare ad approvare decreti su cui viene richiesta puntualmente la fiducia. E' la repubblica 2.0.
E' un luogo nel quale il premier, leader carismatico di partito come è stato detto con convinzione dagli stessi esponenti del centrodestra, fa ciò che vuole e accetta soltanto un rapporto diretto con il corpo elettorale, il quale comunque per non correre rischi viene opportunamente lobotomizzato da un'informazione compiacente.
Oppure viene sedotto con l'idea che un progetto come il processo breve può avvantaggiare tutti; se si stabilisce che i processi per una certa fascia di reati non possano durare più di sei anni, in un sistema giudiziario privo di mezzi come quello italiano, si offre ai cittadini una contropartita, in maniera obliqua ma chiara.
Lasciate che faccia, che tanto questa cosa va anche a vantaggio vostro. Potrete delinquere più facilmente, con maggiori possibilità di farla franca.
Gli estorsori, i bancarottari, gli spacciatori e molti altri stanno già facendo i calcoli. In un'Italia con un senso della legalità così fragile la tentazione di lasciarlo agire può essere irresistibile.
Questo è al netto di tutto il filo conduttore fra lo scudo fiscale, ennesimo esempio dell'italica patologia condonista, e il processo breve. Fra i molti tentativi di Berlusconi di tagliare le gambe alla magistratura, come la ex-Cirielli e il disegno sulle intercettazioni, e il processo breve escogitato dal suo consigliori Ghedini.
L'illegalità 2.0., a beneficio della casta ma in fin dei conti a vantaggio di tutti. E' un altro miracolo dell'uomo del fare.
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lunedì 9 novembre 2009

Attenti, la "polisia" veneta s'incazza

Alla fine la polisia s'è incazzata davvero; non quella dello stato italiano ma quella dei Veneti. Quella del gruppo indipendentista che sogna la rinascita della gloriosa repubblica di S. Marco.
Sono passati diversi anni dall'impresa dei Serenissimi, che erano riusciti a portare un poderoso carro armato in pura latta, il famoso tanketo, dritto nel cuore di Venezia e poi si erano barricati sul campanile di S. Marco con qualche panino e un vecchio malmesso Mab, non più in grado di sparare dagli anni 60.
I Serenissimi avevano compiuto un'azione dimostrativa (e surreale) pagando, a mio parere, un prezzo troppo alto in un paese dove non si riesce a tenere in galera persone che hanno compiuto atti molto più gravi.
Ma se entra in gioco la politica anche una compagine sgangherata come quella dello stato italiano si ricompatta e mostra il volto della fermezza.
Ogni tanto mi chiedevo quanto tempo ci sarebbe voluto, quando sarebbe venuto alla luce un altro gruppo di esagitati.
Alla fine la questura di Treviso ha smascherato un nuovo gruppo paramilitare; ma la polisia voleva fare le cose più in grande e si era attrezzata di conseguenza.
Aveva comprato armi e divise, aveva stabilito gli stipendi per i membri (3000 euro al mese più 1000 euro di indennità di rischio, mica male) e pare che volesse fare un attentato, o magari solo inscenare una protesta teatrale, contro Luca Zaia considerato non abbastanza veneto. I magistrati stabiliranno l'esatta dimensione delle cose.
Spiazzato il ministro - ma come, se ho anche proposto l'introduzione del dialetto nelle scuole - ha detto; caro Zaia, c'è sempre qualcuno più duro e puro di te che ti epura.
Infatti il vecchio grido dei militi in camicia verde Roma ladrona ormai è out; la polisia preferisce Roma annessionista: i suoi simpatizzanti vogliono l'annullamento del plebiscito del 1866. Niente di meno.
Dove saranno finite le schede? E chi farà il riconteggio? Proposta: affidiamolo a una commissione paritetica (romani e veneti) con la supervisione di osservatori dell'Onu. Può andare?
A sinistra (o a destra?) della Lega è nata una nuova costola più radicale. Fra i promotori un ex poliziotto che il corpo, nove anni fa, ha espulso per disperazione dopo una raffica di provvedimenti disciplinari. Questo era il ministro degli interni della futura repubblica veneta.
Il capo della polisia invece era il comandante dei vigili di un comune della provincia di Treviso. Due esperti della materia.
Dietro di loro a quanto si ipotizza la LIFE, il sindacato degli imprenditori nordestini protagonista anni addietro della rivolta fiscale, che però ora prende le distanze.
Alla polisia l'appoggio della Life interessava per i quattrini da destinare agli stipendi dei membri. Erano già 80, fra loro molti disoccupati attirati dalle cifre interessanti in ballo, che evidentemente non si sono chiesti come potesse stare in piedi una buffonata simile.
Pare comunque che solo un benefattore abbia messo una mano sul cuore e una nel portafoglio scucendo 2000 Euro. Gli imprenditori veneti mica sono mone.
Va bene la rivoluzione, ma gli schei sono schei. E l'Italia certamente non è un paese di rivoluzionari. Pittoreschi però sì, lo siamo sempre.
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giovedì 5 novembre 2009

Crocifisso, l'Italia s'indigna per niente

Maurizio Gasparri: quella sentenza non va rispettata. E infatti: il sindaco di San Remo ha scritto alle scuole del comprensorio per invitarle ad appendere i crocifissi ovunque.
Il sindaco di Montegrotto (Padova) ha detto che non lo toglierà e chissà quanti altri amministratori si preparano alla rivolta contro i giudici "laicisti" di Strasburgo. Sono i Sanfedisti del nuovo millennio.
Quella sentenza non va rispettata: e ci mancherebbe. Quando mai i politicanti italiani, soprattutto a destra, hanno rispettato una sentenza?
Fra l'ennesima gasparrata e la dichiarazione di Berlusconi - non mi dimetterò anche se venissi condannato - non c'è differenza.
Le uniche sentenze giuste sono quelle in sintonia con i desideri di chi comanda o quelle di assoluzione dai reati, sempre che non scatti qualche prescrizione studiata ad arte per vanificare i processi. O al contrario, quelle che condannano gli avversari.
Le altre, che vengano dalla Consulta, dalla magistratura ordinaria o dalla Corte di Strasburgo, non vanno bene.
E', diciamo, una cultura della legalità a intermittenza, naif come quasi tutto ciò che partorisce questo meraviglioso paese di cialtroni.
Perciò i credenti di che si preoccupano? Di che s'indignano? Il crocefisso resterà. Come ha detto una signora in tivù - ne abbiamo bisogno - cioè ne abbiamo bisogno sempre e comunque, anche nelle aule scolastiche o di tribunale. E' come la copertina di Linus.
E' una grande levata di scudi in un paese la cui fede, come in tutto l'Occidente del resto, da molti anni ormai è decisamente annacquata.
Nel paesello del cattolicissimo Veneto dove vivo io solo 1/5 dei residenti va in chiesa alla Domenica.
I banchi dei templi sono vuoti, le vocazioni languono tanto che qui e là cominciano ad apparire sacerdoti africani, con grande scorno dei razzisti padani. Non solo le aziende ormai hanno bisogno di forza lavoro immigrata.
Eppure quando qualcuno rimette in discussione la legittimità dell'esposizione di un simbolo religioso in un ufficio pubblico, gli italiani si riscoprono credenti.
Pazienza per i politici; quelli sono atei devoti, difendono gli interessi della Chiesa in uno stato che invece, Costituzione alla mano, è laico, per ottenere simpatie e voti, benedizioni elettorali, anche se il loro agire spesso non rispetta i principi professati ufficialmente.
Perfino un frequentatore di minorenni e puttaniere incallito come Berlusconi può manifestare indignazione verso l'Europa, e passarla liscia davanti a un'opinione pubblica che invece dovrebbe rilevare immediatamente la sua incoerenza.
Ha ragione quel sacerdote della mia Treviso che sempre davanti alle telecamere ha detto - il crocefisso andrebbe tolto proprio dai palazzi del potere; andrebbe tolto perchè lì Cristo non ha cittadinanza.
Ma la gente, questa sì che sorprende. Il crocefisso è un simbolo che appartiene alla tradizione dell'Italia come di tutto l'Occidente, nessuno può o vuole negarlo.
Ma è una forzatura sostenere che l'imprinting dell'Europa sia solo nel Cristianesimo. Chi lo pensa studi un pò meglio la storia e la filosofia.
E' anche una forzatura dire, come fa l'illustre Gelmini, che la presenza dei crocifissi nelle scuole non significa necessariamente aderire al Cristianesimo, ma confrontarsi con la nostra tradizione. No Gelmini, parliamo di un simbolo che prima di tutto è religioso.
I simboli di fede, sia essa cristiana o musulmana o ebraica o chissà cos'altro, non dovrebbero essere esposti nelle scuole o nei tribunali.
Esporli significa assumere che esista una legge, nel nostro caso quella divina nella sua versione cristiana, superiore rispetto alle leggi dello stato o alla cultura umanistica e scientifica insegnata nelle scuole.
Sulla reale esistenza di tale legge cristiana trascendente (ma il ragionamento vale per qualunque altra religione) non c'è e non ci sarà mai accordo totale fra gli uomini.
Le uniche regole necessarie ad organizzare la vita della società, sono quelle che gli uomini si danno attraverso le istituzioni che hanno creato. Regole condivise per la casa di tutti.
Se lo stato è la casa di tutti e tutti vi si devono poter riconoscere, imporre il simbolo di una religione negli uffici pubblici è sbagliato.
Soprattutto, uscendo dalla teoria, in una realtà come quella di oggi dove ai laici e agli atei si sono affiancati nuovi gruppi di persone di religione diversa.
Ma la gente si tranquilizzi perchè le sentenze non devono essere rispettate, Gasparri dixit. Il crocifisso resterà per la gioia di tutti i fedeli, quelli veri e quelli falsi.

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lunedì 2 novembre 2009

KKK Italia: non ci facciamo mancare proprio niente


Ci mancavano soltanto loro; anche in Italia abbiamo il Ku Klux Klan. La notizia è apparsa oggi su Repubblica.
Però da una visita veloce a un paio di forum neonazi (veloce perchè il mio stomaco non resiste molto in questi casi), viene fuori che l'organizzazione era presente già da un pò. Non si sa con quale fortuna in termini di iscrizioni, forse solo i tre che appaiono nella foto. Dopo Halloween perciò abbiamo importato anche questo pezzo di America.
Alcuni blog ne stanno parlando ma non pubblicano il link per non dargli visibilità. Non ne vedo il motivo: il link è questo.
Scorrendo la lista dei paesi affiliati si vede anche la bandierina tricolore, cliccandoci sopra ci si ritrova nella pagina della sezione italiana, dove in calce alle solite affermazioni da neurodeliri c'è anche un'e-mail. Chi vuole può inviare qualche pensierino che gli dimostri tutto il nostro calore e partecipazione per la loro causa.
Anche gli italiani sono stati premiati con l'ammissione all'esclusivo circolo internazionale del razzismo doc.
Don Black, leader del Klan statunitense mesi fa lo aveva detto a Mario Calabresi di Repubblica: c'è molta eccitazione sul nostro sito per quello che sta accadendo da voi, siete i primi a reagire e a dimostrare che non vi fate sottomettere dagli immigrati.
Il virus della xenofobia che ha contagiato l'Italia può avere il volto falsamente rispettabile delle ronde oppure può produrre queste manifestazioni estreme, come nel caso della Guardia Nazionale Italiana di alcuni mesi fa.
E c'è poi un altro filo conduttore fra la paccotiglia veterofascista ostentata dalla milizia di Saja e questo strambo misticismo, questa sub-cultura che parla di fratellanze fra cavalieri , difesa dell'identità bianca e della religione cristiana; fra i cappelloni col frontino rigido e i cappucci dei klansmen all'amatriciana: l'effetto grottesco, irresistibilmente ridicolo.
Comunque sia una volta eravamo italiani brava gente, adesso lo siamo di meno; siamo certamente molto più brutti e cattivi.
Certi episodi sono notizie da quinta pagina di cronaca? Espressioni di folklore degenerato? Può essere ma non si sa mai. Non si sa mai che cosa può germinare da un seme malato.
Vedremo se verrà aperta qualche inchiesta, dato che la legge italiana punisce l'incitazione all'odio razziale.

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