martedì 22 giugno 2010

I giovani del PD battono un colpo, ma sbagliato.

Allora la parola compagni non si può più usare.  Per par condicio nemmeno la parola amici, perchè se la prima rimanda al passato comunista la seconda richiama invece il passato democristiano, che non è stato questo granchè.
Si potrebbe recuperare il termine cittadini, ma non va bene neanche questo perchè lo si utilizzava nella rivoluzione francese e qualcuno potrebbe associarlo al terrore robespierrista.
In certi ambienti della destra invece si autodefiniscono con orgoglio camerati (e giù pacche sulle spalle) senza farsi tanti problemi.
Dopo il coinvolgente dibattito sulla presenza dei massoni nel PD, è la volta di un'altrettanto affascinante diatriba su come si devono chiamare i pidini fra di loro. I giovani del partito hanno finalmente parlato e hanno scelto il tema giusto, quello che sta a cuore a tutti.
Non la vicenda di Pomigliano, non la manovra finanziaria che taglia le gambe a un paese già in grande difficoltà, non i problemi delle nuove  generazioni di cui fanno parte, ma una questione nominalistica: come possiamo chiamarci fra di noi?
Compagni non va bene perchè lo usavano i comunisti, è roba del passato e per loro - nativi del PD - sono concetti che non rientrano nel - loro pensare politico.
Quale sia però tale pensare rimane un mistero per molta gente; non solo per quella quota di elettorato centrista che il PD vorrebbe sottrarre al Centrodestra, ma anche alla stessa base di Centrosinistra che sempre più stanca e confusa non va neanche più a votare.
Il PD continua a essere un omnibus che con inarrivabile masochismo perde tutte le occasioni migliori per riprendere in mano il discorso politico nazionale: la privatizzazione dell'acqua e la picconata ai diritti sindacali in corso a Pomigliano, tanto per fare due esempi.
Il problema dei problemi invece è la parola compagni; questi ggiovani forse nella loro letterina sono stati ispirati da una manina terza per mettere in difficoltà Bersani, che secondo qualcuno sta tingendo troppo di rosso la linea del partito (e stiamo freschi!).
Senza dubbio però gli sfugge che tale parola richiama un senso di solidarietà e fratellanza fra gli umili e gli sfruttati, che ha cementato la lotta per l'emancipazione di intere generazioni in tutto il mondo: anche a prescindere dall'adesione all'ideologia comunista.
E gli sfugge anche che nel mondo odierno, dove  pronunciare la parola compagni è out, lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo è invece ancora attuale, anzi riprende pericolosamente vigore.
Ma forse sono troppo impegnati a postare video su You Tube e pensano che la politica si fa solo con Twitter o Facebook. E' questo il nuovo che avanza?
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mercoledì 16 giugno 2010

Pomigliano, perchè secondo me la FIOM ha ragione

Premessa: a mio parere il mondo sindacale, con qualche lodevole eccezione, negli ultimi vent'anni ha sbagliato molto. Non mi entusiasma l'idea di farne il difensore d'ufficio.
A volte è apparso troppo conservatore, troppo attento a tutelare "a prescindere" il lavoro a tempo indeterminato, sia nel pubblico che nel privato, i diritti di chi almeno in teoria era già a posto.
Viceversa è stato disattento verso la precarizzazione che cominciava a prendere piede già nella seconda metà degli anni '90.
Il precariato ha asfaltato chi  ha un'età compresa fra i 25 e i 35 anni, tutta la generazione che ha terminato gli studi negli ultimi anni e si trova con molti meno soldi e molte meno prospettive degli altri; almeno fino alla recessione che ha determinato un'ulteriore rimescolamento delle carte spingendo sull'orlo del burrone anche i loro padri, nonni e fratelli maggiori.
La negazione del futuro ai giovani è la vera macelleria sociale di lungo termine dell'Italia, è forse più di ogni altra cosa il segno della decadenza in cui ci dibattiamo, altro che evasori fiscali come dice Draghi. E su questo i sindacati qualche ammenda la devono fare.
Mentre i ras sindacali al momento di rinnovare i contratti collettivi negoziavano le migliori condizioni possibili per i lavoratori del metalmeccanico o del pubblico impiego, esplodeva il fenomeno dei contratti atipici che imprigionano in via permanente i più giovani.
Mentre le sacche di povertà aumentavano e mancavano forme efficaci di rappresentanza dei nuovi interessi, i sindacati difendevano i fortini, le vecchie sacche di privilegio e il loro potere residuo.
Negli ultimi due anni il caso esemplare da questo punto di vista è stato Alitalia, la cui stramba conclusione a favore della cordata dei volenterosi berlusconiana è stata favorita anche dall'ostracismo sindacale, dai sindacati del no a prescindere.
Detto questo la FIOM sulla trattativa per Pomigliano ha ragione. Ciò che la FIAT vuole imporre con una logica ricattatoria (o così o ce ne andiamo in Polonia) è un nuovo modello di relazioni industriali dove i diritti fondamentali dei lavoratori sono sostanzialmente cancellati.
Molte concessioni e sacrifici si possono fare ed è giusto fare, ma cancellare il diritto di sciopero o stabilire che se il tasso di assenteismo va oltre una certa soglia non verranno più pagate le indennità di malattia è troppo. E oltretutto è incostituzionale.
Nessuna legge, nessun contratto aziendale, nessuna trattativa nazionale può derogare ai diritti costituzionali all'indennità di malattia o di sciopero.
Nessun sindacato degno di questo nome può accettare che un'azienda valuti con l'ampia discrezionalità  indicata da FIAT se una RSU o un singolo lavoratore si sono posti in contrasto con l'accordo, e quindi multare la prima e licenziare il secondo in libertà.
C'è uno strano parallelismo fra il meccanismo derogatorio del piano FIAT e i continui attacchi alla costituzione di Berlusconi; ormai la nostra carta costituzionale, per una parte della classe politica e del management delle aziende, è evidentemente un optional o un intralcio che si può scavalcare con assoluta disinvoltura.
E il modello di relazioni industriali targato FIAT, che oggi si vuol far passare in via eccezionale a Pomigliano con la complicità di una parte del mondo sindacale che ha interesse a isolare la CGIL, domani potrebbe essere generalizzato, imposto ovunque in nome dei sacrifici necessari per mantenere la competitività.
Ci allontaniamo dall'occidente e ci avviciniamo alla Cina, rischiamo sempre più di essere, come dice Beppe Grillo - i cinesi d'Europa.
Adesso la FIOM è isolata, è stata messa da tutti nell'angolino dei cattivi, ma forse l'episodio di Pomigliano è il primo segnale del risveglio di una coscienza sindacale più vera, più autentica.
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venerdì 4 giugno 2010

Libero pubblica i discorsi del Duce: il passato non passa mai

Non passa mai 'sto passato, ci viviamo immersi, è eterno. E ha rotto le scatole.
Libero sforna 6 DVD che raccolgono i capolavori di ars oratoria e di filosofia politica di Benito, e li regala addirittura. Ma allora è poi davvero in crisi la carta stampata?
Forse Capitan Belpietro ha partorito la grande idea davanti allo specchio, durante la rasatura mattutina. La vista del suo mascellone, così simile a quello di Lui, potrebbe averlo ispirato.
Belpietro ha trovato un modo nuovo di sfrizzolare l'ombelico degli affezionati lettori di Libero.
Ovvero il popolino della destra nostrana, che confonde l'essere conservatori nell'Europa del nuovo millennio con le nostalgie verso il passato in camicia nera che accomunò metà del continente negli anni '30.
Quale sarà la prossima iniziativa editoriale? Una collezione di fez, gagliardetti e pugnali distribuiti in una trentina di uscite?
O una serie di braccialetti anticomunisti, talismano indispensabile per chi teme la resurrezione del socialismo reale, come le corone d'aglio per scacciare i vampiri?
Sono passati 60 anni ma sembra ancora ieri, anzi sembra oggi, la storia non scorre in casa nostra, non ne vuole sapere di finire nell'archivio.
Il merito del curioso fenomeno è senza dubbio del nano di Arcore, che fin dalla sua discesa in campo fra noi comuni mortali ha costruito la mitologia della nuova destra sullo scontro fra comunisti e anticomunisti, proprio come nel '48.
La distanza fra i due Cavalieri è sempre più breve: il Cavaliere di oggi ultimamente non disdegna di citare il duce nei suoi interventi, o di arringare le folle dai palchi dell'amore con il - volete voi? mussoliniano.
Intanto arrivano i disegni di legge liberticidi o  le critiche alle Camere, ormai da lungo tempo bollate nell'ottica berlusconiana come l'aula sorda e grigia pronta a diventare bivacco di manipoli di cui parlava il Cavaliere di ieri.
Ogni tanto si rischia di smarrire la bussola, di pensare che esistono ancora la Sisal, l'Eiar e che il più grande attore italiano è Amedeo Nazzari, o che dall'ascolto dei discorsi del duce si possano ricavare perle di saggezza e indicazioni per il futuro.
Il mondo va avanti ma una parte del paese rimane tenacemente abbarbicata al momento più buio del nostro passato, e insiste a celebrare l'unico  (purtroppo) copyright autenticamente italiano nel patrimonio ideologico del novecento.
Che è passato per l'appunto, ma non qui.
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