venerdì 29 febbraio 2008

Vladimir Putin, il leader nazionale

Lo sguardo di ghiaccio tipico della spia, il machismo sbandierato a volte in modo grossolano (come in questa foto), lo stile autorevole del grande statista: a Vladimir Putin non manca proprio niente per affascinare le masse.
Putin, al potere dal 2000, è il nuovo zar di tutte le Russie; non è riuscito o forse non ha voluto modificare la costituzione per assicurarsi il terzo mandato, ma si è assicurato un successore, Medvedev, a lui fedele.
Un giovane tecnocrate lindo e sicuro di se come lui, che eserciterà i poteri presidenziali nel solco della continuità.
Putin veglierà sul suo operato, ancorchè come primo ministro e quindi in una posizione formalmente subordinata.
Il gioco è fatto; la Russia il 2 Marzo svolgerà le elezioni presidenziali più farsesche e inutili del periodo post-sovietico, dopo quelle per il rinnovo della Duma.
Intimidazioni agli avversari, l'esclusione discutibile di liste avverse, i partiti di quella parte d'opposizione tollerata già rassegnati al verdetto.
Putin come Mussolini, che non reagiva alle continue e serrate critiche di Benedetto Croce per dimostrare che il Fascismo era rispettoso della libertà di pensiero.
Gli osservatori internazionali diserteranno il prossimo happening elettorale, essendo in totale disaccordo sulla sua gestione. Fine della democrazia.
Putin è un personaggio alla John Le Carrè; è un funzionario cresciuto, dopo la laurea in diritto internazionale (sic), nei ranghi del KGB e si narra che si commuova sempre quando rievoca quel periodo. Giovinezza primavera di bellezza.
Ed è un figlio d'arte, dato che anche suo padre militò nell'NKVD, la sinistra polizia politica di Stalin.
Queste le radici culturali del nuovo zar e perciò non sorprende affatto la gestione autoritaria del potere che ha caratterizzato la sua presidenza.
Putin appartiene alla generazione di burocrati e quadri rimasti orfani dell'Unione Sovietica (Vladimir era in Germania Est quando crollò il muro), che nonostante o forse grazie a questo sono riusciti a fare una grande carriera.
Putin nel 2000 era l'uomo giusto al momento giusto; il paese aveva un'economia in ginocchio, un'influenza politico-militare azzerata, un presidente (Eltsin) in declino fisico e mentale, la Cecenia in fuga.
Proprio Eltsin ha acceso la stella putiniana nominandolo primo ministro nel 1999. Il giovane leader ha mostrato subito di che pasta era fatto reprimendo nel sangue la rivolta della Cecenia. Lo zar Vladimiro poi ha trasformato la caotica Russia degli anni 90 in un paese ordinato e con un PIL in crescita, nonostante la miseria di gran parte della popolazione raccontata dalla giornalista Anna Politkovskaja.
Adesso guida una politica internazionale volta a riaffermare il prestigio e l'influenza di Mosca, a spese delle repubbliche confinanti, che vengono destabilizzate (come nel caso dell'Ucraina o della Georgia) se provano ad allontanarsi, entrando perciò in conflitto con gli Stati Uniti che dopo la fine del patto di Varsavia sono riusciti ad attrarre diversi stati dell'Est. Con quali conseguenze per la stabilità mondiale è facile immaginare.
Putin dal 2 Marzo non sarà più presidente ma ormai è il leader, la guida per una nazione a cui sta anche insegnando a liberarsi dell'imbarazzo per il suo passato totalitario.
Anzi ha sostenuto pubblicamente che Stalin, pur essendo un dittatore, ha fatto cose buone di cui i programmi scolastici, nell'insegnare la storia, devono tenere conto.
Quali siano queste cose buone si può leggere ad es. nella biografia di Stalin di Robert Conquest, che ha dedicato gran parte della sua attività di storico ad analizzare gli orrori del Comunismo.
Quest'uomo, dittatore assassino di giornalisti, alla fine del 2007 è stato nominato uomo dell'anno dalla rivista britannica Time.
Proprio nel paese, culla della democrazia moderna, dove l'oppositore Litvinenko è stato ucciso con il Polonio dagli agenti di Putin.
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Campagna elettorale, chiedete e vi sarà promesso

Campagna elettorale. Da ora fino al giorno del voto, saremo sommersi dalle promesse, dai proclami, dai programmi, in attesa dei confronti televisivi.
Un bel grattacapo per i responsabili delle televisioni, su cui pende la spada di Damocle della par condicio. Come fare per permettere ai numerosi candidati premier di apparire e dire la loro? Confronti a due? A tre? A quattro? Come moderarli?
Intanto fioccano le dichiarazioni. Come dice il tale, chiedete e vi sarà promesso. L'ultima di oggi riguarda Berlusca che ha promesso il ritorno del nucleare. Silvio l'atomico.
Nessuno che gli abbia fatto notare (a cominciare dai giornalisti, che come al solito recitano la parte delle comparse silenziose in commedia) ciò che dicono gli esperti del settore, Carlo Rubbia in primis.
Il ritorno delle centrali nucleari si potrebbe avere solo fra almeno dieci anni e a patto di investire ingenti stanziamenti di cui oggi è incerta la disponibilità. Oltretutto forse le riduzioni eventuali per la bolletta non sono nemmeno scontate, come insegna l'esperienza di altri paesi.
Ma Berlusconi non ha mai sentito il problema di reperire i fondi: quando era al governo ha indetto gli appalti per le grandi opere senza copertura.
Silvio l'atomico poi ha detto che toglierà l'Irap, cosa ripetuta almeno una decina di volte quando era a Palazzo Chigi. L'Irap è ancora in vigore, come ben sa chi la paga.
E così per l'ICI; anche Veltroni a dire il vero ha promesso una riduzione del carico fiscale su cittadini e imprese.
Il debito pubblico però è ancora lì e nessuno ha chiarito le soluzioni per aggredirne le cause strutturali, ovvero una spesa pubblica irrazionale fatta di sprechi e costi esorbitanti per il mantenimento del settore pubblico.
Da questo punto di vista siamo maglia nera in Europa, tanto per cambiare: la nostra pubblica amministrazione è uno delle più grandi e inefficienti.
Sono questioni, il debito pubblico, la riforma fiscale, i costi dell'apparato amministrativo - istituzionale (in cui rientrano anche quelli della casta parassitaria che ci governa), vecchie di almeno vent'anni.
Una soluzione la offre Casini: lo stato venda le azioni di Eni ed Enel così da recuperare fondi per altri utilizzi.
Bravo Pierferdi: proprio quando la questione energetica sta diventando cruciale per tutti i paesi, lo stato italiano dovrebbe rinunciare a una presenza strategica in questo ambito. Non solo promesse ma anche parole in libertà.
Mancano proposte innovative per superare le tare strutturali che incatenano la società e l'economia; i programmi si assomigliano senza il segno di qualche novità forte, i due Gianni e Pinotto si accusano reciprocamente di plagio.
Per esempio sarebbe interessante sapere cosa pensa Veltroni sul conflitto d'interessi. Silenzio da parte sua e naturalmente nessuno glielo chiede.
Oppure sarebbe interessante sapere se ha cambiato idea rispetto all'infelice uscita sulle intercettazioni telefoniche, che ricalca esattamente quanto detto da Berlusconi. Si preparano alle larghe intese?
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lunedì 25 febbraio 2008

Non è un paese per vecchi. Cohen da oscar

Tre uomini. Un operaio texano, reduce del Vietnam e appassionato di caccia; un implacabile sicario psicopatico, uno sceriffo alle soglie della pensione.
Il primo si imbatte casualmente, nel deserto, in una valigetta piena di dollari, abbandonata nel luogo di un regolamento di conti fra trafficanti di droga messicani.
Il secondo (uno straordinario Javier Bardem) lo bracca per riprenderla e dissemina il suo cammino di morti, scegliendo come un Dio capriccioso chi ammazzare e chi risparmiare con il gioco della monetina.
Il terzo tenta di fermarli, o perlomeno di salvare la vita all'ostinato cacciatore, intuendo che con tutta probabilità non avrà scampo.
Questa in sintesi la trama di "Non è un paese per vecchi", il nuovo film dei fratelli Cohen tratto da un romanzo dello scrittore Cormac Mc Carthy, che proprio ieri sono stati premiati da quattro oscar.
Dentro l'involucro del genere noir (o non è piuttosto un western moderno?), i Cohen raccontano un mondo dominato dalla sopraffazione e dalla violenza efferata, dove si uccide senza una motivazione e si è smarrito il senso di tutto.
Il male trionfa, l'assassino la farà franca; come uno spettro inafferrabile andrà dietro al suo scopo insondabile: i soldi non gli interessano, farà fuori addirittura il suo committente.
Non puoi fermare ciò che sta arrivando, dice al tormentato sceriffo (Tommy Lee Jones) un suo amico, tutore dell'ordine già a riposo da tempo.
"Non è un paese per vecchi" in effetti racconta la fine dei significati, di un codice etico in cui anche il mondo criminale aveva finalità razionali.
E la data al 1980, probabilmente identificata come il momento d'inizio del nuovo mondo. Quello in cui viviamo.
Il vecchio e umano sceriffo non si capacita di quello che gli accade intorno, il paese non è più per quelli come lui.
Racconto dell'arancia meccanica americana di oggi, ma amara riflessione valida per qualunque paese moderno, dove la cronaca offre continui spunti per chiedersi come hanno potuto, com'è possibile che la morte violenta e casuale colga gli innocenti nel campus o mentre sono al volante per tornare a casa dai figli.
I Cohen dunque tornano al noir e recuperano, arricchendole ulteriormente, le atmosfere stralunate e angosciose di Fargo.
Film in magistrale equilibrio fra azione e immobilità, con silenzi che fanno esplodere la tensione e una fotografia che resta impressa, per i Cohen Bros dopo la digressione un pò discussa nella commedia (con Ladykillers e Prima ti sposo, poi ti rovino), è un ritorno in grande stile. Da oscar appunto.
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venerdì 22 febbraio 2008

Italiani nella ragnatela del terrorismo islamico

Apprendiamo oggi che la polizia ha oscurato alcuni blog dove si faceva propaganda filo-islamica, o meglio a favore del terrorismo islamico.
Due di questi erano gestiti dal noto Imam di Carmagnola, espulso da tempo dal nostro paese, e dalla moglie.
Sorprende scoprire che gli altri due erano gestiti da italiani convertiti all'Islam, stando almeno a quanto hanno raccontato i media. L'indagine ha prodotto sette denunce per istigazione a delinquere.
Peccato non poter più leggere i contenuti di questi sitarelli, perchè viene da chiedersi per quale motivo alcuni italiani incensurati si sono legati ad ambienti dell'eversione islamica.
Gli attentati che hanno sconvolto Londra nel Luglio 2005 sono stati compiuti da estremisti di origini non europee, ma anche qui sorprende un pò (o forse no?) che del gruppo facesse parte un jamaicano, paese che non appartiene di certo alla cerchia più ardente dei fedeli della religione maomettana.
Uno degli aspetti più inquietanti del terrorismo internazionale del XXI secolo è la capacità di attrazione che esercita su chi, per estrazione etnica e culturale, dovrebbe essere lontano anni luce dal fanatismo islamico.
la decisione di aderire all'eversione, qualunque matrice essa abbia, deriva sempre da un'insoddisfazione individuale irrisolta verso l'assetto politico-sociale.
Sposare un'ideologia, un'etica o una religione anti-sistema (o che possono essere configurate in chiave anti-sistema) diventa la via d'uscita, la risposta a un disagio non ricomposto. Si rompe definitivamente con la propria comunità, si bruciano i vascelli per imboccare la strada della violenza.
Questa è la ragione per cui anche chi magari non commetterebbe mai atti terroristici si converte all'Islam, un trend in crescita nei paesi occidentali da quando vi si sono insediate robuste minoranze islamiche.
L'Islam propone un'interpretazione della vita individuale e di relazione fortemente alternativa rispetto alle regole e allo stile di vita gaudente e materialistico (ammettiamolo) dei paesi occidentali.
Da questo punto di vista però anche il Buddismo propone un modo molto diverso di interpretare le ragioni dell'esistenza e i rapporti con il mondo.
La differenza è che l'Islam ha una logica totalitaria; fin dalle sue origini ha teorizzato una distinzione fra il mondo convertito alla vera fede, derivante dalla predicazione di Maometto, e il mondo "temporaneamente non sottoposto" al dominio dell'Islam.
Da qui parte il concetto di Jihadismo, di guerra santa avente come fine la conversione dell'altra parte.
Strumento della Jihad è la predicazione e la forza dell'esempio, ma è anche (e la storia dei rapporti fra Islam e Occidente lo dimostra) conflitto armato.
Gli italiani caduti nella tela tessuta dagli imam hanno preso parte alla Jihad contro il mondo da cui provengono, in definitiva contro loro stessi.
Si sono asserviti al disegno sanguinario di chi pretende di indicare agli altri la retta via. Come diceva Voltaire le religioni sono "sette l'una contro l'altra armate"; in mano agli oltranzisti, diventano armi letali contro l'umanità.
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mercoledì 20 febbraio 2008

Boris Pahor, una voce dell'altra storia

Boris Pahor, ne ho sentito parlare per la prima volta Domenica scorsa; era ospite della trasmissione di Fabio Fazio - Che tempo che fa -
Prima non ne sapevo nulla; la scuola non me lo ha fatto mai conoscere.
Classe 1913, triestino, scrittore con all'attivo decine di libri. Cittadino italiano ma di nazionalità slovena, conosciutissimo all'estero, sconosciuto nel nostro paese dove ha sempre vissuto.
Pluripremiato (ha anche la Legion d'Onore francese), ignorato in casa nostra.
L'occasione per la sua presenza in TV è la ristampa di uno dei suoi romanzi più famosi (ma non qui) - Necropoli - dove racconta la sua esperienza di deportato nei campi di concentramento nazisti.
Mi ha colpito non solo perchè ha rievocato quella tragica vicenda con un tocco di profonda umanità, ma anche perchè è una voce dell'altra storia e dell'altra cultura; quella che dal dopoguerra ad oggi in Italia non è mai stata riconosciuta ufficialmente e quindi divulgata.
E' lo stesso atteggiamento che per decenni ha impedito di conoscere nella sua esatta dimensione il dramma delle foibe (chi lo ha studiato nei libri di storia?), che ha portato a tollerare con un certo disagio gli esuli istriani fuggiti dai titini alla fine degli anni '40.
Non era opportuno parlarne per ragioni diplomatiche, di rapporti con la vicina Jugoslavia e perchè la sinistra comunista, che ha influenzato la memoria della resistenza, voleva rimuovere una pagina imbarazzante.
Voleva cancellare l'altra storia, quella degli sconfitti o di chi, pur non essendolo, non si allineava al nuovo corso politico e culturale.
Pahor rientra in quest'ultima categoria perchè è uno sloveno di Trieste, città conquistata dall'Italia al termine della prima guerra mondiale, dove il Fascismo ha cercato di marginalizzare la presenza slovena.
Ed è poi un intellettuale legato all'umanesimo cattolico e quindi inviso alla parte dominante della cultura italiana del dopoguerra, condizionata dal Marxismo e dal PCI.
Fortunatamente, l'altra storia prima o dopo riemerge dalla nebbia in cui qualcuno cerca di cacciarla.
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lunedì 18 febbraio 2008

A chi giova l'indipendenza del Kosovo


17 Febbraio 2008: il Kosovo ha dichiarato l'indipendenza. Lo si sapeva da tempo, cronaca di un'indipendenza annunciata.
Allora fine della vicenda? Non credo.
Questa regione stretta fra Serbia, Montenegro, Macedonia e Albania è un lembo di terra con un'estensione più o meno pari all'Abruzzo o all'Umbria.
E' una piccola regione con una storia grande nella sua tragicità.
Nel tempo il Kosovo è stato attraversato da numerosi conflitti e odi interetnici, che si sono intrecciati con le differenze religiose; fino alla guerra del 1999 che nelle intenzioni del presidente Milosevic doveva riportarlo sotto il pieno controllo di Belgrado attraverso l'annientamento o l'espulsione della maggioranza albanese.
Perchè il Kosovo, nonostante la sua composizione etnica, come si sa riveste un'importanza fondamentale nella storia di quel popolo, essendo stato il campo di battaglia dove si è forgiato il sentimento dell'identità serba.
La "soluzione finale" di Milosevic era naturalmente inaccettabile per la comunità internazionale, che ha separato con la forza i contendenti e congelato per un pò la situazione.
La storia europea è stata spesso condizionata dalle faccende balcaniche; fu l'assassinio dell'erede al trono asburgico a Sarajevo, il 28 Giugno 1914, a scatenare la prima guerra mondiale.
Siamo ben lungi dal trovarci alla vigilia di un nuovo conflitto generalizzato, però vale la pena di riflettere sulle dinamiche politiche che l'avvenimento di ieri metterà in moto.
Per la Serbia ovviamente lo smacco è pesante e ora ha il problema di tutelare, non si sa come, la minoranza serba asserragliata dentro i fortilizi protetti dal contingente internazionale.
Una grana per il nuovo premier Tadic di fronte all'opinione pubblica, che potrebbe portare instabilità in un altro paese cruciale per gli equilibri internazionali.
Per la Russia neozarista di Putin alla ricerca della grandeur perduta, lo smacco è altrettanto grave.
Al di là dei vincoli di amicizia e sangue sbandierati con la nazione serba, molto più prosaicamente si trova ancora una volta sotto scacco: la sua opinione è stata ignorata dall'Europa e dagli USA, il suo orgoglio è ferito.
Le relazioni con questi due paesi si raffredderanno; non sarà una riedizione della cortina di ferro ma qualche problema lo porterà.
Per la Russia inoltre il precedente kosovaro è dannoso in quanto anche al suo interno vi sono spinte irredentiste (basta pensare alla Cecenia), che potrebbero rinvigorirsi.
Come nella teoria del domino possono esplodere altri focolai di crisi e neppure la vecchia e pacifica Europa ne è esente. Non a caso la Spagna si è pronunciata contro la decisione dei kosovari.
Facendo un calcolo strettamente utilitaristico l'indipendenza del Kosovo non giova a nessuno di questi attori.
In sostanza, chi non deve fare i conti con spinte autonomiste ha dato il placet e gli altri... Problema irrilevante, anche per l'Italia che per bocca del ministro degli esteri D'Alema ha liquidato frettolosamente la questione.
Gli USA hanno spinto con decisione verso questo esito, ma non per tener fede alla vecchia idealistica teoria di Wilson sull'autodeterminazione dei popoli.
L'appoggio alla causa del Kosovo, che ripagherà gli Stati Uniti con la fedeltà, è un altra mossa di potere, per guadagnare spazio nello scacchiere est-europeo contro la Russia.
A loro giova questa strategia cinica, ma solo apparentemente.
Resta da chiedersi se la nascita di uno stato sovrano nel Kosovo serve ai kosovari stessi. L'economia locale è pressochè inesistente, si basa quasi per intero sulle rimesse (lecite e illecite) dall'estero e sul supporto finanziario e logistico degli stati europei, attraverso la missione civile/militare ivi stanziata.
Il Kosovo dunque continuerà a essere assistito a spese del contribuente europeo, o nell'ipotesi peggiore sarà uno stato contrabbandiere come il vicino Montenegro. Il suo premier Thaci è sempre stato sospettato di essere il capo della cupola mafiosa kosovara.
Allora l'autodeterminazione non conta niente, il Kosovo doveva rassegnarsi a restare sotto la sovranità serba? Impensabile e ingiusto moralmente; dopo il bagno di sangue del 1999, le cose non sarebbero più potute tornare come prima.
E' discutibile il modo con cui si è giunti alla dichiarazione del 17 Febbraio. La UE è colpevole per non aver guidato una vera mediazione, verso una soluzione condivisa fra le parti che era difficile ma possibile, opponendosi all'ingerenza americana.
Non ha scelto un interlocutore degno come il partito del defunto Rugova, ma al contrario ha accettato il PKK, più simile a un'organizzazione paramilitare e paramafiosa che a un partito, sbattendo la porta in faccia a un paese, la Serbia, che invece andrebbe avvicinata all'Europa.
Un esempio di ciò che non deve essere la politica estera, la premessa di conflitti futuri.
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domenica 17 febbraio 2008

Si può credere alle promesse di Veltroni?


La campagna elettorale entra nel vivo. La decisione del loft del PD di partecipare alla competizione da solo ha scompaginato assetti e alleanze.
Tutti hanno dovuto riorganizzarsi, ripensare la loro presenza; lo ha fatto Berlusconi, lo ha fatto il centro (da Mastella a Casini), lo ha fatto la sinistra radicale.
Qualcuno, se la campagna elettorale gira male, rischia di trovarsi fuori dal parlamento o con una rappresentanza molto risicata.
Errata corrige: il PD correrà quasi da solo. Infatti è stato raggiunto un accordo con l'Italia dei Valori, che serve per intercettare una parte del sentimento antipolitico che potrebbe convogliarsi, visto il clima attuale, verso Di Pietro.
Diamo atto a Veltroni; ha gettato all'improvviso un sasso nell'acqua stagnante e imputridita della politica italiana.
Se però tutto ciò porterà effettive e durature novità nella struttura e nel modus operandi dei partiti, in direzione della tanto agognata (dai cittadini) semplificazione, è presto per dirlo.
Walterone poi ha iniziato senza indugi la rincorsa al cavaliere proponendo un programma, i dodici punti in presentazione in questi giorni. Bravo e tempestivo anche in questo.
Leggendoli si fatica a non essere d'accordo; le 280 pagine elaborate dal centrosinistra nella scorsa campagna elettorale erano state scritte per contenere le idee, le rivendicazioni e le paturnie un pò di tutti.
Un libro delle belle parole, steso con la consapevolezza che non ne sarebbe stato realizzato nemmeno un quinto, anche se Prodi fosse durato fino al termine della legislatura.
Invece un programma snello, articolato in pochi capitoli chiari appare senza dubbio più realistico e fattibile. Allora se pò fà? Forse.
Ma con quali risorse finanziarie verranno affrontati questi punti?
Come finanziare i nuovi asili che nelle parole di Walter dovranno essere quasi sempre aperti, per andare incontro alla difficoltà di molte coppie nel gestire i figli?
E il salario minimo legale a 1100 euro al mese come verrà pagato? E la dote fiscale? La ricerca scientifica? L'arrivo della banda larga in ogni dove?
Il cittadino mediamente informato e attento alla politica è frastornato da un costante balletto di cifre, sul tasso di crescita, sul carovita, sul PIL, sul tesoretto (c'è, non c'è) ma di una cosa è sicuro: il debito pubblico italiano continua ad essere troppo alto.
Il contratto con gli italiani di Berlusconi doveva renderci tutti più ricchi; l'enciclopedia prodiana doveva essere il libro mastro del cambiamento.
Adesso con i dodici punti siamo al Bignami o all'opuscoletto delle belle parole? Il sospetto è forte. Apparentemente positivo anche un altro aspetto della strategia veltroniana: il codice etico, che impedisce di candidare persone con problemi di fedina penale, assieme all'operazione svecchiamento che dovrebbe portare nelle istituzioni i trentenni - quarantenni.
Tutto ciò è obiettivamente suggestivo e va incontro a un'altra sacrosanta rivendicazione degli elettori.
Berlusca invece ha dichiarato che ripresenterà i parlamentari uscenti, traducendo rimetterà in campo i soliti vecchi arnesi (come lui del resto). Dunque se potemo fidà der Walterone?
Purtroppo i sospetti restano; molto sgradevole infatti è stata l'uscita sulle intercettazioni telefoniche che secondo un Veltroni in perfetto accordo bipartisan con il centrodestra, non dovrebbero essere più pubblicate.
Non se ne vede il motivo, dato che ciò che i quotidiani hanno raccontato negli scorsi mesi, su Calciopoli, Fazio, Unipol, gli scandali della Rai, Mastella etc era stato semplicemente desunto da atti depositati presso le cancellerie e dunque, come la legge stabilisce, a disposizione di tutti.
L'opinione pubblica ha il diritto di sapere, i giornalisti hanno fatto il loro lavoro. L'idea di secretare le intercettazioni fino alla chiusura dei processi farebbe calare una greve cappa sovietica sulla libertà di informazione. Un colpo gravissimo alla democrazia da parte di chi si definisce democratico per antonomasia.
Sui vari scandali e scandaletti non sapremmo nulla, magari Fazio sarebbe ancora a Bankitalia a maneggiare.
Ecco, Veltroni sarebbe veramente affidabile se avesse detto che la pubblicazione delle intercettazioni è doverosa e non si può limitare.
Darebbe al paese il messaggio che intende sanare il conflitto con una classe politica che non è per nulla incline ad accettare il ruolo della magistratura o il controllo della stampa.
Diversamente, cosa cambia rispetto agli altri? Aspettiamo un altro colpo d'ala, se verrà.
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venerdì 15 febbraio 2008

L'Italia vaticanizzata

L'ombra del Vaticano si è allungata ancora una volta sulla politica italiana e, c'è da scommetterci, influenzerà anche il futuro parlamento, qualunque sia la sua composizione e chiunque vinca.
Qualche giorno fa Ruini ha dichiarato che non si può emarginare dalla competizione elettorale un partito (l'UDC) che si richiama alla religione cattolica, o meglio che trae ispirazione dalla dottrina sociale della Chiesa; perchè significherebbe condannare all'irrilevanza i valori cattolici nella vita pubblica.
Il richiamo è evidentemente rivolto a Berlusconi che, ancor oggi, non si sa se troverà un accordo con il riottoso Casini che rifiuta l'annessione al PDL.
E' un richiamo abilmente orchestrato; Benedetto XVI non ha mandato in avanscoperta Bagnasco attuale presidente della CEI, ma il suo predecessore.
Quindi formalmente chi si è espresso lo ha fatto a titolo personale. Nella sostanza però il messaggio proviene dal vertice della Chiesa ed è chiaro.
Anche in Spagna, dove a Marzo si terranno le elezioni per il rinnovo del parlamento, la Chiesa ha fatto sentire la sua voce esprimendo l'auspicio che il Partido Popular prevalga su Zapatero.
L'ombra del Vaticano si allunga su tutta l'Europa ma in Italia, che ospita la sede del papato, il pericolo per la democrazia e il pluralismo è più serio.
Non sappiamo se Berlusconi raccoglierà l'invito dell'uomo del Vaticano, in compenso Walterone Veltroni si è già allineato.
Il PD non siglerà alcun patto elettorale con i Radicali; ufficialmente perchè il partito, nel tentativo di dare un contributo alla semplificazione del quadro politico, non intende ricreare il carrozzone di formazioni che ha distrutto l'esecutivo Prodi.
Ma se questo fosse vero non avrebbe dovuto fare un accordo nemmeno con Di Pietro. La vera ragione è che i Radicali sono invisi alla componente cattolica del PD, o come si ama dire al giorno d'oggi, a chi esprime una diversa "sensibilità" sui temi etici.
La manovra della Chiesa è un salto di qualità nel confronto perenne fra potere temporale e spirituale.
Nella prima repubblica la DC aveva saputo mantenere laicamente una certa autonomia, una certa distanza (magari a volte obtorto collo, sospirando) in diversi passaggi della nostra storia.
Ma nella seconda repubblica la Chiesa ha avuto la possibilità di entrare da primattore nel gioco politico.
Viviamo un momento caratterizzato dalla crisi del primato della politica, che si è indebolita a causa del nodo irrisolto della questione morale e a causa dell'incapacità di governare. Ogni giorno vediamo quanto sia inadeguata e inefficiente rispetto ai problemi della società.
Nel ritrarsi della politica, si libera uno spazio per questo nuovo protagonista. Ecco perchè diversi esponenti di entrambi gli schieramenti fanno a gara nel genuflettersi, pensando che la Chiesa sia effettivamente in grado di pilotare consensi.
Si genuflette anche chi nella sua interiorità è molto distante dalla fede e da un'adesione ai valori del Cattolicesimo, oppure li contraddice con prassi politiche spregiudicate e illecite.
Eugenio Scalfari sulle pagine di Repubblica li ha magistralmente definiti gli atei devoti. Io, essendo molto meno dotato di Scalfari, li chiamo sepolcri imbiancati o, più appropriatamente in qualche caso, sporcaccioni: Mastella ad esempio.
Esemplare è anche il caso di Fini, storicamente uno dei primi firmatari del partito degli atei devoti; è leader di una formazione originata dall'MSI, che invece essenzialmente ha sempre espresso un'idea di estrema destra laica.
E che dire dell'iniziativa di Giuliano Ferrara, che intende presentare una lista per la vita, per sostenere la moratoria sull'aborto proposta da Ratzinger?
Difficile capire cosa si prefigge il peso massimo della disinformazione berlusconica, ma è senza dubbio un altro ateo devoto. Dal comunismo degli anni giovanili ormai è passato dall'altra parte. Sempre comunque dove sta il potere.
Mi diverte anche lo sdegno bipartisan che i membri di quasi tutti i partiti esternano quando qualcuno critica la Chiesa, come è successo nel recente caso della contestazione della Sapienza.
Quasi tutti puntano il dito come vecchie comari di parrocchia, si scandalizzano di fronte al tentativo di mettere a tacere il papa. Ridicolo, considerando l'importanza del personaggio in questione che ogni giorno ha la possibilità di dire la sua col massimo risalto possibile.
Ma è poi vero che la Chiesa ha questa forza di condizionamento? Non ne sono affatto convinto. Non ci sono elementi chiari, precedenti elettorali, che lo facciano supporre. A me pare invece che i cattolici alla fine della fiera votino in libertà per questo o per quello.
Berlusca, subito appoggiato in un perfetto gioco di sponda da Veltroni, ha detto che i temi etici non devono entrare nella campagna elettorale.
Probabilmente i nostri Gianni e Pinotto temono che tali problematiche costituiscano variabili incontrollabili.
Senz'altro però condizioneranno il prossimo parlamento, prima o dopo la casta dei mandarini di Roma dovrà ancora un volta pronunciarsi sulle unioni di fatto, sulla libertà di ricerca scientifica e magari pure sull'aborto.
In un contesto dominato dal partito trasversale degli atei devoti, il rischio è di ritrovarsi catapultati nel passato, nel buio.
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mercoledì 13 febbraio 2008

Breve lezione di politica economica

Titolo della lezione

"Hai due mucche"

Cosa accade con:

1) Il Socialismo
Il tuo vicino ti aiuta a occupartene e tu dividi il latte con lui.
2) Il Fascismo
Il governo te le prende e ti vende il latte. Se protesti ti manganella o ti fucila (a discrezione).
3) Il Comunismo
Il governo te le prende e ti promette che ti fornirà il latte secondo i tuoi bisogni. Se protesti ti manda in un campo di rieducazione o ti fucila (a discrezione).
4) Il Nazismo
Il governo si prende la vacca bianca e uccide quella nera con il gas. Visti i risultati di cui sopra, non azzardarti a protestare.
5) La Democrazia
Si vota per decidere a chi spetta il latte.
6) La Democrazia rappresentativa
Si vota per eleggere la persona che deciderà a chi spetta il latte.
7) L'Anarchia
Lasci che le mucche si organizzino in autogestione.
8) Il Capitalismo
Ne vendi una e compri un toro per far procreare la seconda mucca e iniziare un allevamento.
9) Il Capitalismo selvaggio
Fai macellare la prima mucca per venderne la carne, dopodichè obblighi la seconda a produrre tanto latte quanto 4 mucche.
Alla fine licenzi l'operaio che se ne occupava accusandolo di averla fatta morire di sfinimento.
10) Il Berlusconismo
Ne vendi tre (una è virtuale) alla tua società quotata in borsa, utilizzando lettere di credito aperte da tuo fratello sulla tua banca. Poi fai uno scambio delle lettere di credito, con una partecipazione a una società soggetta a offerta pubblica.
Nell'operazione guadagni quattro mucche beneficiando anche di uno sconto fiscale per il possesso (fittizio anch'esso) di cinque mucche.
I diritti sulla produzione del latte di sei mucche vengono trasferiti da un intermediario arabo su un conto alle isole Cayman e diventano esentasse; il conto è intestato a un azionista clandestino che rivende alla tua società i diritti di produzione di sette mucche.
Nei libri contabili di questa società figurano otto mucche con opzione di acquisto per un ulteriore animale. Nel frattempo hai abbattuto le due mucche inziali perchè sporcano e puzzano.
Quando stanno per beccarti diventi presidente del consiglio, fai sparire tutto con leggi ad personam e sostieni pubblicamente che sono invenzioni dei tuoi avversari per distruggerti.
11) Il Prodismo
Tu le mantieni, il governo si prende il latte e impone una tassa sulla proprietà degli animali, una sulla proprietà della stalla e un'altra per la produzione del latte.
A te rimane lo sterco che il governo dovrebbe portare via ma la raccolta dei rifiuti non funziona. Alla fine approva una legge per tassare anche i rifiuti organici animali.
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venerdì 8 febbraio 2008

Liste di proscrizione: l'antisemitismo cresce

Eccoci di nuovo a parlare di un grave problema; fa rabbrividire la notizia che nel web è stato scoperto un blog antisemita, che ha pubblicato una lista di docenti e uomini di cultura appartenenti a una lobby ebraica.
Eccoci di nuovo a parlare di un personaggio vicino all'eversione nera, che svolgeva una propaganda delirante celato dietro uno pseudonimo (Shaulos II).
Sarebbe ora di promuovere una dura azione repressiva contro questi scarafaggi nostalgici del Nazifascismo, prima che diventino realmente pericolosi. L'incitamento all'odio razziale è un reato e nel web vi sono diversi siti con simili contenuti.
Forse l'ignoto estensore della lista con quell'atto voleva indicare ai kamaraden gli obiettivi da eliminare; ogni estremismo ha un nemico da odiare e da eliminare fisicamente.
L'eversione di sinistra ha scelto Massimo d'Antona e Marco Biagi (e li ha eliminati), costoro scelgono i docenti affiliati a una presunta lobby ebraica. Dal dire al fare quanto ci corre? Cosa si aspetta?
Riporto quanto il sedicente Shaulos ha scritto in un post del sito di Francesco Storace, leader del neonato movimento La Destra:

"CARO STORACE
DA ELETTORE STO FACENDO UN GIRO DI ESPOLARAZIONE PER VERIFICARE A CHI DARE IL VOTO…
COME UN CANE LE STO ODORANDO IL CULO PER VEDERE CHI E'!
E' GIA DISPONIBILE UNA LISTA DEI SUOI CANDIDATI CON NOME E SOPRATTUTTO COGNOME?
DOVREI VERIFICARE ALCUNE COSETTE-
PRESERVIAMO L’IDENTITA ITALIANA DALLE CONTAMINAZIONI RELIGIOSE-
ADOTTIAMO LA LEGGE SULLA IMMIGRAZIONE E VOTO MODELLO ISRAELE"

Storace ha questi simpatizzanti - cani che gli odorano il culo? Cosa deve verificare questo malato di mente? Forse se Storace e i suoi odiano abbastanza gli ebrei?
La risposta c'è: il senatore nero ha già dichiarato che lui a Gerusalemme a chiedere scusa per le leggi razziali di Mussolini non ci sarebbe mai andato (diciamo piuttosto che lì la sua presenza non sarebbe gradita).
Meditiamo gente, meditiamo.
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Elogio delle primarie americane


Le primarie USA non ci riguardano direttamente, ma le trovo molto più affascinanti della triste campagna elettorale italiana ormai alle porte. Perchè?
Perchè rappresentano un momento di coinvolgimento e tensione politico-culturale; di fronte a difficoltà crescenti per la società americana, dove viene agitato a torto o a ragione lo spettro di una crisi analoga alla Grande Depressione del '29, dove resta irrisolto il dramma della guerra in Iraq, cosa si fa?
I partiti, l'opinione pubblica, i gruppi etnici, il mondo della cultura e dello spettacolo scendono in campo.
Si confrontano, dibattono, espongono idee e programmi. A volte litigano anche all'interno dello stesso schieramento, però in relazione a contenuti e proposte.
Da noi le prossime elezioni, dopo la morte prematura della legislatura, si risolveranno un'altra volta in un referendum pro o contro Berlusconi.
Riascolteremo le solite polemiche, i soliti slogan, avremo ancora davanti una pletora di partiti sempre uguali a se stessi e ci verranno riproposte, nonostante qualche defezione o pensionamento illustre, gli stessi volti del passato, sempre più vecchi, bolsi e inutili.
La prossima campagna elettorale sarà, per dirla con il protagonista del Gattopardo, il modo per dimostrare che "bisogna che tutto cambi perchè nulla cambi".
Mere operazioni di maquillage, come quella tentata da Berlusca con la lista comune AN e Forza Italia in risposta alla decisione di Veltroni di far correre da solo il PD, che come ho già scritto deve ancora far capire cos'è esattamente.
Operazioni compiute da una casta che di fronte ha un mondo che corre e affronta i tanti problemi del nostro paese con il passo della tartaruga, o in retromarcia come il gambero.
Un governo succederà a un altro senza che le piaghe dell'Italia vengano finalmente curate. Ognuno cercherà di tutelare i propri interessi di bottega.
Ma le primarie degli Stati Uniti sono interessanti anche per un altro motivo; per i candidati del fronte repubblicano e democratico rappresentano una vera investitura, perchè devono guadagnarsi voto per voto, città per città, stato per stato, l'appoggio delle rispettive basi.
Non vi è dubbio sul fatto che c'è un establishment che influisce sulle scelte finali, ma la spinta derivante dall'investitura dal basso è indiscutibile.
Ne resterà solo uno: il migliore? Chi lo sa, ma perlomeno sarà stato scelto in un confronto reale con gli avversari.
I due partiti, quello dell'asinello e il Grand Old Party, come viene chiamato il partito repubblicano, hanno cercato di mettere in campo il meglio che avevano.
Sotto questo profilo i Democratici partono da una posizione di vantaggio, perchè comunque la si pensi Hillary Clinton e Barrack Obama sono due personaggi di evidente peso e carisma di fronte ai candidati un pò bigi del fronte repubblicano.
Ma al di là di questo la logica competitiva che attraversa la storia e la cultura statunitense si dispiega pienamente nel fenomeno delle primarie e sarà confermata dalla campagna presidenziale.
Gli USA sono un paese in evidente affanno (e forse alle prese con un cambiamento epocale della loro posizione di egemonia a livello internazionale), ma sono ancora capaci di esprimere dinamismo, di mettersi in movimento e progettare una soluzione per il futuro. Magari sotto la guida di un presidente quarantaseienne e per giunta afroamericano.
Nell'Italia gattopardesca, dominata da una classe politica geriatrica, invece saremo travolti dal solito sterile bagno di chiacchere.
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martedì 5 febbraio 2008

Fiera del libro: assurdo boicottare gli scrittori israeliani

Alcuni scrittori di lingua araba intendono boicottare la prossima fiera del libro, che si terrà a Maggio, perchè ospite d'onore sarà Israele con la sua letteratura.
La protesta è stata prontamente appoggiata da associazioni italiane vicine alla sinistra. E' una vicenda che ci insegna alcune cose.
Innanzitutto gli scrittori arabi tradiscono la funzione propria dell'intellettuale, che è quella di interrogarsi, di indagare e riflettere, e soprattutto di confrontarsi liberamente, senza pregiudiziali, con la società e gli altri intellettuali.
Invece di recarsi ad un appuntamento che sarebbe un'occasione importante di incontro e confronto (magari duro, perchè no?) con persone della "parte avversa", preferiscono declinare l'invito.
Non riconoscono dignità di interlocutore a un'intero paese. Solo loro ritengono di avere il diritto di esprimersi e di raccontare.
E pensare che molto probabilmente troverebbero negli scrittori israeliani disponibilità ad ascoltarli e a condividere parte delle loro ragioni. Ma sono ciechi e sordi.
E pensare che alcuni provengono da paesi dove la libertà di manifestazione del pensiero è negata, a differenza di Israele dove, nonostante gli errori commessi in sessant'anni di storia, c'è la democrazia.
E' il riflesso, in campo culturale, di una politica che va avanti dal lontano 1948; quella perseguita da molti partiti e stati musulmani che ancor oggi si ostinano a non voler riconoscere piena legittimità allo stato d'Israele, quando non la negano apertamente come fanno Hamas o l'Iran.
Tutti costoro negano, in sostanza, la dignità e il diritto all'esistenza di un intero popolo. E' una posizione che richiama sinistramente il capitolo doloroso della Shoah.
In secondo luogo il pregiudizio anti israeliano trova una sponda favorevole nei soliti ambienti della sinistra radicale italiana, che vedono solo le ragioni della parte palestinese; è un triste e stantio retaggio degli scontri ideologici del passato.
Un atteggiamento che anche da questa parte del mediterraneo rischia di saldarsi, consapevolmente o no, con il pregiudizio anti semita che peraltro fa parte del bagaglio culturale della sinistra marxista.
Massima solidarietà agli scrittori israeliani. Per esprimerla in concreto, bisognerebbe comprare un libro di un autore israeliano. Anche uno a caso.
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sabato 2 febbraio 2008

Foo Fighters, oltre i Nirvana?

I Foo Fighters, di cui quest'anno ricorre il tredicesimo compleanno, si sono sempre confrontati con un dilemma: Nirvana o non Nirvana?
Per Dave Grohl che ne è leader il paragone ricorre inevitabile. Assieme a Kurt Cobain e Christ Novoselic è stato animatore del gruppo più significativo e amato (assieme ai Pearl Jam) dell'ondata Grunge.
Dopo la morte di Cobain e lo scioglimento dei Nirvana non ha temporeggiato; ha subito lanciato un nuovo progetto.
Si è chiuso in studio e ha inciso un album da solo, in cui ha cantato e suonato tutti gli strumenti.
E' l'omonimo Foo Fighters del 1995. La copertina riporta l'immagine di una pistoletta laser da marziani dei fumetti, che starebbe bene in mano ai cattivissimi alieni del film Mars Attacks.
Un modo per ironizzare sulla passione ufologica che Grohl ha sempre avuto, che lo ha portato a battezzare il suo progetto musicale col nome che i piloti alleati della seconda guerra mondiale davano agli oggetti misteriosi che ogni tanto intercettavano nei cieli.
O a manifestare tutto il suo entusiasmo quando, qualche anno fa, ha avuto la possibilità di suonare nel Roswell Center del New Mexico, l'attrazione costruita sul vecchio campo d'aviazione dove, a quanto si narra, nel '47 si schiantò il famoso disco volante.
Dopo quel primo assaggio i Foo Fighters si trasformano in vera band, con il reclutamento di altri musicisti (Grohl ha riservato per se la voce e una delle chitarre).
Ma dal nuovo ensemble il vecchio compagno Novoselic è sempre rimasto fuori; Grohl evidentemente fin dagli esordi intendeva guardare oltre e scrollarsi di dosso l'immagine di quello che aveva suonato la batteria nei Nirvana. Ci è riuscito?
Il sound dei Foo Fighters li richiama parzialmente; pezzi veloci e compatti, chitarre molto distorte, cantato urlato, assenza quasi totale di assoli. La furia neo-punk che si poteva cogliere nella produzione di Cobain si è in parte mantenuta.
Però i Foo Fighters sono più orecchiabili, o perlomeno hanno una vena hard-rock più marcata; non disdegnano le incursioni nel semiacustico e nelle ballate e compongono brani più articolati e di respiro.
Anzi, col passare del tempo questa dimensione si fa sempre più evidente e li porta a smarcarsi dal puro retaggio eversivo dei lavori di Cobain, da quei telegrammi nichilisti. Allora valgono meno in termini strettamente artistici? Sono più commerciali? Domanda aperta.
Qualche caduta di tono comunque l'hanno avuta; "There Is Nothing Left To Lose" (1999) non è sensazionale, come non lo è l'esperimento Unplugged di "Skin & Bones" (2006); il loro repertorio non si presta benissimo alla conversione integrale in acustico.
A Settembre 2007 è uscito invece "Echoes, Silence, Patience And Grace", che fila via come un treno.
A volte identificati come gli ultimi epigoni del Grunge, a volte invece come il gruppo post Grunge più importante, in realtà i Foo Fighters sono semplicemente una band che suona rock'n'roll, e per giunta molto bene.
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Quel pasticciaccio brutto di Europa 7

Non c'è niente da fare; l'Italia è costantemente, ostinatamente fuorilegge.
Dopo il caso della monnezza campana che ci ha procurato un cartellino rosso, la notizia che l'Unione Europea ha bocciato il sistema nazionale di assegnazione delle radiofrequenze lo conferma.
La sentenza riguarda il noto caso dell'emittente Europa 7, che pur avendo ottenuto una regolare autorizzazione ad operare in analogico nel lontano 1999, non ha mai potuto farlo.
Scorrendo il dispositivo della pronuncia della corte di giustizia europea, chiamata a esprimersi dal consiglio di stato italiano, si legge che il sistema italiano non è obiettivo, non è trasparente, non tutela dalle discriminazioni.
Di più; vengono messi sotto accusa i "regimi transitori" che si sono succeduti e hanno consentito agli "occupanti di fatto" di esercitare la loro attività in violazione dei diritti di altri operatori.
Ora gli occupanti di fatto sono RAI 2 e Mediaset, che con Rete4 tiene impegnate abusivamente frequenze che invece spetterebbero a Europa 7, con buona pace delle veline di Cologno Monzese e di Arcore che dicono che la questione non riguarda il gruppo di Berlusconi.
Quindi la palla ritorna al consiglio di stato: vedremo cosa succederà, siamo di fronte a una fiction che senz'altro riserverà altri colpi di scena.
Per il momento, tirando le somme emerge che ne il centrosinistra, ne ovviamente il centrodestra agli ordini del padrone di Mediaset, hanno affrontato per tempo il problema.
Nel 1999 al governo c'era D'Alema; fra 2001 e 2006 abbiamo avuto Berlusconi. Il centrosinistra di allora in virtù di un patto di non belligeranza ha salvato Berlusconi, che con la legge Gasparri ha mantenuto in vita una regolamentazione illecita, perchè in contrasto con le norme europee. Consociativismo perfetto.
E la caduta del governo Prodi, che con il disegno di legge Gentiloni aveva promesso di correggere questa infame stortura, conserva lo status quo.
Senza ombra di dubbio, sulla crisi di governo ha pesato anche questo fattore; la quinta colonna berlusconiana nella maggioranza di centrosinistra (Mastella e Dini) ha svolto bene il suo compito e sarà ricompensata da qualche poltrona quando la casa delle libertà tornerà in sella.
Il pasticciaccio di cui fa le spese Europa 7 è grave sotto due diversi profili; prima di tutto è una violazione del principio di concorrenza e di libera iniziativa economica, perpetrata dal bandito di Arcore che si spaccia per campione del libero mercato, mentre invece è un monopolista nella più consolidata tradizione italiota. La torta della pubblicità infatti se la pappa quasi tutta lui.
Sarà un caso che quando Berlusca era al governo i profitti del suo impero mediatico sono saliti alle stelle?
Inoltre è un attacco arrogante alla libertà del cittadino/consumatore, che ha diritto ad un'offerta televisiva il più possibile ricca e conseguentemente a un'informazione il più possibile pluralista. L'altro recente scandalo, sulla gestione congiunta dei palinsesti e dell'informazione politica in RAI e Mediaset, mostra quanto tale fenomeno sia nocivo per la democrazia.
Vedremo mai Emilio Fede, capo della rete di propaganda del nano di Arcore, emigrare sul digitale o sul satellite? Riusciremo ad avere un sistema radiotelevisivo più equilibrato e libero?
Riusciremo a impedire al conflitto di interessi, chiunque ne sia portatore, di attentare allo sviluppo economico e alla democrazia?
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