domenica 22 novembre 2009

Sanremo 2010, dialetto e altre pagliacciate


Sanremo è sempre Sanremo. Ogni anno ne inventano una nuova. L'anno scorso polemiche per la questione spinosa dell'omosessualità trattata da Povia. Quest'anno, a tenere banco parecchio tempo prima che inizi la manifestazione è il dialetto.
La direzione artistica ha modificato il regolamento aprendo alla canzone dialettale; in questo modo spera di tenere desta l'attenzione del pubblico con uno dei temi dell'anno,  per rimpinguare gli ascolti di un evento che ha perso da tempo l'antico splendore; è il marketing bellezza.
Una volta erano le tettine delle vallette a svolgere una funzione promozionale, adesso serve qualcosa di più hard, che faccia litigare per bene,  e non c'è niente di più hard dell'attualità politica.
E poi strizzare l'occhiolino al potere non fa mai male, anzi aiuta a conservare la poltrona o ad occuparne altre in futuro.
Il leader dei militi padani Bossi, dopo aver ottenuto la sua Bollywood, il cinema etnico del Nord, aveva espresso il desiderio di ascoltare canzoni in dialetto ed è stato accontentato.
Con lui anche Zaia, ministro dell'agricoltura ma al tempo stesso difensore appassionato delle culture locali. Proviamo a immaginare i partecipanti di un Sanremo in versione etnica.
Jannacci per il fronte Lumbard, i Pitura Freska per il Veneto...Anzi no, sono troppo di sinistra; meglio resuscitare i trevigiani Jalisse o i veronesi Sonhora, facendogli comporre in fretta e furia una canzone ad hoc. Per le Puglie andrebbe benissimo l'inossidabile Albano, Caparezza no per lo stesso motivo dei Pitura Freska.
A rappresentare la Sardegna i Tazenda, per l'Emilia Romagna invece la scelta si fa dura: Morandi? Dalla? O Guccini, che d'accordo è un comunista e però ha raggiunto una tale statura artistica da farsi perdonare una simile macchia nella sua vita?
Per Genova andrebbe benissimo Cristiano De Andrè con una versione riarrangiata di un pezzo in ligure di suo padre; per la Campania c'è solo l'imbarazzo della scelta.
Per quanto riguarda altre regioni invece, ad esempio Umbria, Basilicata o Abruzzo, la vedo difficile, ma magari si può risolvere il problema facendo esibire qualche simpatico gruppo folkloristico in costume.
Certo, un Sanremo federalista propone risvolti complessi; ad ogni canzone servirà il sottotitolo in italiano e in inglese per gli (scarsi) spettatori esteri.
La giuria dovrebbe essere composta da una persona in rappresentanza di ogni regione; ciascun giurato dovrebbe dimostrare di avere un'adeguata competenza non solo nella musica, ma anche nel dialetto perchè altrimenti non potrebbe esprimere una corretta valutazione filologica.
Il televoto andrà gestito con attenzione, perchè la Lombardia ha più abitanti del Molise o dell'Abruzzo: ci vorrà qualche criterio per compensare, la costituzione americana può offrire qualche spunto utile.
Come affrontare poi il tema delle minoranze linguistiche come i ladini e gli altoatesini, che hanno specifica tutela nella costituzione?
Andranno ammessi anche loro, facciamo attenzione altrimenti rischiamo di mandare in onda un Sanremo incostituzionale.
E la sezione nuove proposte? Per essere ammessi i giovani cantanti dovranno dimostrare prima di tutto un'adeguata conoscenza del dialetto, dato che le nuove generazioni, ahimè, tendono a non parlarlo più.
Auspichiamo inoltre fair - play da parte di tutti; qualora il festival lo vinca un napoletano, dai bergamaschi e dai milanesi ci aspettiamo un applauso sincero e non fischi e critiche.
L'Italia non riesce proprio a tenersi alla larga dalle pagliacciate, ci si butta dentro con convinzione e si divide a polemizzare sul nulla.
Mentre si propone l'ingresso del dialetto a Sanremo ci sono comuni che si preparano a emettere atti ufficiali in lingua locale.
Siamo un paese dove il livello medio di conoscenza dell'italiano tende miseramente verso il basso, a testimonianza del fallimento del nostro sistema educativo.
Non parliamo dell'inglese, lingua la cui conoscenza è assolutamente necessaria nel mondo globalizzato; siamo ancora al livello di quel vecchio spot - two gust is megl che uan.
Ma Bossi, Zaia e la tutta la falange dei militi padani vogliono recuperare i dialetti dando origine a quella che sarebbe una babele inestricabile, e dimenticandosi una cosa fondamentale che insegnano gli studiosi che certe materie le studiano con reale competenza: un dialetto vive se è parlato quotidianamente dalla comunità locale. Diversamente è destinato ad estinguersi com'è accaduto innumerevoli volte nella storia. Questo, bello o brutto che sia, è il processo in corso nel nostro paese da decenni.
Italiani, per una volta almeno siamo seri.
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