venerdì 8 febbraio 2008

Elogio delle primarie americane


Le primarie USA non ci riguardano direttamente, ma le trovo molto più affascinanti della triste campagna elettorale italiana ormai alle porte. Perchè?
Perchè rappresentano un momento di coinvolgimento e tensione politico-culturale; di fronte a difficoltà crescenti per la società americana, dove viene agitato a torto o a ragione lo spettro di una crisi analoga alla Grande Depressione del '29, dove resta irrisolto il dramma della guerra in Iraq, cosa si fa?
I partiti, l'opinione pubblica, i gruppi etnici, il mondo della cultura e dello spettacolo scendono in campo.
Si confrontano, dibattono, espongono idee e programmi. A volte litigano anche all'interno dello stesso schieramento, però in relazione a contenuti e proposte.
Da noi le prossime elezioni, dopo la morte prematura della legislatura, si risolveranno un'altra volta in un referendum pro o contro Berlusconi.
Riascolteremo le solite polemiche, i soliti slogan, avremo ancora davanti una pletora di partiti sempre uguali a se stessi e ci verranno riproposte, nonostante qualche defezione o pensionamento illustre, gli stessi volti del passato, sempre più vecchi, bolsi e inutili.
La prossima campagna elettorale sarà, per dirla con il protagonista del Gattopardo, il modo per dimostrare che "bisogna che tutto cambi perchè nulla cambi".
Mere operazioni di maquillage, come quella tentata da Berlusca con la lista comune AN e Forza Italia in risposta alla decisione di Veltroni di far correre da solo il PD, che come ho già scritto deve ancora far capire cos'è esattamente.
Operazioni compiute da una casta che di fronte ha un mondo che corre e affronta i tanti problemi del nostro paese con il passo della tartaruga, o in retromarcia come il gambero.
Un governo succederà a un altro senza che le piaghe dell'Italia vengano finalmente curate. Ognuno cercherà di tutelare i propri interessi di bottega.
Ma le primarie degli Stati Uniti sono interessanti anche per un altro motivo; per i candidati del fronte repubblicano e democratico rappresentano una vera investitura, perchè devono guadagnarsi voto per voto, città per città, stato per stato, l'appoggio delle rispettive basi.
Non vi è dubbio sul fatto che c'è un establishment che influisce sulle scelte finali, ma la spinta derivante dall'investitura dal basso è indiscutibile.
Ne resterà solo uno: il migliore? Chi lo sa, ma perlomeno sarà stato scelto in un confronto reale con gli avversari.
I due partiti, quello dell'asinello e il Grand Old Party, come viene chiamato il partito repubblicano, hanno cercato di mettere in campo il meglio che avevano.
Sotto questo profilo i Democratici partono da una posizione di vantaggio, perchè comunque la si pensi Hillary Clinton e Barrack Obama sono due personaggi di evidente peso e carisma di fronte ai candidati un pò bigi del fronte repubblicano.
Ma al di là di questo la logica competitiva che attraversa la storia e la cultura statunitense si dispiega pienamente nel fenomeno delle primarie e sarà confermata dalla campagna presidenziale.
Gli USA sono un paese in evidente affanno (e forse alle prese con un cambiamento epocale della loro posizione di egemonia a livello internazionale), ma sono ancora capaci di esprimere dinamismo, di mettersi in movimento e progettare una soluzione per il futuro. Magari sotto la guida di un presidente quarantaseienne e per giunta afroamericano.
Nell'Italia gattopardesca, dominata da una classe politica geriatrica, invece saremo travolti dal solito sterile bagno di chiacchere.
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