sabato 24 novembre 2007

Raiset: il monopolio della disinformazione

In questi ultimi giorni in Italia abbiamo scoperto l'acqua calda. Alcuni dirigenti della Rai e di Mediaset, quando era al governo il centrodestra, si accordavano per pilotare palinsesti, linee editoriali dei tiggì, titoli, numero di apparizioni dell'uomo della provvidenza Berlusconi e così via.
Ma non solo; a quanto sembra la gestione delle due aziende televisive, teoricamente concorrenti, veniva unificata dietro le quinte anche per licenze e diritti di trasmissione.
Esiste una corrispondenza e-mail fra manager statunitensi ed italiani di importanti case cinematografiche come Sony e Warner, allegata agli atti del processo milanese sulla questione, da cui traspare la rabbia per aver appurato che Raiset faceva cartello per abbassare il prezzo delle licenze relative a fiction e film.
Tutto questo avveniva per volontà di uomo che afferma di essere un convinto sostenitore del libero mercato.
Berlusconi si autodefinisce liberista quando in realtà sotto il profilo imprenditoriale è un monopolista, perfetto interprete della tradizione capitalistica italiana oligarchica ed intrallazzona.
Mentre sotto quello politico vuol passare per liberal-democratico mentre invece è un peronista, un populista che spaccia menzogne a ciclo continuo.
Non so se ridere o arrabbiarmi di fronte a esponenti del centrodestra, come Guzzanti e Liguori, che hanno dichiarato: dov'è lo scandalo?
O ci sono o ci fanno; nella prima ipotesi sono talmente immersi nella melma del sistema politico e dell'informazione che non si rendono conto della gravità dei fatti.
Nella seconda (secondo me quella vera), cercano di nascondere in maniera risibile quello che si presenta evidentemente come uno scandalo dai risvolti penali.
Divertente anche il direttore generale della Rai Cappon, che dice: faremo chiarezza. Come si può dare fiducia ai vertici di un'azienda pubblica screditata?
Sconcerta poi il riemergere del finto garantismo, altro leit motiv di questo paese da operetta; non bisogna esprimere giudizi prima che i fatti siano chiari, si dice; e fin qui va bene.
Bisogna attendere l'esito delle indagini della magistratura, e va bene anche questo. Non bisogna divulgare le intercettazioni perchè è una violazione dei diritti dell'indagato e si presta a strumentalizzazioni politiche.
E questo non va affatto bene; le intercettazioni telefoniche, in un paese di inchieste insabbiate, processi tagliati dalle prescrizioni e continue interferenze della sfera politica in quella giudiziaria, sono uno strumento di controllo democratico.
Chi ha un ruolo pubblico e viene sorpreso a fare conversazioni telefoniche che presentano profili di illecito, deve dimettersi. Poi la giustizia farà il suo corso ed accerterà l'effettiva sussistenza di fatti penalmente rilevanti.
L'episodio dovrebbe finalmente far capire anche ai più duri di comprendonio quanto è pericoloso per la democrazia che un uomo a capo di un grande gruppo editoriale (nonchè proprietario di altri asset di rilievo in campo bancario, edilizio etc) possa essere contemporaneamente capo del governo o leader di una coalizione di partiti.
A meno che non ci siano molte persone, in Italia, che lo capiscono ma lo accettano, e questo è letale per il futuro della democrazia.
D'altra parte, la folla accorsa Domenica scorsa a Milano per la chiassata del Berlusca purtroppo lo dimostra.
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