mercoledì 7 gennaio 2009

Terribile Twitter (scenari di un futuro possibile)


Twitter è uno dei nuovi nati nel mondo dei Social Network. Se sia proprio l'ultimo grido non lo so, crescono come i funghi.
L'idea base del progetto è permettere agli utenti di creare un microblog, una pagina da dove irradiare a gruppi di amici (o Followers nel Twit gergo) piccoli post di massimo 140 parole; qualcosa di simile concettualmente agli sms.
Twitter in inglese significa cinguettare e per estensione chiaccherare futilmente. Un micropost in effetti è un cinguettio elettronico, un frammento di parole che si diffonde e disperde nella rete.
Per dirla tutta esiste anche la parola Twit, che significa scemo; il giudizio talvolta conseguente, da parte dell'uditorio, al chiaccherare futile di qualcuno: ironia involontaria?
La Homepage di Twitter spiega che la piattaforma serve a rispondere alla domanda: cosa stai facendo? Istintivamente mi sono dato una risposta: e agli altri cosa importa?
Perchè dovrei far sapere cosa sto facendo in un dato momento, come dice il portale Twitter, nella mia vita reale fra un blog e una mail? E quale diventerà nel mondo prossimo futuro il confine fra il reale e il virtuale?
Quante domande nascono da una visita a un sito web, che nelle ultime ore è stato reso ancora più popolare dal furto d'identità toccato ad alcune celebrità americane fra cui Barack Obama.
Diciamolo pure: il desiderio di esserci e dire la nostra, di affermare la nostra identità, è una caratteristica dell'essere umano. Così è anche per chi cura un blog amatoriale come il sottoscritto.
Da qui deriva il presenzialismo narcisista, caratteristica fondante della nostra società ipertecnologica, fatta di una tecnologia veramente alla portata di tutti. La televisione è stato il battistrada, Internet ha fatto il resto.
Esserci e mostrarci, magari nelle attività più semplici e private della nostra vita, può diventare anche ansia esistenziale.
Sono in quanto mi trovo davanti alla telecamera: quanti personaggi si sistemano vicino agli inviati dei Tiggì allungando il collo come tacchini, fino magari a precipitare nella patologia paolinesca, e quante chilometriche code per le selezioni del Grande Fratello.
Sono in quanto ho il profilo su Facebook o su Twitter. Mi affermo, impongo o propongo il mio essere, condivido con gli altri perfino banalità come guardare un film o bere un caffè, senza soluzione di continuità. Mi confondo con il mio avatar di Second Life. Ma allora cosa sono?
E non sarebbe meglio ogni tanto prendersi delle pause, tagliare fuori il circuito multimediale che ci avvolge, conservare il nostro spazio interiore, coltivare il nostro silenzio?
Nei primi anni 80 il geniaccio David Cronenberg faceva uscire Videodrome, misconosciuta perla incentrata sulla televisione. La rivoluzione informatica era ancora di là da venire.
In Videodrome la tivù è l'arma con cui un'organizzazione di malintenzionati intende condizionare la mente dei cittadini, ma soprattutto il segnale subliminale delle trasmissioni Videodrome provoca una confusione d'identità nelle vittime che alla fine si suicidano, come capita al protagonista nella convinzione di rinascere a nuova vita, perchè Videodrome è la nuova carne. Profetico.
Qualcuno potrebbe dire: il solito criticone apocalittico. In realtà sono un sostenitore delle tecnologie, ma che uso intendiamo farne? E come modificano il nostro essere? In bene o in male?
Nel susseguirsi rapidissimo delle meraviglie tecnologiche non ci si ferma mai abbastanza a riflettere.
Tornando a Twitter (che non voglio demonizzare, ma serve da esempio) su Apogeo c'è un'interessante fantasticheria, dove l'autore immagina che attraverso un paio di occhiali speciali, collegati al cellulare, si sia in grado alla maniera di Robocop di vedere il profilo Facebook o Twitter di chi incontriamo per strada, le sue idee, il suo photobook e le sue opinioni. Meraviglioso o terribile essere sempre monitorati, essere sempre in rete? Scegliamo.
Qualche settimana fa un'amica mi ha detto che ha provato inutilmente a cercarmi su Facebook. Appunto. Poteva telefonarmi o venirmi a trovare di persona, non esisto su Facebook, ma esisto. O forse no?

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