giovedì 15 novembre 2007

Flags of our Fathers, la memoria della guerra

L'altra sera, preso dallo sconforto per la penuria di programmi interessanti in tv, ho noleggiato Flags Of Our Fathers di Clint Eastwood.
Sono un fan del vecchio Clint fin dai tempi dell'ispettore Callaghan, però questo capitolo quando è uscito al cinema me lo sono perso.
Clint Eastwood è come i vini pregiati; più invecchia, più diventa bravo.
Ha la capacità di raccontare puntando dritto al cuore delle questioni umane, con immediatezza e rara efficacia. E' un comunicatore che con il linguaggio filmico riesce a farsi capire bene da tutti.
Flags Of Our Fathers è prima di tutto un film irriverente; affronta il tema della memoria collettiva americana del secondo conflitto mondiale, svelando il rovescio della medaglia.
La vicenda è quella della bandiera issata dai marines sulla vetta del monte Suribachi, durante la furiosa battaglia per la conquista di Iwo Jima.
Chi erano i soldati che l'hanno piantata? Quante foto sono state scattate in realtà? Una o due? Cosa ne è stato di quei ragazzi? Com'è stata la battaglia?
Secondo Clint l'immagine divenuta famosa in tutto il mondo ed amata dagli americani come un simbolo di vittoria, eroismo e sacrificio, è stata scattata con i militari in posa.
Dopo che la bandiera era stata piantata una prima volta da altri loro compagni appena giunti sulla cima, al prezzo di una sparatoria con i giapponesi.
E' una vecchia polemica, che ha sempre diviso gli americani fin dal 1945. Eastwood appoggia questa tesi.
Se ne serve per raccontarci un'episodio di morte e dolore abilmente sfruttato, in termini di marketing, dalle autorità USA che erano a caccia di denaro attraverso le obbligazioni di guerra, per finanziare l'ultima spallata al Giappone.
Il conflitto in quella primavera del '45 stava pesando molto sui conti pubblici e l'opinione pubblica era stanca; ecco che allora un tour promozionale degli eroi di Iwo Jima (ma non erano loro in realtà) poteva servire per ridare slancio alla guerra.
Il film tuttavia non ha un intento strettamente politico, anche se traspare con chiarezza il j'accuse contro le autorità militari e politiche per il cinismo con cui venne gestita la vicenda.
Lo scopo principale di Eastwood è seguire il lato umano, come sempre più spesso gli accade negli ultimi anni.
Si concentra sul dramma dei tre militari, eroi per caso, e dei loro commilitoni ad Iwo Jima.
Due reggono il gioco; uno cercherà a guerra conclusa di sfruttare la sua popolarità per fare carriera.
Il secondo è un coraggioso infermiere rimasto ferito durante la battaglia, che si arrovella per il rimorso di non essere riuscito a salvare abbastanza compagni dalla morte.
Il terzo è un pellerossa che ha la funzione di coscienza critica; difatti si ribella agli scopi propagandistici dell'operazione.
Sarà lui a subire lo scotto più pesante: a guerra finita non riuscirà a dimenticare i morti e gli orrori visti e continuerà a macerarsi nel senso di colpa per essere sopravvissuto ed essere stato spacciato per eroe.
Con una regia che alterna bene il passato e il presente dove gli anziani reduci rievocano quei giorni, Eastwood spoglia dal velo della retorica la memoria che gli americani conservano di Iwo Jima e più ampiamente della seconda guerra mondiale.
Come si dice nel film, i soldati muoiono per la patria, ma prima di tutto muoiono e si sacrificano per i loro compagni, per chi gli cade a fianco o davanti.
Non ci sono eroi, ma solo uomini che soffrono per i loro compagni, i loro fratelli e che cercano di portare a termine nel miglior modo possibile il compito che gli è stato assegnato.
Gli eroi vengono creati dalla politica, per ammantare di nobiltà e bellezza la cruda essenza della guerra.
Eastwood conferma di essere forse l'ultimo umanista di Hollywood, un cineasta sensibile, coraggioso ed attento. Voto: 8+
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