lunedì 10 marzo 2008

Zapatero, riformista vincente senza ambiguità

Zapatero ce l'ha fatta, si è conquistato il secondo mandato come premier.
Il leader spagnolo non è riuscito a prendere la maggioranza assoluta alle Cortes, ma consolida le posizioni del Partito Socialista e si prepara a governare (presumibilmente in scioltezza) nei prossimi quattro anni.
Veltroni ne trae auspici positivi per il PD e può anche darsi che le elezioni iberiche gli portino bene.
Però, dato che i dirigenti del nuovo soggetto riformista italiano amano spesso tracciare paragoni con il PSOE spagnolo, è bene fare alcune puntualizzazioni.
Zapatero aveva promesso la riforma del sistema radiotelevisivo e l'ha fatta. La situazione spagnola era simile a quella di casa nostra, con una emittente pubblica indebitata e lottizzata, la necessità di riequilibrare la raccolta pubblicitaria e di aprire il mercato dei media a nuovi soggetti. Eseguito.
Qui invece si blatera di conflitto di interessi dal 1994, anno della famosa "discesa in campo" di Berlusconi e una legge seria al riguardo non è mai stata fatta, complice l'atteggiamento timoroso o inciucista che troppe volte il Centrosinistra ha dimostrato (vero D'Alema?) quando poteva decidere.
Ironia della sorte proprio la Telecinco berlusconiana ha strillato all'attentato contro la libertà d'impresa (mentre invece in questo modo ovviamente si apre di più il mercato), ma il governo Zapatero ha tirato dritto.
Zapatero poi aveva promesso di attuare la riforma dei diritti civili e ha mantenuto. Dal matrimonio fra omosessuali al divorzio breve, il riformista spagnolo senza ambiguità e complessi ha tirato avanti come un rullo compressore.
In Italia il progetto Dico è naufragato e il divorzio breve, già approvato dalla commissione giustizia del Senato, finirà nel nulla causa lo scioglimento delle camere (con soddisfazione dei papalini di entrambi gli schieramenti).
Zapatero ha detto a più riprese alla conferenza episcopale spagnola di non interferire nella politica, in un paese difficile perchè di note tradizioni cattoliche, ancora una volta senza gli imbarazzi che caratterizzano Walterone.
Povero Veltroni, si trova stretto fra l'incudine laica e il martello cattolico del PD che per ora è l'ermafrodita della politica italiana.
Zapatero aveva elaborato una riforma del mercato del lavoro e l'ha varata, con l'obiettivo di limitare il precariato (che pure in Spagna è un problema).
L'Ulivo in due anni non solo vi è riuscito, ma dispiace dover ricordare che le prime falle nel diritto del lavoro italiano per quanto riguarda la tutela dei lavoratori non si devono alla legge 30 di Berlusconi, ma al pacchetto Treu del 1997 (durante il primo esecutivo Prodi).
Zapatero si è impegnato per promuovere le pari opportunità fra i sessi e ha cercato di dare il buon esempio: metà del suo esecutivo è rosa, a cominciare dalla vicepremier. Da noi invece si è ancora alla mera fase della discussione sulle quote rosa.
Due cose perciò sono chiare; Zapatero ciò che promette lo fa e credo che questo sia degno di considerazione anche per chi non è di centrosinistra.
Per chi invece appartiene a quest'area, Zapatero insegna la lezione di un riformismo aperto e coraggioso, e soprattutto laico.
Zapatero non ha bisogno di andare in pellegrinaggio a Spello o di citare il cardinal Martini come riferimento ideale; non ha bisogno di inventare nuove simbologie o vacue etichette di stampo americano per attirare a se tutto e il contrario di tutto.
Il leader spagnolo ha vinto per la seconda volta con una carta d'identità chiara, radicata nella cultura spagnola e più ampiamente europea: quella socialdemocratica, ancorchè naturalmente aggiornata alle esigenze di una società moderna.
Quell'identità che per Veltroni è da mandare in soffitta, nel compiacimento dei cattolici del PD.
E' un'indicazione secondo lui valida non solo per l'Italia ma per tutto il continente come ha cercato di spiegare a una perplessa e anche un pò scocciata Internazionale Socialista, di cui proprio lo Zapatero tanto ammirato è vicepresidente.

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