lunedì 7 aprile 2008

Olimpiadi, un'immagine vale più delle parole

Credo che quest'immagine sarà una di quelle che più caratterizzeranno le Olimpiadi del 2008. Ogni evento oggi viene simboleggiato da uno scatto fotografico o da una sequenza filmata in particolare. Questa sarà una delle immagini che rappresenteranno le Olimpiadi cinesi.
Come accadde per la primavera di Pechino dell'89, rimasta impressa nella memoria collettiva grazie alla foto del civile che si mette di fronte al carro armato per fermarlo.
Un piccolo, coraggioso e inerme cittadino bloccava la strada al mostro d'acciaio, sguinzagliato per le strade da una dittatura che aveva paura della gente, che schiacciò con le uccisioni e il terrore la protesta democratica.
A quasi vent'anni di distanza dai fatti di Tienammen le immagini tornano a perseguitare il potere cinese, a guastare la festa di Hun Jin Tao e della sua corte. Qualcuno nel coro ha steccato, il trombone suona sfiatato. Era ora.
Questa foto smaschera la falsità del regime; dietro la modernità, dietro l'immagine della Cina Felix proiettata a essere la principale potenza economica del XXI secolo, si nasconde la totale negazione dei diritti umani.
E si nasconde, o meglio si nascondeva fino a ieri, il dominio imperialistico sulla nazione tibetana, che per lingua, storia e cultura sta alla Cina come la Germania sta alla Spagna, o all'Africa nera.
Il Tibet è occupato illegittimamente dal 1950; ben prima che i militari sparassero sulla folla, solo con l'immigrazione di milioni di cinesi incentivata dal governo, ha subito uno stupro di massa.
E' nuda la fandonia sulla liberazione del Tibet dall'arretratezza, che il partito comunista ha propalato per cinquant'anni ai suoi sudditi; i quali candidamente (e si può capire) si stanno chiedendo come mai l'Occidente protesta. Loro non sanno, pure loro sono vittime: della propaganda.
Dispiace che ne faccia le spese la fiaccola olimpica, che richiama ben altri valori. Ma era inevitabile.
Così dopo Londra i tedofori sono sotto assedio a Parigi; la fiaccola viene messa al sicuro su un pullman, viene isolata dalla folla da un cordone di agenti.
Sono i poliziotti di quei governi che per pavidità e calcolo economico finora non hanno preso una posizione netta sul problema tibetano.
Almeno il CIO, con l'invito di oggi ad avviare il dialogo con il popolo tibetano, si è svegliato dal letargo.
I governi si adeguano alla corrente, la gente o almeno una parte della gente no. La protesta sale dal basso.
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